Malinconia e Mediocre le parole del giorno a cura del Prof. Innocenzo Orlando
Malinconia
ma-lin-co-nì-a
Significato Secondo la medicina ippocratica, bile nera che determina un temperamento triste; tristezza vaga e delicata, anche esistenziale
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo melanchòlia ‘umor nero’, dal greco melankholía ‘bile nera’, composto di mélas ‘nero’ e khólos ‘bile’.
- «È un finale di grande malinconia.»
Mediocre
me-diò-cre
Significato Intermedio; inferiore alla media; di scarso valore, importanza, qualità; banale
Etimologia voce dotta recuperata dal latino mediocris, composto di medius, ‘medio, che sta nel mezzo’, e ocris ‘rilievo, colle’.
- «È una pietanza mediocre, perfetta per il pranzo.»
Quanto snobismo in una sola parola: il medio è scadente, e quindi l’eccellente è il solo buono. Ma il mediocre non nasce così.
Spesso il nostro pensiero concepisce due poli opposti — il freddo e il caldo, il pavido e il temerario, il misero e l’opulento, l’alto e il basso. Il mediocre emerge come profilo di mezzo, né troppo né troppo poco — in particolare con un riferimento geografico, talmente remoto che non ne resta eco concreta nemmeno nell’uso del latino classico.
Il latino mediocris infatti è un composto di medius, ‘medio, che sta nel mezzo’, e ocris, nome raro per il rilievo, specie collinare e irregolare — nome che è stato scalzato, pare, dal più familiare collis. Quindi l’aggancio originale è alla mezza altezza del monte, e la qualità originaria che significa come aggettivo è proprio l’alto, alto non troppo, alto a metà.
Nel mediocre quindi c’è anche la compostezza della via di mezzo, l’equilibrio del giusto mezzo. E questo è chiaro da lungo, lungo tempo — ce lo testimonia in modo memorabile la celebre locuzione del poeta latino Orazio, che verseggiava e filosofava dell’aurea mediocritas, della mediocrità dorata, quella di una vita senza eccessi, del godimento misurato.
Posso parlare delle distanze mediocri che ci separano da alcuni luoghi che sarebbe interessante vedere, posso parlare dell’appoggio mediocre che diamo all’iniziativa, dell’investimento mediocre che abbiamo fatto comprando certe partecipazioni, della città mediocre in cui viviamo, che non è una metropoli ma nemmeno un paesello, del risultato mediocre che ci porta a metà classifica. Strano effetto, eh? Difficile interpretare questo aggettivo, leggendolo, nel suo senso… mediocre. Ci tornerebbe molto meglio il semplice ‘medio’.
Già perché il mediocre è vissuto quasi sempre come inferiore, scadente, dozzinale. E non da noi ai giorni nostri perché viviamo in tempi sofisticati e decaduti — già il latino mediocris, con buona pace di Orazio, era anche e forse soprattutto il meschino, il modesto, l’insignificante, lo scarso. È tremendamente difficile, con tutta evidenza, considerare il medio come buono — e ci potrebbe essere qualcosa di universale, in questa difficoltà. Ed è magnifico che questa complessità si regga sul sottile, concreto, strano perno di quel remoto ocris.
Abbiamo molte parole che insistono su questa regione di concetto, ma il mediocre ci offre un giudizio partecipe che pare insofferente e quindi (passaggio curioso) di mondo, ben aggrappato alle misure dell’elevato e dell’ottimo. Declina la sua inferiorità come inconsistenza di importanza e qualità, quando parliamo di paghe mediocri, di opere mediocri — nella seccatura di un rilievo che manca.
Riprendendo le attribuzioni di prima, piuttosto è mediocre una distanza quando la giudica la nostra amica ciclista che intendeva fare un giro più interessante e impegnativo, è mediocre l’appoggio senza convinzione e sostanzialmente inutile, l’investimento mediocre proprio non rende quanto avremmo voluto, la città mediocre ci stringe con orizzonti gretti, il risultato mediocre è basso. Senza contare che non fatichiamo nemmeno a individuare intere persone mediocri.
Certo è una parola corrente e a buon mercato, ma nella sua lunga storia si rivela forte e rivelatrice di come si possano squilibrare anche i significati più bilanciati, e di quale pensiero radicato ci sia dietro. Una parola vissuta e schietta, nella sua contraddizione.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Averne, di parole così. Non solo di pensiero raffinato, sottile e però accessibile, ma che in particolare leggano in maniera complessa e fertile un sentimento che lunga cultura ci insegna come negativo e piuttosto piatto.
