*Caserta, il cupio dissolvi della politica* di Vincenzo D’Anna*
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*Caserta, il cupio dissolvi della politica* di Vincenzo D’Anna*
Ci risiamo. Le cronache politiche di Terra di Lavoro tracimano verso quelle giudiziarie. Il vuoto pneumatico dovuto all’assenza di idealità, progetti, discussione e confronto che si registra nelle assisi istituzionali e negli enti economici ad esse collegati, il vacuo si riempie di indagini, inchieste e malaffare. Chiariamo subito: non siamo giudici di nessuno, anzi, siamo fermamente convinti dei limiti dell’azione giudiziaria quando ad essere colpita è la classe dirigente scelta dal popolo e nel dover riconoscere la presunzione di innocenza come presidio di civiltà giudica. Un radicato convincimento che non consente né speculazioni di parte né occasionali e pruriginosi moralismi, con il conseguente spostamento del dibattito politico ed istituzionale nelle severe aule dei tribunali o sulle pagine dei giornali che di questi ricorrenti scandali si alimentano. E tuttavia ci interessa comprendere fino in fondo a cosa si sia ridotta la politica sotto le mura della Reggia Vanvitelliana, nell’ambito territoriale che nella prima repubblica rifioriva di personalità politiche di rilievo e di un vivace dibattito fra le forze politiche presenti dentro le istituzioni civiche della provincia. A cominciare dal “parlamentino” dell’amministrazione provinciale sui cui scranni sedevano personalità che molto spesso, in seguito, sono assurte a più autorevoli consessi (regionali e parlamentari). Il dibattito era incanalato entro il solco della dialettica tra i partiti dell’epoca e, per quanto duro ed acceso questo potesse essere, non finiva mai nelle mani di soggetti che rappresentavano null’altro che se stessi essendo servi tutt’al più delle proprie ambizioni se non dei propri interessi particolari. Alla base di questo decadimento progressivo – sia della qualità culturale, personale e politica, degli eletti sia della tipologia del confronto, c’è senza altro la fine dei movimenti tradizionali e con essi di tutti i pregi di una scuola politica ed amministrativa che consentiva a ciascun interlocutore di apprendere e sentirsi il rappresentante della forza politica nella quale militava, dalla quale era stato proposto e sostenuto elettoralmente. Non era quello un paradiso pieno solo di virtù e senza colpe, privo di fallacia nell’agire, ma aveva come condotta la linea della forza politica che si rappresentava. Oggi con i partiti di plastica ridotti a “ditte personalizzate”, quel portato culturale è andato perso ed il vuoto è stato riempito da tanti “re travicelli” che rispondono al massimo a piccole combriccole e non ad organismi plurali e democratici che rappresentavano, un tempo, i centri decisionali dei partiti. Il personalismo, il qualunquismo ed il solipsismo rappresentano, oggi, la cifra distintiva non già di un ceto politicamente orientato e consapevole ma di gruppi esoterici nei quali è facile incunearsi con la forza del denaro e dei piccoli traffici affaristico – clientelari. L’assuefazione a questo clima da basso impero è palese anche da parte degli elettori, almeno di quella porzione che ancora esercita il voto, incline a piegarsi ai favori ed al proprio tornaconto. Già dall’esterno si coglie, ovunque si amministri, un clima di permissività, di impunità, un improntitudine nella gestione della cosa pubblica, l’esercizio disinvolto e sfacciato di un potere discrezionale senza alcuna remora o cautela. L’amministrazione provinciale oggi è composta da amministratori comunali a loro volta eletti in liste civiche, spesso espressione del capo bastone di turno, del piccolo ras mandamentale senza altro orientamento che l’aggancio a livello dei consiglieri regionali. Questi ultimi eletti anch’essi nelle liste civiche, quelle che Vincenzo De Luca ha ideato su vasta scala per poter contare su “ascari e truppe cammellate” fidate in Consiglio regionale. Ne consegue che questi soggetti parapolitici regionali sfruttano quelli provinciali e questi ultimi quelli comunali. Aggregare ad un progetto organico di tipo elettorale (o di potere) questa eterogenea brigata di liberi pensatori, non poteva essere fatto per comune idealità o per spirito di partito. L’unico collante, estemporaneo e concreto al tempo stesso, non poteva che essere il raggiungimento di scopi ed interessi particolari. Questa la radice, il comune denominatore, che da anni, purtroppo, alimenta gli schieramenti politici e determina le maggioranze in seno agli enti locali. Questo il terreno di coltura sul quale si sviluppa la mala pianta degli affari e dell’allegra conduzione della cosa pubblica. Compito della politica sarebbe stato porvi rimedio, coi mezzi della politica stessa, ma in sua vece provvederà la magistratura che mai come in questi casi è costretta ad assumere il ruolo etico- politico che pur non le compete. Ad impossibilia nemo tenetur, dicevano gli antichi latini: nessuno è tenuto a fare cose impossibili. Ma tra quelle possibili, v’e’ quella che vede l’intervento dei magistrati, il tintinnio delle manette con il corredo del soggiorno nelle patrie galere. Ed è’ la peggiore delle cose possibili. Essa non solo mortifica gli onesti e la politica degna di questo nome, ma ci consegna ad un cupio dissolvi, un destino di cui tutti, gli eletti ed i loro stessi elettori, dovranno arrossire dalla vergogna. Caserta non merita questo.
*già parlamentare
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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