Il pasticcio albanese (di Stelio W. Venceslai)
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Il pasticcio albanese (di Stelio W. Venceslai)
Più il tempo passa, meno ne capisco anche se tutti dottamente ne parlano, discutono e polemizzano in materia.
Secondo me, l’idea parte da un presupposto sbagliato e, cioè, che ci siano migranti regolari e irregolari. La distinzione è chiara ma i risultati sono analoghi. È gente comunque arrivata in Italia. I regolari non sono una novità. Hanno i documenti a posto, forse hanno pure un contratto di lavoro. Quindi, almeno in teoria, non sono un problema.
Tutti gli altri, il 90%, non si trovano nelle stesse condizioni. Si può sottilizzare se sono venuti per fame, per lavoro, per riuscire ad andare in un altro Paese d’Europa dove hanno dei congiunti, oppure per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni, alle infinite tragedie che imperversano nel mondo. Il risultato è sempre lo stesso: sono irregolari e dovrebbero essere o regolarizzati o respinti.
Regolarizzarli tutti è un affare molto complesso. I partiti politici sono molto divisi ma, comunque, occorre alfabetizzarli nella lingua e quasi sempre formarli per un lavoro, dar loro assistenza sanitaria e alimentare, un alloggio e così via. Un’impresa enorme e costosa. Si può fare, ma non è facile e, all’atto pratico, non si fa.
Non sempre gli irregolari si comportano bene. In questo caso, entriamo nella seconda ipotesi: rimandiamoli a casa loro: espulsioni. I fogli di via che accompagnano gli espulsi sono carta straccia e le procedure infinite. Doverose, per carità, con tutte le garanzie previste dalla legge, ma complicate ed eterne.
Sorvolo sul fatto che per respingerli bisogna farli accompagnare da agenti di polizia in aereo. Un costo enorme, quasi impraticabile, tant’è vero che solo una trentina, su quasi un milione di rifugiati, pare che sia stato effettivamente respinto.
Ma possiamo respingerli nei Paesi da cui sono venuti se da lì sono fuggiti? Quei Paesi li rivorranno indietro? Niente paura, si fanno o si faranno degli accordi da Stato a Stato.
Saranno degli Stati seri (oggi si dice “sicuri”) oppure dei regimi al solito fasulli e feroci? Questo è il punto: chi decide se uno Stato è “sicuro”?
Questa è una decisione che spetterebbe all’Europa e, in via subordinata, agli Stati europei. Mi riesce difficile, poi, immaginare i criteri di selezione, quanto mai opinabili. Secondo me, solo i governi, tenuto conto delle loro relazioni particolari con i vari Paesi del mondo, hanno le informazioni necessarie per decidere se i loro partner sono “sicuri” o no.
Ad esempio, in Italia si è deciso che la Nigeria sarebbe un Paese “sicuro”, tesi dalla quale dissento, visto che, oltre ad una guerra civile in corso sul delta del Niger, in quel Paese sussiste una forte presenza di jihadisti di Boko Haram e del movimento Ijaw Youth Council (IYC), che opera con interventi armati e con sequestri di personale tecnico delle raffinerie. Questo sarebbe un Paese “sicuro”? Mah!
La polemica attuale con le iniziative della magistratura italiana mi sembra fuori dal tema. La magistratura non ha gli elementi d’informazione per decidere quali Paesi siano “sicuri” o no. Questa è una scelta dell’Esecutivo, tantomeno, avvalendosi di una sentenza della Corte di giustizia su di un caso singolo, traendone conseguenze anche politiche.
La questione albanese è secondaria. Non la capisco, in verità, questa straordinaria novità della decisione della Meloni di costruire strutture in Albania (Paese neutro e non ancora dell’Unione europeo) per concentrare in loco i candidati al respingimento. Lo si poteva fare anche in Italia, forse con minore spesa. È stata una decisione che ha fatto clamore ed è stata considerata interessante da molti Paesi europei ma giudicata negativa e inappropriata dalla nostra magistratura.
Il Tribunale di Bologna ha sollevato addirittura una questione di competenza fra la legge nazionale e quella europea. Ma qui, purtroppo, non si tratta di leggi, anche se ciò fa comodo alle opposizioni. Sembra che tutti dimentichino, governo, magistratura, opposizioni e polemisti vari, che si tratta della vita di tante persone, non dell’analisi di un codicillo. C’è un’impotenza manifesta di fronte a questo immenso movimento migratorio che investe l’Europa. È un problema che non si può risolvere né con una sentenza stilata dal ghiribizzo di un magistrato né con una decisione avventata dell’Esecutivo, tanto per far bella figura purché ne parlino stampa e televisione.
La tanto decantata soluzione albanese è una drittata da 800 milioni, ma non risolve nulla, come nulla risolve la sentenza che ha fatto rientrare in Italia dall’Albania quei quattro disgraziati che vi erano stati portati. Il problema è ben altro e ben più grande, e non lo si vuole affrontare realmente, oppure lo si affronta, positivamente o negativamente che sia, solo per convenienze elettorali.
Il balletto tra quelli che vogliono chiudere le frontiere e quelli, invece, che le vogliono aprire, è stucchevole e dimostra la pochissima serietà della nostra classe politica, senza eccezioni.
Chi vuole chiudere invoca la protezione dei confini e dovrebbe sparare, e la cosa è impensabile. Chi vuole aprire invoca la solidarietà ma non dice poi cosa fare per accoglierli. Tutti chiedono all’Europa di fare non si sa bene che cosa. E non lo sa neppure l’Europa. Più che un balletto, è una sagra delle ovvietà.
Le cose serie sono altre. Abbiamo bisogno di uomini e di famiglie, di braccia nuove per riempire i vuoti di una demografia esausta ed impigrita dal benessere, dobbiamo investire risorse ben più significative di quelle spese in Albania per creare reali condizioni di accoglienza, e non parvenze di lager.
Il futuro che ci attende sarà pure meraviglioso, ma dobbiamo prepararlo adesso, non fra ciarlatani e cantori, ma tra persone serie che intendano affrontare il problema di ristrutturare l’intero Paese, considerando i cambiamenti epocali che ne verranno fuori proprio con l’immigrazione.
Occorre farsi finalmente carico, ma in modo serio, di un problema dal quale non possiamo sfuggire, almeno per il prossimo decennio.
L’emigrazione dei popoli che stanno peggio di noi è un fatto strutturale, non è una bomba d’acqua ma uno tsunami, passato il quale le cose non torneranno più come le abbiamo conosciute. L’emigrazione non possiamo impedirla, non possiamo ignorarla né supporre di ancorare la gente nei posti da cui fugge con un favolistico Piano Mattei che non faremo mai.
Ragionamenti forbiti, polemiche pretestuose e sentenze inquietanti non aiutano né a capire né a risolvere un problema che è e che resta così drammatico e per il quale siamo ancora del tutto impreparati.
Roma, 31/10/2024
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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