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Invecchiamento precoce del cervello negli adolescenti. Buonsenso (Gemelli): “Non ci sono evidenze scientifiche al momento”

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Una ricerca coordinata dall’University of Washington a Seattle, ripresa in questi giorni dai media italiani, riferisce in maniera allarmante che il lockdown per il Covid-19 avrebbe determinato negli adolescenti un invecchiamento precoce del cervello. Ne parliamo con il dottor Danilo Buonsenso, pediatra presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs e PhD in Public Health.

Dottor Buonsenso, quali conclusioni dobbiamo trarre rispetto ai dati riportati dallo studio dei ricercatori dell’University of Washington?
La ricerca pubblicata da Pnas, che è una rivista piuttosto importante nel mondo scientifico, ha evidenziato delle alterazioni morfologiche della corteccia cerebrale in un piccolo gruppo di giovani che aveva eseguito già prima della pandemia delle risonanze magnetiche strutturali e che ha ripetuto lo stesso tipo di indagine uno o due anni dopo l’inizio della pandemia. Il limitato numero di ragazzi compresi nel campione della ricerca non consente, però, di estrapolare i dati raccolti ed estenderli alla popolazione mondiale. Inoltre, essa prende atto delle alterazioni riscontrate in un gruppo di ragazzi in un determinato periodo temporale, senza indagarne le connessioni di causa-effetto. Il lavoro pubblicato su Pnas fa esplicito riferimento al lockdown come “possibile” causa di questo danno strutturale a livello del sistema nervoso centrale, ma nella ricerca questa correlazione non viene supportata da dati scientifici. Gli autori hanno soltanto confrontato alcune risonanze pre- e post-Covid, senza indagare però quello che è accaduto durante il periodo di lockdown ai ragazzi esaminati. Mi riferisco, per esempio, alle modalità in cui hanno vissuto l’isolamento, alla tipologia di stress fisico o psichico cui sono stati esposti. Gli autori della ricerca non hanno valutato neppure se i pazienti hanno contratto il virus oppure no. Quindi possiamo affermare che lo studio riporti l’osservazione di un evento di cui si ignorano le cause.

La ricerca sembra porre l’accento sul fatto che eventi traumatici, come la pandemia per Covid-19, possano generare gravi conseguenze sugli adolescenti…
Il cervello in caso di stress fisico e psichico può reagire nel modo che lo studio ha evidenziato, si tratta di un meccanismo di difesa, non sappiamo se reversibile o meno.

Nel caso del Covid-19 gli effetti a lungo termine ancora non sono del tutto noti, ma ci sono lavori simili a questo che hanno documentato negli adulti – attraverso biopsie e biomarcature – che l’infezione da Covid-19 può determinare un invecchiamento della corteccia cerebrale, per quanto riguarda i giovani torno a sottolineare che non ci sono evidenze scientifiche al momento.

C’è da stupirsi della risonanza che la ricerca statunitense ha avuto nei media, probabilmente perché si tratta di una notizia che si presta a strumentalizzazioni.

Pensa che gli anni futuri potrebbero riservarci spiacevoli scoperte riguardo le conseguenze del Covid-19 su bambini e adolescenti?
Il Policlinico Gemelli di Roma è uno dei centri di ricerca più importanti nel mondo a documentare gli effetti del Covid-19 in età pediatrica e nell’adolescenza.

I ricercatori hanno raccolto dati sugli effetti da long Covid. Si tratta di una sindrome multisistemica, caratterizzata da tantissimi segni e sintomi e cronici che insorgono con l’infezione ma possono continuare a manifestarsi dopo mesi, o anche anni. Parliamo di sintomi che limitano enormemente la quotidianità di molti ragazzi: ad esempio, astenia cronica, mal di testa, tachicardia, dolori muscolo-scheletrici, vuoti di memoria, problemi di concentrazione. Alcuni di questi giovani evidenziano difficoltà di apprendimento e relazionali.

In futuro potrebbero esserci certamente spiacevoli sorprese.

Oggi il Covid-19 è endemico, ma non per questo possiamo banalizzarne gli effetti collaterali.

Siamo peraltro consapevoli che altre infezioni virali come il morbillo, la mononucleosi, il virus respiratorio sinciziale, gli enterovirus, gli herpes virus, ecc. sono spesso associate a gravi problematiche che si manifestano a distanza di anni dal contagio. Il morbillo, per esempio, è associato all’encefalite subacuta mortale intrattabile che insorge a distanza di tre, quattro anni. La mononucleosi è associata all’insorgere di linfomi, ma anche alla sclerosi multipla. Il Covid-19, pertanto, è un virus relativamente nuovo e ancora da studiare in tutte le sue sfaccettature.

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