Roma Film Festival. Lezione d’amore e solidarietà ne “Il treno dei bambini”. La storia sfidante di “Emilia Pérez”
Una piccola (grande) storia di umanità e unità nazionale. È quanto ci consegna il nuovo film di Cristina Comencini, “Il treno dei bambini”, in anteprima alla 19ª Festa del Cinema di Roma e dal 4 dicembre in esclusiva su Netflix. Tratto da una vicenda vera, riportata alla memoria dalla scrittrice Viola Ardone nel 2019, “Il treno dei bambini” ci racconta una storia di solidarietà in un’Italia piegata dai pesanti lasciti della Seconda guerra mondiale: il coraggio di madri napoletane, del Sud, di mandare i propri figli a Modena e nel resto dell’Emilia-Romagna perché possano nutrirsi e andare a scuola. Un gesto di profondo amore, quell’amore che sa lasciare andare, correndo anche il rischio di non vedere ritorno. Protagoniste le intense Barbara Ronchi e Serena Rossi. E ancora, alla Festa del Cinema è il giorno di “Emilia Pérez” del francese Jacques Audiard, premiato al 77° Festival di Cannes. Un thriller nel perimetro del narcotraffico messicano con innesti da melodramma e musical. La storia di un boss che cambia identità sessuale e prova a riscattarsi, dal crimine all’impegno sociale. Ricco di temi e suggestioni non poco sfidanti, il film rivela anzitutto un’ottima regia e attrici in grande spolvero, in primis Zoe Saldaña e Selena Gomez. Il punto dalla Festa.
“Il treno dei bambini”
Un ritratto di donne coraggiose, che lasciano il segno: le protagoniste del film “Il treno dei bambini”, ma anche la regista Cristina Comencini e l’autrice del romanzo Viola Ardone. “Il treno dei bambini” racconta una straordinaria pagina di storia del Paese, nel biennio 1945-47, il gemellaggio di madri tra Sud e Nord per dare un futuro ai tanti bambini scampati dalla guerra ma senza mezzi e risorse per affrontare il domani. A riportare alla luce questi avvenimenti è stata la Ardone nel 2019, nel romanzo omonimo edito da Einaudi. Il libro è stato acquisito dalla Palomar di Carlo Degli Esposti ed è diventato un progetto cinema per Netflix, di cui ha curato la regia Cristina Comencini con la sua cifra elegante e misurata (tra i suoi lavori: “Va’ dove ti porta il cuore” del 1996, “Il più bel giorno della mia vita” del 2002 e “La bestia nel cuore” del 2005). A firmare l’adattamento è la stessa regista con Furio Andreotti, Giulia Calenda e Camille Dugay.
La storia. Napoli 1946, Amerigo Speranza ha otto anni. Vive con la madre Antonietta nei Quartieri Spagnoli. A casa c’è poco cibo, scarseggia tutto, a seguito della guerra, così la donna decide di accettare la proposta del Pci: mandare i bambini più bisognosi a Modena per avere ristoro e risorse. Controvoglia Amerigo parte per il Nord, dove sarà ospitato dalla militante di partito Derna. Una convivenza sulle prime non facile, segnata da reciproco sospetto e sofferenza; una coabitazione che però regalerà tenerezza e speranza a entrambi…
“Un viaggio epico – ha sottolineato la Comencini – organizzato dall’Unione Donne Italiane, che racconta un’Italia impegnata nello slancio solidale. Sono sempre stata interessata alle storie personali che si svolgono in una Storia più grande. (…) Una vicenda passata ma attualissima: il biennio 1945-1947, un periodo in cui sembrava possibile un Paese unito”.
