LA PAROLA DEL GIORNO VOCATO E IL BROGARDO A CURA DEL PROF. INNOCENZO ORLANDO
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Vocato
Le parole del vino
vo-cà-to
Significato Chiamato, nominato; chiamato a una missione religiosa; incline, naturalmente disposto; di terreno, particolarmente idoneo a certe produzioni
Etimologia participio passato di vocare, voce dotta recuperata dal latino col significato di ‘chiamare’, e derivata da vox ‘voce’.
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«È un terreno vocato alla viticoltura.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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È una parola che sa adombrare un destino speciale in una maniera specialissima, ma cominciamo dicendo questo: le parole cambiano. Magari la loro veste resta la medesima, ma le accezioni che hanno, i loro significati specifici, possono sorgere e tramontare. Una parola può ritrovarsi al cimitero e dopo alle fiere.
A fine Ottocento ‘vocato’ era una parola desueta. Aveva vissuto una vita molto seria, orientata tutta sulla vocazione in senso religioso — il vocato qualificava il chiamato a una missione religiosa, a una consacrazione.
D’altro canto era anche usato per indicare un soprannome, o nomi ulteriori: in un periodo in cui i nomi di persona non erano così certi come la nostra onomastica di nome e cognome garantisce, poter dare qualche riferimento in più su come era chiamato, anzi vocato, era di grande utilità. Ad esempio, nella novella 78 del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, troviamo indicato un personaggio come «uno, che avea nome… del Ricco, vocato Ballerino di Ghianda».
Nel Novecento il vocato viene tratto dalla desuetudine con una prospettiva secolare: l’essere ‘chiamato’ diventa un essere incline per natura, avere un talento, un genio.
Nella prospettiva spirituale il vocato è spaventosamente chiaro e profondo: fai la tua vita e senti una chiamata: ci chiama come ci chiama tanta gente, ma questa ci chiama a qualcosa di nuovo, che trascende. Nella prospettiva secolare, il vocato assomiglia piuttosto (ora mi scappa una parolaccia) all’entelechia aristotelica. È un genere di perfezione teorizzato da Aristotele, che consiste nel perfetto grado di sviluppo (en télei ékhein significa ‘essere in atto’) — non c’è una perfezione assoluta, c’è la perfezione dello sviluppo individuale, che nel bruco si manifesta in un modo, nella quercia in un altro, in te in un altro ancora.
La chiamata a cui il vocato è soggetto prende una prospettiva agricoltura e zootecnia. Vela con questa dimensione di chiamata al destino e di sviluppo autentico nientemeno che la terra, rispetto alla prosperità delle piante (e degli animali d’allevamento). Il vocato qui si riferisce a un terreno specialmente idoneo a particolari forme di produzione.
Quando parliamo di un territorio che per il clima è particolarmente vocato alla coltivazione dell’ulivo, quando leggiamo di come i terreni gessosi dei dintorni di Reims siano vocati in modo speciale alla vite, quando alla fiera ci raccontano di terreni vulcanici vocati su cui crescono vitigni autoctoni, o quando sentiamo di come la Valpolicella, anche per il microclima determinato dalla prossimità del Garda e dei Monti Lessini, sia una zona da sempre vocata alla viticoltura, ragioniamo di quel profilo. Terreni e terroir in cui la tal pianta riesce ad avvicinarsi allo sviluppo perfetto che richiamavamo.
Insomma, la chiamata spirituale si fa chiamata intima calata in un contesto, che è attitudine e slancio, predisposizione e tendenza, così in cielo come letteralmente in terra.