Il campo è quello della tristezza — un’emozione dal nome misterioso: il latino tristis ha già il vasto significato di ‘triste’, senza che sia stato possibile ricostruire la sua storia precedente. Ma quella della malinconia non è una tristezza qualunque, anzi è una tristezza paradossale.
Victor Hugo, ne Les Travailleurs de la mer, la mise così: «La mélancolie, c’est le bonheur d’être triste» (‘La malinconia, è la felicità d’esser tristi’). In effetti, è una tristezza vaga, intima e… contenta di sé. Nella sua delicatezza non è meno intensa della tristezza, ma ecco: è un’emozione comoda, da starci dentro.
Caso curiosissimo, si direbbe; eppure in realtà è solo particolarmente chiaro, oltre che eccellente. Abbiamo anche altri sentimenti negativi che hanno le loro declinazioni piacevoli, che ci danno contentezza. Abbiamo rabbie comode in cui indulgiamo con piacere — pensiamo alla sete di giustizia. Che arsura convinta di sé! E quindi contenta di sé. Pensiamo al numero di esperienze amatissime (e anche alla fetta di mercato) in cui il divertimento ricercato è la paura. Che delusione i film horror che non ti danno la coccola elettrica dell’adrenalina! Che meraviglia dondolare sulle cime degli alberi nell’ebbrezza della vertigine! Senza contare i sottili piaceri della chiusura e della diffidenza. Paure in cui ci accomodiamo.
Beninteso, la malinconia non nasce così. È uno dei tanti termini che ci arriva dalla medicina ippocratica, che per quanto fallace è stato il paradigma medico per una caterva di secoli.
Alla lettera la malinconia (in greco melankholía) è la bile nera, uno dei quattro umori fondamentali di questa teoria (insieme a bile gialla, flemma e sangue). Dal loro equilibrio dipendono tutti i caratteri e gli accidenti di salute.
Quando questo umor nero prevale sugli altri, determina un temperamento triste — il temperamento malinconico o atrabiliare (stessa zuppa). Triste, introspettivo, contemplativo, di variegata inquietudine. Ma curiosamente, più dei colleghi ippocratici parigrado quale il flemmatico, il sanguigno, il collerico, ha saputo affrancarsi dalle maglie tradizionali delle complessioni umorali d’Ippocrate, verso quella che sembra una complessità ulteriore.
Lentamente, a partire dai tecnicismi medievali in cui è evidentemente un termine della tradizione medica, la malinconia s’innverva di sfumature e impressioni che finiscono per darle una consistenza differente e proteiforme. Certo, la permanenza di una considerazione scura si vede anche dallo stesso nome: in latino tardo questo sentimento era melanchòlia, e in italiano è stato adattato in una quantità di varianti — melanconìa, maninconia, melancolìa e via dicendo. Ma ‘malinconia’ ha prevalso, nella sua arbitrarietà, anche in virtù dell’attrazione di ‘male’.
Ha avuto un carattere di affezione medica, diciamo pure di malattia, ancora in un paradigma più moderno, sei-settecentesco (un po’ al modo della nostalgia), senza contare il ruolo che ha avuto in fasi posteriori, in psicologia e psichiatria. Ma è col romanticismo ottocentesco che riesce a sviluppare una complessità inusitata, e a diventare un grande nervo della letteratura.
Nell’uso comune che si è affermato non è una tristezza desolata, che avvilisce e addolora. Non è una tristezza tetra, opprimente, insoddisfatta. Può germogliare da vaghe inquietudini e delusioni. Può essere una tristezza consapevole, ricca di comprensione, di empatia, di contemplazione. Può essere una tristezza dolce, a cui ci si abbandona, perfino con una dimensione esistenziale.
Curioso che questo ci faccia tornare ai caratteri più sottili della complessione malinconica d’Ippocrate: sotto al banale cupo aveva il caratteri del saturnino e del riflessivo — e Aristotele la diceva ricorrente in personalità straordinarie.
Possiamo leggere pagine malinconiche di divulgazione storica, su città gloriose finite là dove sono finite le nevi di un tempo; nella cerimonia festosa una riflessione malinconica dà profondità e prospettiva; e il pomeriggio malinconico ci dà uno spazio di respiro e pensiero.
Sorprendente che una parola riesca a rappresentare una vastità interiore così precisa e priva di contorni insieme.