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Calcio e mafia. Fiasco: “Basta a squadre di punta con tutti campioni per fermare le speculazioni finanziarie”

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Perquisizioni, arresti e domiciliari: sono il frutto di un’indagine che ha riguardato gli ultras delle curve di Milan e Inter e che ha smantellato i business illeciti degli ultras, contestando l’associazione per delinquere, in un caso aggravata dal metodo mafioso, e le infiltrazioni della ‘ndrangheta nei traffici, oltre ad estorsioni e pestaggi. Curve opposte ma con interessi comuni su biglietti e parcheggi, gadget e panini, da quanto è emerso. Di quanto è successo parliamo con il sociologo Maurizio Fiasco.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Quanto è emerso a Milano ci deve sorprendere?

In realtà, questo fenomeno ha radici lontane, si è modificato ed è degenerato sempre di più nel corso del tempo. Il fenomeno degli ultras nasce nel derby Milan-Inter, nei primi anni Settanta, sebbene fosse molto diverso: era sportivo, pacifico, un po’ strillato, molto emotivo e mosso dal bisogno di alcune componenti di voler dimostrare che loro erano i veri sostenitori delle squadre, una competizione che si spostava dal campo di gioco agli spalti in termini di fedeltà, attaccamento ai valori della squadra. Il fenomeno nasce così al Nord, poi si diffonde in varie parti d’Italia. Comincia ad avere alcune espressioni problematiche che riguardano l’ordine pubblico sul finire degli anni Settanta, quando all’interno dei gruppi di tifosi cominciano a inserirsi elementi dei gruppi estremisti, sia – prevalentemente – dell’estrema destra sia dell’estrema sinistra. Questi gruppi estremisti che s’infiltrano portano in dote una competenza nell’uso della violenza in contesti di massa. Sono i primi innesti, sono successi poi degli episodi, di cui uno grave: il 28 ottobre 1979, in un derby tra la Roma e la Lazio, dalla curva sud fu sparato un razzo e fu colpito mortalmente nella curva nord Vincenzo Paparelli. A poco a poco, oltre alla celebrazione delle rispettive squadre, si comincia a passare al turpiloquio, a cercare le forme più infamanti dell’insulto, si prendono in prestito, grazie alla presenza degli estremisti, anche riferimenti ideologici: il razzismo antiebraico, la xenofobia. Il fenomeno comincia a essere sempre più grave fino al momento in cui i gruppi ultras, oltre a menarsi tra loro, trovano un punto di congiunzione individuando un nemico comune nella polizia e quindi ogni domenica è occasione non solo di violenza ma anche di apprendimento di una metodologia della violenza. Vengono integrati in questo processo elementi della malavita. Per fortuna questi movimenti estremisti di massa si restringono parecchio. Però ci sono elementi che sono stati processati per terrorismo, per estremismo, per forme di violenza politica, che entrano nei gruppi di tifoserie e ne diventano i leader. Qui avviene la fusione tra sentimento ultras, estremismo politico, malavita. Si forma una miscela gravissima, che invece di essere espulsa moralmente, organizzativamente viene vista da alcuni componenti degli stessi club calcistici come una risorsa con la quale fare i conti e della quale avvantaggiarsi per la visibilità, l’incoraggiamento, la fruizione di spettacoli. Questo spiega alcuni aspetti sconcertanti che stanno venendo fuori oggi.

Ci sono anche altri elementi che hanno influito?

Un ulteriore passo deriva dalla finanziarizzazione sempre più spinta dell’investimento calcistico: cominciano a esserci squadre che si quotano in borsa e di conseguenza il business non è più dato dalla vendita dei biglietti o dei diritti televisivi, ma dalla promessa di un margine speculativo di tipo finanziario, cioè le quotazioni delle squadre salgono e scendono a seconda degli esiti dei vari tornei e del campionato, questo è un ulteriore fattore di inquinamento che alimenta la tentazione di dare sempre più spazio, visibilità e funzione al tifo vivace, violento, degli ultras. I leader dei gruppi ultras capiscono a quel punto di avere un possibile potere molto più grande di quello che avevano all’inizio e che possono influire sulle sorti delle società calcistiche: si attivano e si propongono come quelli che controllano lo zoccolo duro dei frequentatori degli stadi, dei tifosi, incidendo sul fronte economico delle società. Questo si è sviluppato nell’incontro tra estremismo, criminalità comune, tifo più o meno genuino. È stata solo una questione di tempo che su questa risorsa, che si è generata, mettesse gli occhi la malavita organizzata, che ci investe l’uso dosato e finalizzato della violenza, di pressione sulle società calcistiche, di controllo del territorio in cui si svolgono gli eventi. Si forma una risorsa perversa che può condizionare l’assiduità della presenza, il controllo della tifoseria, l’agibilità dei campi, la remuneratività dei biglietti, del merchandising e dei diritti televisivi, che incidono sulle quotazioni in borsa. Questo spiega un fenomeno che cinquant’anni fa era impensabile: l’ultra quotazione dei calciatori, l’indebitamento dei club, le spese pazze per ingaggiare un campione, per presentare la società calcistica come attrezzata per ottenere risultati di vertici nel campionamento, da cui dipende l’apprezzamento della quotazione borsistica. Così lo sport sta scomparendo, diventa un pretesto per una costruzione complessa, derivata, dove c’è la speculazione finanziaria, c’è il budget e c’è il condizionamento. Dentro questo contesto fortemente inquinato viene a collocarsi in maniera ancora più pericolosa il fenomeno degli ultras, delle tifoserie violente.

