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Casaluce, 1948 – Freddò il fidanzato della figlia considerata una “svergognata”. La condanna definitiva per omicidio fu a 10 anni di reclusione di Ferdinando Terlizzi (*)   

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Casaluce, 1948 – Freddò il fidanzato della figlia considerata una “svergognata”. La condanna definitiva per omicidio fu a 10 anni di reclusione

di Ferdinando Terlizzi (*) 

 

Alle ore 8 circa del 17 novembre del 1948, in Casaluce in prossimità del passaggio a livello della Ferrovia Alifana, Ferdinando Messina, di anni 45, esplodeva all’indirizzo del giovane Luigi Di Fraia di anni 20, due colpi di pistola attingendolo al 7° spazio intercostale posteriore. Dopo i ricoveri, prima presso l’Ospedale “Incurabili” di Napoli, poi, presso l’Ospedale Cardarelli e successivamente, all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, il giovane decedette in Casaluce il 3 aprile del 1950. In ordine ai fatti si accertava che il Di Fraia da molti anni amoreggiava con la figliuola del Messina, Maria contro l’espresso divieto dei genitori della ragazza i quali aspiravano ad un partito migliore nell’interesse di lei.  La fanciulla dal canto suo corrispondeva teneramente la passione del Di Fraia ed aveva in proposito manifestato alla madre il suo punto di vista opponendo alla repressione talvolta violenta dei genitori un contegno risoluto di ribellione.  La sera nel 16 novembre del 1948 la moglie del Messina, Raffaella Sorgente, constatò che la Maria si era allontanata di casa, per incontrare il suo fidanzato. Poiché le circostanze denunciavano chiaramente il trascorso, la ragazza fu aspramente rampognata e minacciata di più gravi sanzioni. Il genitore le ingiungeva – addirittura – di allontanarsi definitivamente dalla casa paterna. Il giorno successivo, di buon’ora, il Messina  – uscì di casa e raggiunse la piazza nelle cui adiacenze aveva la bottega di carpentiere.

Non iniziò neppure il suo lavoro ma si pose di vedetta di prospetto al vicolo nel quale era l’abitazione del Di Fraia.  Un’ora dopo, avvistato il Luigi Di Fraia – che dal vicolo si portava nella piazza dirigendosi in compagnia di Vincenzo Picone, verso la via principale che mena a Teverola – il Messina attese che i due si avvicinassero per imboccare il passaggio a livello. Intimò quindi al Picone di spostarsi dal Di Fraia e fulmineamente esplose contro costui – nell’intervallo di pochi secondi – due colpi di pistola. Il giovane, attinto, si abbatté al suolo invocando soccorso. Poi il Messina si allontanò rendendosi irreperibile. A processo per omicidio, a termine della sua requisitoria il pubblico ministero, con la esclusione della aggravante della premeditazione, chiedeva condannarsi il Messina ad anni 25 di reclusione. I difensori insistevano con esclusione della volontà omicida, della premeditazione e la concessione delle attenuanti dei particolari motivi di valore morale e sociale, delle attenuanti generiche ed in subordine del vizio parziale di mente. La Corte accolse la richiesta delle attenuanti della provocazione e la condanna fu ad anni 17 di reclusione. In sede di Appello, con sentenza del 21 marzo 1953, dopo la requisitoria con la richiesta delle attenuanti generiche ed una condanna ad anni 15 e mesi 6; e dopo le arringhe degli avvocati: Alberto Martucci, Luciano Numeroso e Giovanni Porzio, con il riconoscimento delle attenuanti generiche la Corte emise una condanna ad anni 10 di reclusione.

 

(*) Ferdinando Terlizzi – Delitti in bianco & nero a Caserta – Processi, enigmi, retroscena, orrori e verità / Un viaggio nella provincia attraverso la morte, la passione, la vendetta e l’odio.  Edizioni Italia – 2017 –

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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