“Il treno dei bambini” è un film classico, lineare, di grande intensità. Un film che esplora le fratture della guerra nel Paese e al contempo quelle dell’animo di chi è sopravvissuto alla violenza. L’opera isola il racconto attorno a due donne, due madri. La prima, Antonietta, che ha generato Amerigo e lo ha tenuto in vita nelle difficoltà; e proprio per quel grande amore materno è spinta a privarsi di lui, lacerandosi nell’animo, pur di dargli futuro. Lo manda al Nord, dove lo accoglie Derna, madre custode, che accompagna il bambino verso un orizzonte di possibilità. Una madre che non ha avuto l’opportunità di generare, perché la guerra è stata crudele, strappandole l’amore, ma che ha trovato riscatto accogliendo il figlio di un’altra. Due donne espressione di maternità, coraggio e lungimiranza, il miglior ritratto di un Paese che prova a rimettersi in piedi e si sacrifica per un bene più grande, per la speranza del domani.
La Comencini governa con mestiere e classe un copione potente e attuale, pur affrontando una vicenda di ieri. Ci parla dell’universalità dell’amore, quello che non trattiene ma sa lasciar andare. Di un atto d’amore ogni oltre misura, dai riverberi anche evangelici. Un’opera dal respiro divulgativo, di grande risonanza, che brilla per le interpretazioni di Barbara Ronchi e Serena Rossi, ma anche del piccolo Christian Cervone, di Antonia Truppo, Stefano Accorsi, Francesco Di Leva, Dora Romano e Ivan Zerbinati. A impreziosire il tutto le musiche dolci e dolenti del Premio Oscar Nicola Piovani. Un film splendido, intessuto di memoria e speranza. Consigliabile, poetico, per dibattiti.
“Emilia Pérez”
Jacques Audiard è un autore che sorprende sempre, per stile e linea di racconto. Tra i suoi titoli più noti “Il profeta” (2009), “Un sapore di ruggine e ossa” (2012), “Dheepan” (2015, Palma d’oro a Cannes) e “I fratelli Sisters” (2018). In arrivo nelle sale a gennaio 2025 con Lucky Red la sua ultima fatica, “Emilia Pérez”, presentato in Concorso al 77° Festival di Cannes – Premio della giuria e miglior interpretazione femminile a tutto il cast – e nella sezione “Best Of” della 19a Festa del Cinema di Roma. Una storia fosca e trascinante, che accosta thriller, mélo e musical, con le ottime Zoe Saldaña, Selena Gomez, Karla Sofía Gascón e Adriana Paz. Tra le fila della produzione i fratelli Dardenne e Anthony Vaccarello per Saint Laurent.
La storia. Città del Messico, Rita è un’avvocata che fatica a muoversi nei meccanismi della giustizia. Un giorno riceve una proposta da un potente boss del narcotraffico, Manitas: l’uomo chiede il suo aiuto per trovare, in maniera riservata, un chirurgo che lo possa far diventare donna. Cresciuto in un ambiente criminale virile e spietato, con una moglie e due figli, Manitas desidera assecondare il bisogno che avverte da molto tempo. Diventa Emilia Pérez e prova a cambiare corso alla sua vita: passa dalla criminalità all’impegno sociale, fondando una realtà vicina alle persone in difficoltà…
Con uno stile visivo incisivo e spiazzante, combinando generi tra loro distanti – il thriller e il musical –, Audiard confeziona un film che parla di donne coraggiose e imperfette, che provano a cambiare corso alla propria esistenza. Un film che abita i territori della malavita e della corruzione morale, muovendosi in un perimetro alla “Gomorra” o “Narcos”, che però prende anche una piega diversa proprio per lo sconfinamento di genere, sia narrativo-stilistico che del personaggio stesso. Manitas si spoglia di sé, prova a liberarsi dei suoi crimini diventando Emilia Pérez, convinto di poter di cambiare. Ma il passato, soprattutto se non risolto, è sempre pronto a tornare in maniera ingombrante, a tratti irreparabile. Tematicamente denso, complesso e sfidante, “Emilia Pérez” colpisce per lo stile di regia efficace e per le contaminazioni tra crime e musical, così come per interpreti che offrono una performance maiuscola, Zoe Saldaña in testa. Un’opera che scandaglia i sentieri della disperazione provando a portare qualche bagliore di possibilità; quasi il libretto di un’opera lirica su una partitura tragica. Film complesso, problematico.
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