È un intreccio non da poco…

La questione è veramente complessa perché abbiamo dei business su scala micro, il tradizionale bagarinaggio che viene a questo punto irregimentato dalla malavita organizzata, il taglieggiamento sui parcheggi e che, anche se non danno luogo per la malavita organizzata a introiti stratosferici, servono per connotare il suo controllo del territorio, la sua egemonia nello spazio. La malavita si pone come controparte dei club, diventa un soggetto centrale nei business di scala sia micro sia macro, come l’influenzamento delle quotazioni borsistiche delle società, il riciclaggio con i passaggi continui di proprietà di vari club a soggetti extranazionali o addirittura di altri continenti. Lo sport entra in un mercato internazionale con un flusso finanziario di proporzioni enormi nei cinque continenti rispetto a cui la capacità di controllo della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa), della Banca d’Italia, delle autorità è irrisoria. La malavita organizzata, che è transnazionale, gioca su tanti scenari e si piazza al centro come un problema strutturale. Ma non è ancora finita.

Ci dica…

Dulcis in fundo, il dilagare delle scommesse sugli eventi, un filone anche questo almeno quarantennale, diventato enorme al punto da incidere pesantemente sulle stesse sorti finanziarie dei club. Il condizionamento avviene influenzando gli stessi calciatori. Mentre nei vari processi sul calcioscommesse, sull’infedeltà dei calciatori, sulla corruzione degli arbitri, ci si concentrava sugli esiti dei match, con le scommesse sugli eventi sportivi possibili sui canali digitali, il fenomeno del condizionamento e della corruzione dei calciatori e degli arbitri diventa invisibile. Infatti, non si scommette tanto sull’esito della partita dove riguardando i 90 minuti di gioco si può individuare il sospetto su un calciatore che in un’azione si mangia un gol fatto o segna un autogol o commette un fallo ingiustificato.Invece, ora si scommette sul primo fallo laterale, sulla prima punizione, sul primo rigore: i 90 minuti della partita sono equivalenti a una slot machine dove grazie allo smartphone, al collegamento in remoto, alle offerte di scommesse che vengono lanciate minuto per minuto dalle piattaforme di betting, è molto difficile individuare quale episodio sia dovuto al fatto di orientare la scommessa in un senso o nell’altro. In pratica è stata compromessa gravemente l’integrità dello sport.

Come ci si può difendere da tutto ciò?

In questi 40 anni non si è stati fermi: c’è stato l’Osservatorio calcistico, sono state fatte tante ricerche, si è tentato di emulare in Italia il modello britannico con il coinvolgimento dei club calcistici e reparti speciali delle Digos che durante la settimana contattavano ultras e tifosi, frequentavano gli stessi ambienti, cercavano di prevenire quello che poteva succedere, il tutto con un’accurata preparazione, eppure in Italia non si hanno gli stessi risultati che queste metodiche hanno ottenuto in Inghilterra. Qui il cordone ombelicale tra il mondo delle tifoserie, con tutta la filiera che lo accompagna, e gli interessi delle società calcistiche non è stato reciso. Di qui anche i fatti sconcertanti recentissimi, anche se riguardano la nicchia di un business molto più basso. A mio avviso, se ne esce mettendo delle regole precise nel calciomercato:

basta a squadre di punta con tutti campioni.

A tutte le squadre deve essere garantita una possibilità media di accedere ad atleti più performanti. Dal mettere questo limite discende una iniezione di sportività, che consiste nel risultato incerto, che deriva dall’abilità e dalla parità delle condizioni di ingresso. Bisogna ristabilire un equilibrio di chance per tutti i club indipendentemente dalle risorse finanziarie. Questo va a detrimento della speculazione finanziaria, che è una delle matrici della degenerazione che oggi si esprime nella presenza della malavita organizzata nello sport. Questo va a incidere anche sul giro delle scommesse perché i risultati dei match sono più incerti e meno manipolabili. Va a incidere sul potere di condizionamento delle tifoserie da parte degli ultras.

Con una politica coordinata, con un insieme di misure tecniche, a questo fenomeno si può venire a capo.

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