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Spiccioli di spiritualità, Focus su San Luca

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Per il consueto appuntamento domenicale con la rubrica “Spiccioli di spiritualità”, diretta dal prof. P. Vitale, il prof. Michele Pugliese ci parla di San Luca.

Il 18 ottobre la chiesa ha celebrato la festa di San Luca evangelista, venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che ne ammettono il culto, e tradizionalmente indicato come autore del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli Apostoli, il terzo ed il quinto libro del Nuovo Testamento.
La figura di Luca ha ispirato il romanzo biografico “Una stella su Antiochia” (Dear and Glorious Physician) di Taylor Caldwell, scrittrice britannica naturalizzata statunitense, pubblicato nel 1958, edito in Italia nel 1961. Nel romanzo Luca viene chiamato “Lucano” e a dieci anni, seduto in riva a un fiume, nei pressi di Antiochia, contempla il fenomeno di una stella di splendore immenso e soprannaturale. Lo sorprende Keptah, lo schiavo medico della casa dove risiede anche Lucano, che si dichiara seguace di un Dio che verrà e che la sua stirpe (gli antichi Caldei, antenati degli israeliti) attende da tanti secoli. Questo Dio avrà come simbolo la Croce e Keptah ne porta una d’oro, minuscola, appesa al collo: ma quando la mostra al ragazzo, questi non è in grado di capire. Luca vuol fare il medico e ne apprenderà l’arte proprio dallo schiavo, nel frattempo liberato dal padrone. In seguito si convertirà alla nuova religione, conoscerà gli apostoli e anche la Madre di Gesù. La storia non è vera, ma è verosimile, e non la descrivo compiutamente per non togliere al lettore il gusto di leggere il libro, se mai vorrà farlo.
Oltre che medico, la leggenda ha voluto Luca anche pittore, per aver dipinto l’immagine della madre di Gesù. Questa tradizione è fiorita in Oriente nel IV secolo, allorché un autore cristiano affermò che da Gerusalemme era stato inviato a Costantinopoli un ritratto della Madre di Gesù dipinto proprio dall’evangelista, denominato in greco Hodighìtria, ossia “guida della via” (verso Cristo). In realtà un paio di secoli prima Sant’Agostino aveva affermato che “il volto di Maria ci è ignoto”, ma fatto sta che in quel periodo le Madonne di Luca si diffusero a macchia d’olio, come quella venerata in Santa Maria Maggiore a Roma, oppure la Madonna della Guardia a Bologna e altre ancora.
Dunque, Luca medico e pittore, ma la sua grande maestria si è espressa nella scrittura del vangelo e anche della sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, vivo e intenso ritratto della Chiesa delle origini. Secondo un antico proemio greco premesso al Vangelo, un testo apocrifo elaborato nel II secolo, Luca era siro-antiocheno, di arte medico. Divenuto discepolo degli apostoli seguì Paolo fino al suo martirio, non fu mai sposato, senza figli, morì in Boezia (Grecia) all’età di 84 anni, pieno di Spirito Santo. Anche se non si può giurare su tutti i dati segnalati, è sicuro comunque che Luca appartenga alla seconda generazione cristiana, provenga dal mondo pagano, fosse di buona cultura, poiché ha scritto le sue opere in un modo eccellente, sapendo coniugare la cultura ebraica con quella pagana-ellenistica. La sua originalità si rivela anche nella sua teologia, che assegna un primato indiscusso alla carità, tanto che Dante lo descrive come scriba mansuetudinis Christi (De Monarchia), ossia lo scrittore della mansuetudine e della tenerezza di Cristo, come attestano ad esempio le stupende parabole del Figlio prodigo o quella del Buon samaritano, riportate solo da Lui. Di rilievo anche l’esaltazione di alcuni temi come la povertà, realtà sia sociale sia spirituale, vista non solo come distacco dalla smania della ricchezza e del potere, ma anche come l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio.
Nel suo secondo libro, gli Atti degli Apostoli, Luca segue la traiettoria storica del nascente cristianesimo da Gerusalemme verso tutta l’area del Mediterraneo orientale, estendendosi fino a Roma; un disegno guidato dallo Spirito Santo che agisce nei protagonisti spingendoli ad annunciar il messaggio di Gesù non solo agli ebrei, ma anche ai pagani, rivelando così la sua forza propulsiva e universalistica.
Un ultimo accenno al suo simbolo, che è il toro (poiché nel suo Vangelo introduce come primo personaggio Zaccaria, padre del Battista, che essendo sacerdote del tempio, offriva sacrifici di tori), ma secondo alcuni è il bue, certo animale più mansueto, in tema con lo stile dell’Evangelista che fa della mitezza, della mansuetudine una nota dominante del suo vangelo. E poi, il bue lo poniamo anche sul presepe accanto al bambinello, prefigurazione di quello che sarà lo stile del Salvatore.

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