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El leon de S. Marco xé fato in Cina

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Il leone di bronzo che da secoli veglia sulla città lagunare e sugli estesi territori della Serenissima da una delle due colonne di piazza San Marco non è un leone e non è stato realizzato a Venezia. La notizia, subito rimbalzata sui media di mezzo mondo, è stata data la scorsa settimana durante il Convegno internazionale di studi su Marco Polo (1254 – 1324) organizzato nell’ambito delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del celebre mercante viaggiatore veneziano. Un team di studiosi e studiose di geologia, chimica, archeologia e storia dell’arte dell’Università di Padova e dell’Associazione internazionale di studi sul Mediterraneo e l’Oriente ha effettuato nei mesi scorsi approfondite analisi sulla celebre scultura, simbolo universale di Venezia e del Veneto, giungendo alla conclusione che la colossale statua sia molto probabilmente un elaborato rimontaggio di quello che era inizialmente uno zhènmùshòu fuso in epoca Tang (tra il sesto e il nono secolo d.C.) con rame proveniente dalle miniere del bacino del Fiume Azzurro nel sud della Cina. Gli zhènmùshòu, nella mitologia cinese, erano delle specie di chimere, creature fantastiche formate “assemblando” parti di animali diversi, che venivano poste a guardia delle tombe degli imperatori e dei più importanti dignitari delle loro corti. Oltre alla testa felina e alle ali, erano dotate di corna simili a quelle di un’antilope, che nel caso della scultura di piazza San Marco sarebbero state poi segate in quanto non compatibili con l’iconografia cristiana dell’evangelista patrono delle terre venete. L’affascinante ipotesi, avanzata durante il medesimo convegno, è che la statua potrebbe essere stata portata a Venezia dal padre di Marco Polo, Nicolò, che con il fratello Maffeo aveva raggiunto e visitato Pechino già attorno al 1264. Un’impresa davvero straordinaria, considerando i mezzi dell’epoca, la mole della statua (3 tonnellate di peso per 4 metri di lunghezza) e l’altezza della colonna (15 metri), che molto racconta dell’intraprendenza e anche, secondo alcuni, della spregiudicatezza dei mercanti veneziani. Valutata con i criteri di oggi, la trasformazione di una chimera cinese nel leone di San Marco, si potrebbe definire, nel linguaggio del politicamente corretto, una sorta di indebita “appropriazione culturale”, ma forse è più corretto pensare che, nel ragionare dell’uomo medievale, il ritrovarsi inaspettato di alcuni simboli conosciuti in un paese tanto lontano costituisse una confortate conferma della propria concezione del mondo, permettendo al contempo quell’apertura culturale che caratterizzò la Serenissima e in generale il mondo antico ben prima della globalizzazione contemporanea. Dunque, aldilà del sorriso strappato a molti per un leone che, essendo “made in China” risulterebbe, come dicono i ragazzi “tarocco”, la storia di questa scultura, così iconica per i veneti, dovrebbe darci da pensare sull’utilizzo che molte volte viene fatto dei simboli, utilizzati in chiave funzionale e spesso in modo fazioso in molti contesti politici e talvolta anche religiosi.
La nostra identità personale e comunitaria, come conferma anche la vicenda del “leone” di piazza San Marco, è frutto di un crogiuolo di culture, popoli e storie differenti. La “purezza” di un popolo, di una cultura o di una tradizione religiosa è solo (la storia del Novecento lo insegna drammaticamente) un mito pericoloso. E la forza del cristianesimo, quella che gli permetterà di valicare anche l’attuale cambio d’epoca, sta proprio nella sua capacità di “inculturarsi”, dialogando, trovando punti comuni e arricchendosi a partire dalle diverse sensibilità e tradizioni con cui si viene a trovare in contatto. Come fecero i padri della Chiesa… e gli scaltri mercanti veneziani!

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(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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