Via libera del Parlamento al Piano strutturale di bilancio
Il Parlamento ha dato il via libera al Piano strutturale di bilancio (Psb) messo a punto dal governo. La mozione di maggioranza è stata approvata alla Camera con 183 voti a favore, 118 contrari e 2 astenuti; al Senato i favorevoli sono stati 95, 66 i contrari e 4 gli astenuti.
Nella mozione della Camera, la cui approvazione ha escluso il voto su quelle presentate delle opposizioni, si chiede all’esecutivo di “adottare le riforme e gli investimenti pubblici negli ambiti indicati nel Piano”. In particolare si sostiene che la manovra economica dovrà contenere “interventi che rendano strutturali gli effetti del taglio al cuneo fiscale sul lavoro e l’accorpamento delle aliquote Irpef su tre scaglioni già in vigore per l’anno in corso; iniziative a sostegno delle famiglie, con particolare riguardo a quelle numerose, e della genitorialità, anche con misure volte a supportare gli istituti per la conciliazione dei tempi lavorativi con le esigenze familiari; risorse per proseguire con il percorso avviato di rinnovo dei contratti del pubblico impiego; fondi per sostenere la spesa sanitaria e mantenere gli investimenti pubblici in rapporto al Pil al livello registrato durante il periodo di vigenza del Pnrr”.
Il Piano strutturale è una delle novità previste dalle nuove regole europee.
Nel documento, lo ricordiamo, sono presentati gli intenti programmatici su cui il governo fonderà la prossima legge di bilancio che di regola dovrebbe essere varata entro il 15 ottobre (ma il termine non è tassativo). Dal punto di vista finanziario, i numeri più rilevanti anche rispetto al profilo europeo sono quelli relativi alla spesa primaria netta e al rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo.
Per quanto riguarda la spesa primaria netta (in sostanza la spesa pubblica al netto degli interessi che lo Stato paga sul debito) è stato indicato un tasso di crescita medio intorno all’1,5% per i prossimi sette anni, che sono l’orizzonte temporale che l’esecutivo ha scelto per la traiettoria di aggiustamento dei conti pubblici. Quanto al rapporto deficit-Pil, stimato al 3,8% per quest’anno, l’obiettivo del governo è di scendere al 3,3% nel 2025 e al 2,8% nel 2026. Secondo il Piano, invece, il rapporto debito-Pil (il debito è la somma dei deficit che si sono accumulati anno dopo anno) inizierà a scendere solo dal 2027 perché fino a quel momento sarà fortemente condizionato dalle compensazioni d’imposta legate ai superbonus edilizi.
A questo proposito il ministro Giorgetti ha annunciato una “stretta” – per esempio in termini di aggiornamento dei valori catastali – per coloro che hanno usufruito delle agevolazioni. Ma
sul tema delle tasse sulla casa c’è una notevole dialettica anche all’interno della maggioranza. Così pure sulla sanità si è aperto un fronte trasversale con la richiesta delle Regioni di portare i finanziamenti al livello degli altri Paesi europei.
A complicare la situazione è arrivato nei giorni scorsi dall’Istat un dato della crescita economica più basso rispetto alle stime del governo. Il che rende assai difficile per l’anno in corso il raggiungimento dell’obiettivo di un aumento del Pil pari all’1%. Secondo la Banca d’Italia ci si dovrebbe attestare su un +0,8. Il quadro è come sempre in chiaroscuro. Nel corso delle audizioni sul Piano strutturale, Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento economia e statistica di Bankitalia, ha sottolineato che i conti pubblici “mostrano un andamento incoraggiante”. E tuttavia “il programma delineato nel Psb non è esente da rischi”. Innanzitutto perché il piano conta sulle maggiori entrate attese per il 2024, “con l’assunzione implicita che siano interamente permanenti”. E poi perché, data “l’elevata incertezza” del quadro globale, “anche piccoli scostamenti dai piani di bilancio potrebbero rendere difficoltoso riportare” il deficit sotto il 3% nel 2026. L’Istituto di via Nazionale invita anche a valutare bene il proposito di rendere strutturali gli sgravi contributivi sul lavoro. Il rischio è che venga meno “l’equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni” che “caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza”.
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