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Festa del Cinema. Catherine Deneuve nel giapponese “Spirit World”. In gara “L’albero” di Sara Petraglia

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Vite al crocevia. È il punto di contatto tra i due titoli in evidenza alla 19a Festa del Cinema di Roma nel settimo giorno di proiezioni. Il primo è il giapponese “Spirit World” di Eric Khoo, un racconto poetico giocato tra la vita e la morte, tra esistenze alla deriva e anime sulla soglia dell’Aldilà, che risplende per un valido cast a partire dalla diva del cinema francese Catherine Deneuve. Ancora, “L’albero” che segna l’esordio alla regia di Sara Petraglia, con Tecla Insolia e Carlotta Gamba. Un’amicizia che sconfina nell’amore tra due ventenni, chiamate a fronteggiare un malessere di vita e la dipendenza da cocaina. Un’opera ben interpretata, che però soffre di poco approfondimento e mancanza di innovazione. Il punto dalla Festa.

“Spirit World”
Originario di Singapore, classe 1965, il regista Eric Khoo (“12 Stories”, “My Magic”) con “Spirit World” si confronta con la tradizione giapponese e temi di respiro universale. Anzitutto riscopre la festa di Obon, la festa delle lanterne in estate, periodo in cui si dice che i morti tornino a trovare i vivi. In questa cornice suggestiva racconta storie di genitori e figli, di esistenze al capolinea della vita e altre che hanno ancora il diritto-dovere di giocarsi con il tempo a disposizione. Un film raffinato, che esplora gli irrisolti e i non detti dell’umano con uno sguardo di possibilità. Di speranza. Protagonisti Catherine Deneuve, Yutaka Takenouchi e Masaaki Sacai.

La storia. Giappone, oggi. Claire Emery è una cantante francese molto amata nel “Sol Levante”. Accetta di tornare lì per tenere un concerto e incontrare il suo pubblico. Durante la firma degli autografi si presenta da lei un regista di film d’animazione che le chiede un autografo per onorare la memoria del padre Yuzo morto nei giorni precedenti e suo grande ammiratore. Le esistenze di padre e figlio, insieme a quella della cantante Claire, saranno di lì a breve profondamente intrecciate…


“Ho sempre sognato– ha spiegato il regista – di realizzare un film in cui gli spiriti avrebbero assunto ruoli principali e avrebbero creato un raggio di speranza, un’epifania spirituale. La presenza degli spiriti nel nostro mondo è stata un elemento tematico fondamentale dei miei film. Essendo cresciuto con una dieta costante di episodi Tv di ‘Ai confini della realtà’ durante i miei anni di formazione e innamorandomi delle semplici storie d’amore di un tempo, ho pensato: non sarebbe romantico se due anime solitarie potessero trovare l’amore nella morte, nel mondo degli spiriti?”.

Eric Khoo compone un racconto dolce e dolente, che si diffonde come una fiaba sussurrata all’orecchio. Ci parla della vita con tutti i suoi affanni, quella del regista quarantenne in crisi creativa e dedito alla bottiglia; ma anche di morte, di esistenze pronte a valicare il confine tra la vita e l’Altrove, anime invisibili all’occhio umano ma ancora presenti nel vivere quotidiano, come in un limbo in attesa del passaggio successivo. Un tempo di riflessione e grazia, che può essere inteso anche come un’opportunità per aggiustare gli irrisolti, propri o altrui. Ed è ciò che fa la cantante Claire Emery, che colpita da malore in Giappone, scopre di essere passata a una vita Altra, trovandosi faccia a faccia con Yuzo. Due anime alla deriva chiamate a conoscersi, a condividere i propri bagagli emotivi e al contempo attente nel seguire il regista in crisi nel suo viaggio alla ricerca di sé.
Eric Khoo dirige con attenzione e delicatezza, confezionando un racconto metaforico che si sfuma tra reale e fantastico. La regia è elegante e misurata, attenta a offrire sguardi introspettivi; il film risente di una certa staticità, che alla lunga – seppur sia di breve durata, 105 minuti – rischia di appesantire la narrazione. Opera acuta, interessante, senza però troppi sussulti di originalità o intensità. Consigliabile, poetico, per dibattiti.

“L’albero”
Romana classe 1989, Sara Petraglia è al suo debutto sul grande schermo come regista nonché sceneggiatrice. Il suo film “L’albero”, in gara alla 19a Festa del Cinema di Roma, si propone come sguardo personale e generazionale mettendo a tema lo smarrimento di due ventenni, incerte sul futuro e sulla direzione da prendere, che provano ad anestetizzare le irrequietezze calandosi in una vertigine di dipendenze. Un viaggio a fari spenti nella notte della giovane vita adulta, tra sogni, delusioni e malinconie, interpretato da Tecla Insolia e Carlotta Gamba. Prodotto dalla Bibi Film, in uscita nelle sale con Fandango.

La storia. Roma, oggi. Bianca è una ventitreenne bloccata negli studi, che trascorre le sue giornate insieme alla coinquilina Angelica, di cui è segretamente innamorata e con la quale condivide un uso smodato di cocaina. Le due si trovano a vagare senza sosta tra Roma e Napoli, confondendo il giorno e la notte, ossessionate dall’idea di silenziare i propri dolori con la droga. Un viaggio senza bussola destinato a subire una brusca frenata…

“Questa storia – ha dichiarato la regista – prima di diventare una sceneggiatura, ha preso negli anni diverse forme. Era il tentativo di elaborare un vissuto denso, traumatico, ma anche felice. Di trasformare in parole il sentimento della nostalgia. Ed era il tentativo di riportare indietro cose che se ne stavano andando o se n’erano già andate. Per questo pensavo che questa storia riguardasse solo me. Ma dopo aver scritto il film, ho capito che poteva parlare anche ad altri. Che poteva mostrare un mondo femminile in cui le ragazze si muovono sole, chiuse dentro piccoli microcosmi, libere e vitali ma anche egocentriche, bugiarde, indolenti, viziate”.

Sara Petraglia debutta dietro alla macchina da presa con un copione che vuole essere l’istantanea di una generazione, di giovani donne insofferenti alle regole e appesantite da un malessere atavico senza apparenti cause scatenanti. Uno sguardo livido e tragico, che Insolia e Gamba provano a illuminare con un’interpretazione grintosa. “L’albero” è un film però che risulta acerbo e poco approfondito, che esplora temi ampiamente proposti da cinema e serie Tv con pochi guizzi di originalità. Ci parla di una discesa negli inferi della dipendenza alternando toni asciutti, severi, a una certa “leggerezza” che rischia di farsi scivolosa. Un’opera che ha carattere, ma non del tutto solida nel delicato equilibrio tra forma e sostanza. Complesso, problematico, per dibattiti.

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