«Peppino – esordisce Paolo Broccoli – non era un uomo politico di parte e non si era mai chiuso nella cultura del partito comunista cui apparteneva con fervore ma mai con faziosità.

Lo dico oggi, in sua memoria e non soltanto per la grande amicizia e sintonia che ci caratterizzava; l’ho sottolineato in un volume di storie aurunche curato da Franco Compasso, l’equivalente di Peppino sul fronte del Partito Liberale Italiano, altro personaggio di valore, di assoluta genuinità, combattenti su fronti che sembravano politicamente opposti ma convergevano sull’unico obiettivo di giustizia sociale e di pace. Con Peppino non poteva esserci conflittualità, passionale ma temperato dalla consapevolezza di seminare, costruire per il benessere sociale e sempre e soprattutto della nostra provincia».

Continua Broccoli: «A guerra finita si calò a capofitto nelle ricerche storiche, paese per paese del Casertano, per redigere elenchi delle vittime civili assassinate dai nazisti. Partiva dalla considerazione che le “Quattro giornate di Napoli” non erano da sole rappresentative di quel moto rivoluzionario che ci portò alla liberazione. Onore alla ventina di morti di Napoli ma onori da tributare anche ai Martiri, alle popolazione, donne, bambini, vecchi trucidati dai nazisti».

Ed emerse l’attenzione sugli eccidi di Bellona, del Monte Carmignano a Caiazzo e altri luoghi, si allungava l’elenco delle ricerche confluite nei libri quali “La giustizia negata”, “La barbarie e il coraggio”, “Il recupero della memoria”, tutti lavori ritenuti di interesse nazionale in quanto fondanti della identità politica della Repubblica.

I toni commemorativi di Peppino Capobianco nella sue sfaccettature di consigliere provinciale, di consigliere comunale a Caserta, Maddaloni e Piedimonte Matese, delle responsabilità ricoperte come segretario provinciale giovanile del Pci, di Confederterra, dei comitati regionali del Pci fino a componente, nel 1983, della commissionale nazionale di controllo, non sono stati mai d’occasione.

«Ricordi sentiti, affettuosi, ammirati di cui noi familiari siamo stati sempre orgogliosi dice Franco, il figlio, che di suo non ama aggiungere nulla a quanto del genitore hanno detto e ancora dicono altri in suo ricordo Sentimenti scontati, i miei, e li tengo per me, è bello rivedere la figura di mio padre nelle parole di chi ci ha vissuto fuori casa a fianco».

La propria nascita, un tanto rocambolesca, Franco Capobianco, la riassume: «Mio padre era latitante, braccato dai fascisti, si rifugiò nel Modenese, mia mamma gestante si era trasferita a casa della nonna Antonia a Capodrise. La sera del 31 dicembre 1952, su disposizione di Giorgio Napolitano, allora segretario federale del Pci di Caserta, mia madre fu trasferita a casa dell’avvocato Francesco Simoncelli, io nacqui l’indomani, capodanno 1953, con gli agenti appostati davanti casa presumendo una incursione di mio padre che mi vide, però, dopo sei mesi. La registrazione all’anagrafe fu curata da Giorgio Napolitano e Franco De Pascale. Napolitano, che è stato presidente della Repubblica, con i miei genitori era legato da sentimenti profondi e non soltanto politici, era stato testimone alle loro nozze e aveva firmato in assenza di papà la dichiarazione della mia nascita».

Oggi, nel convegno oragnizzato a Caiazzo, emergeranno ancora aspetti di una vita, quella di Giuseppe-Peppino Capobianco, che è stata il riflesso di un’epoca, la fatica della ricostruzione, delle lotte di rivendicazione sociale, sacrifici che hanno fruttato libertà di cui essere grati a quanti si rimboccarono le maniche.