Merito… Una parola al giorno a cura del Prof. Innocenzo Orlando
Merito
mè-ri-to
Significato Diritto alla lode e alla ricompensa determinato dalle qualità e dai conseguimenti di una persona; atto o comportamento che rende degno di lode; sostanza, contenuto, nocciolo
Etimologia voce dotta recuperata dal latino meritus, dal participio passato di merère ‘meritare’.
- «È solo uno dei suoi molti meriti.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Un guadagno con una dimensione morale? Forse più propriamente un diritto a una retribuzione, a un riconoscimento? Mica banale, il merito.
Il merère latino, padre del meritare e del merito, ci rappresenta già questa complessità. Esser degno, avere in pagamento, prestare servizio, rendersi colpevole, prostituirsi. Insomma, è una realtà che va dalle alte lodate azioni civili e militari fino al meretricio e alla merenda. Un po’ disorientante.
Proviamo a cercare il bandolo della matassa nell’etimologia Quel verbo latino viene fatto risalire a una radice indoeuropea ricostruita come (s)mer-, che corrisponde a un ‘avere una parte di qualcosa’. Vastissimo concetto, che ad esempio in greco si volge nel méros col significato concreto di ‘parte’ (quello che troviamo nel ‘polimero’), come anche nel nome delle Moire, divinità del destino, colleghe di Norne e Parche, che… fanno le parti nelle attribuzioni dei fati.
Ora, una ramificazione così scomposta potrebbe parere semplicemente incoerente, labilmente unitaria, capace di offrire solo riferimenti rapsodici. Ma riflettiamo su questo: coglie una sfumatura che praticamente non ha sinonimi.
Parliamo dei meriti di una persona: stiamo considerando pregi, valori, qualità? Solo in maniera vagamente sovrapponibile. Il merito è qualcosa che forse ha basi più vicine alla reputazione, o a una dignità che comporta un certo riconoscimento in virtù di un comportamento o di una condizione personale. Se mio è il merito per un successo, in quale altra maniera posso esprimere questo concetto? Posso dire che è stato raggiunto grazie a me, che si deve a me, che è un mio risultato — ma sono tutti modi di dire che battono in posti diversi, su cause debiti e attribuzionu, meno inclini a insistere sulle profondità di una certa dignità, che non dà frutti casuali o occasionali. Il merito si fonda su una base più profonda e certa.
Il discorso pubblico ci ha anche mostrato le ragionevolezze e i problemi del giudizio fondato sul merito. Da un lato, pare un criterio pacifico per operare dei discrimini fra le persone — il terzo comma dell’articolo 34 della Costituzione dice che «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.». Capaci e meritevoli, ci serve un criterio per individuare a chi deve andare il riconoscimento e la concretezza di un sostegno su questa via. Stiamo facendo le parti, dopotutto, dobbiamo capire a chi toccano, per quali virtù e con quali encomi.
D’altro canto è un giudizio che lascia inevitabilmente indietro qualcuno, che magari non lo merita.
Ora, questo merito tutto giocato su criteri mutevoli, anche narrati secondo la convenienza del potere (che il merito faccia parte della sintassi del potere si vede bene nella meritocrazia — e il potere fa le parti) corre comunemente nei nostri discorsi; ma c’è anche un altro merito interessante. Un altro uso forte che manifesta (e forse ostenta) una notevole chiarezza di pensiero. È l’uso che contrappone il merito al metodo, alla forma, alla legittimità. Quello di quando scendiamo nel merito, o affrontiamo una questione di merito.
È un ‘merito’ che si intende molto bene in diritto, quando ad esempio si differenzia il giudizio di merito dal giudizio di legittimità. Il giudice di merito decide su questioni di fatto e di diritto: acquisisce i fatti, li pondera, li inquadra in questioni di diritto, dà sentenza. Ma quando si arriva in Cassazione, non si torna sui fatti, che si danno per già provati nella sentenza impugnata: il giudizio di legittimità della Cassazione è imperniato solo sulle questioni di diritto.
È un ‘merito’ che si distingue bene anche nel modo raffinato in cui, rispondendo a qualcuno durante una discussione, diciamo che abbiamo critiche di metodo (o di forma) e di merito. Quelle di metodo o di forma riguardano magari le stesse modalità di svolgimento della discussione, quelle di merito ne investono il contenuto, il tema della discussione.
Il merito qui è la sostanza, il nocciolo. E il bello è che non era un altro merito, come sembrava, ma si tratta dello stesso merito-dignità da cui abbiamo cominciato.
Pensiamo: se scendiamo nei meriti di una questione, scendiamo in un giudizio concreto, in che cosa si debba riconoscere a chi, in un far le parti che soppesa e discrimina. E ho scritto ‘nei meriti’ perché i primi passi in quest’accezione il merito li fa proprio al plurale. I meriti si trasformano negli aspetti importanti di un giudizio, e perciò nella sua sostanza. Semplice così: non c’è niente di più oscuro o tortuoso da dire, in merito.