Casa occupata, Adinolfi chiese aiuto a Grasso. L’esponente del clan: “Dobbiamo fare un’imbasciata a un ucraino”

CAPUA – Autocarri, automobili e materiali industriali vari: sono alcune delle merci che, per diversi mesi, affermano i carabinieri, ha rubato muovendosi in lungo e in largo nella provincia di Caserta. Chi? La cricca guidata da Davide Grasso, 52enne di Santa Maria La Fossa (con alle spalle già una condanna per mafia).

Ad animare questa combriccola, alcuni cittadini albanesi, i quali, secondo i militari del Nucleo investigativo di Caserta, rappresentavano l’ala operativa della gang. A tale manipolo di presunti malviventi serviva un luogo dove nascondere ciò che rubavano, in attesa che venisse deciso cosa farne: ‘cavalli di ritorno’ (proporre ai titolari di pagare per riavere quanto loro sottratto), (re)immettere la merce sul mercato o cannibalizzarla (nel caso di auto e mezzi agricoli, smontarli e venderli a pezzi). E il posto prescelto, sostengono i carabinieri, era un’area riconducibile ad Andrea Adinolfi, patron della masseria che viene indicata proprio con il suo cognome. Adinolfi, ipotizzano gli investigatori, sarebbe stato messo al corrente dell’uso di quello slargo, situato in via Galatina, come deposito di merce e veicoli rubati, proprio da Davide Grasso e Carmine Munno (noto per il suo impegno politico con il partito animalista). I militari dell’Arma hanno raccolto elementi, nel corso dell’inchiesta, che dimostrerebbero pure come Adinolfi fece una richiesta di intervento a Davide Grasso. Di cosa si trattava Lo chiarisce, ignaro di essere intercettato, proprio il fossataro, mentre conversa con uno degli albanesi della cricca: “Dopodomani facciamo un piacere a questo (Adinolfim ndr), andiamo in tre o quattro, dobbiamo prendere un ucraino, gli dobbiamo fare solo un’imboscata, se risponde male lo picchiamo, capito? […] Fare un piacere a questo. Sta nella casa sua e non vuole lasciare”.
Tale circostanza, sostengono i carabinieri, andrebbe a tracciare una condotta compiacente di Adinolfi rispetto al fatto che, stando all’accusa, aveva messo il suo deposito a disposizione per accogliere i mezzi rubati.

Questo spaccato è presente negli atti di inchiesta che hanno portato all’arresto di Davide Grasso, Antonio Mezzero e di altre 12 persone. Al centro dell’attività investigativa c’è la presunta operatività di una frangia del clan dei Casalesi, coordinata proprio da Mezzero e con Grasso come braccio destro, in varie aree di Terra di Lavoro. Adinolfi e Munno non sono stati raggiunti da misura cautelare, ma sono sotto inchiesta (coinvolti nella stessa che ha riportato in cella il fossataro) a piede libero con l’accusa di ricettazione. La vicenda dell’aiuto che Adinolfi avrebbe chiesto a Grasso in relazione alla casa occupata dall’ucraino non è tra i reati contestati dalla Dda agli indagati, tutti logicamente da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo, gli avvocati Mauro Iodice, Paolo Caterino, Paolo Di Furia, Carlo De Stavola, Pasquale Diana, Alberto Martucci, Camillo Irace, Raffaele Russo, Paolo Raimondo e Angelo Raucci.