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Scuola, insegnamento e filosofia / Intervista a Salvatore Grandone

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Il nostro Gianpaolo Di Lauro intervista  il prof.  Salvatore Grandine, docente di filosofia e storia, dottore di ricerca e autore di saggi scientifici e divulgativi come Esercizi del pensiero. Filosofia per concetti e Duelli filosofici Diarkos editore. 

1) Come valuta lo stato di salute della filosofia nell’epoca attuale?

Oggi la situazione è tendenzialmente positiva. C’è un grande interesse, sia a livello istituzionale che tra il pubblico. La disciplina accademica tende a frammentarsi e a creare sempre più ambiti specializzati, anche se spesso si corre il rischio di iper-specializzazione, che rende la filosofia inaccessibile a chi non ha solide basi. Tuttavia, a livello popolare, c’è un nuovo interesse, dovuto alle esigenze di un periodo di crisi, in cui l’uomo comune inizia a farsi grandi domande e si rivolge ai filosofi. Da questo punto di vista, emerge un problema opposto: la banalizzazione. Gli influencer, che si improvvisano filosofi e divulgatori, spesso travisano e restituiscono un messaggio mistificato del pensiero filosofico. Questo fenomeno è molto diffuso anche in altri settori e viene spesso supportato dalle grandi case editrici. Per chi non ha solide basi o non ne ha affatto, la diffusione di un messaggio filosofico, in questo modo, tende ad allontanare le persone dallo studio della filosofia, facendola apparire superficiale.

2) Lei adduce come problematica la definizione stessa di filosofia, è per questo che è così bistrattata Magari anche per via della frammentazione degli ambiti filosofici?

Fino a Kant, la filosofia era generalmente intesa come ricerca metafisica e le due cose coincidevano. Dopo di lui, la prospettiva cambiò: se la filosofia non può essere metafisica, allora cos’è? Iniziarono a emergere diverse risposte: per alcuni, è la gnoseologia; per altri, il percorso di ricerca della felicità, e così via. Filosofi come Deleuze, ad esempio, sostengono che la filosofia è l’attività del nostro pensiero che crea concetti di qualsiasi tipo. Questa definizione di Deleuze è ampia, ma comunque soggetta a contestazioni. Altri filosofi, come Pierre Hadot, ritengono che la vera filosofia sia quella che porta al cambiamento di noi stessi; Hadot applica questa visione anche alla filosofia antica, offrendoci una definizione chiaramente antropo-tecnica. Definire la filosofia è, dunque, una scelta che riguarda non solo l’ambito razionale ma anche un’introspezione legata al vissuto. Personalmente, mi ritrovo sia nella visione di Hadot che in quella di Deleuze: per me, la filosofia è essenzialmente trasformativa. Tendo sempre, anche in classe con i miei alunni, ad attualizzare il pensiero dei filosofi per rileggerlo all’interno di un problema vitale, sia mio che degli altri.

3) Quanto c’è bisogno di filosofi nella classe dirigente e nell’apparato politico e burocratico oggi?

Tantissimo. La questione della partecipazione dei filosofi alla politica è antica quanto la filosofia stessa. Platone immaginava una città ideale in cui i filosofi re, si concentravano su giustizia, equità, conoscenza e bene della collettività. Platone osservava anche che, in generale, la brama di potere e il desiderio di gloria sono le passioni e gli interessi che guidano la classe politica. Come puoi vedere, le cose non sono cambiate molto: oggi abbiamo a che fare con una classe politica spesso intemper
ante e mossa da interessi particolari. Figure come i filosofi potrebbero essere utili anche in ambiti come gli ospedali, dove molti medici non riescono a gestire i pazienti da un punto di vista umano. I filosofi, in questo senso, potrebbero fare la differenza. C’è un grande bisogno di filosofia anche nelle multinazionali, che praticano un’economia priva di etica. Sarebbe auspicabile che filosofi intervenissero per fissare dei limiti a questo liberismo economico.

4) Il problema dello studio della filosofia nelle scuole, da quando è stato pubblicato il suo lavoro, è stato affrontato con serietà o si è rimasti al punto di partenza

Dal punto di vista della manualistica, siamo al punto di partenza, i manuali si strutturano tutti allo stesso modo: il linguaggio tecnico, i concetti chiave dei filosofi spiegati in modo difficile e la scansione cronologica. Questo approccio risulta molto avulso dalla realtà. Anche le case editrici hanno le loro responsabilità. Sebbene ci si sia posti il problema a livello nazionale, ciò è avvenuto solo sulla carta. Esiste una contraddizione interna tra la promozione della didattica per competenze e lo studio di alcuni autori imprescindibili. Io, per esempio, insegno ai miei alunni Diogene il Cinico, Antistene e Aristippo, autori completamente assenti dai manuali. Adotto un approccio terapeutico: partendo dalla sintomatologia, passo alla diagnosi, all’eziologia e alla terapia, ovviamente con i filosofi che si prestano a questo tipo di strutturazione. Questo tipo di didattica terapeutica l’ho proposto anche su una rivista filosofica. È un lavoro enorme e non previsto dalle indicazioni nazionali, ma rientra comunque nella didattica per competenze. In Francia, la filosofia per concetti è l’unico approccio adottato, mentre in Italia è molto poco diffuso: i manuali che lo utilizzano sono rarissimi e hanno avuto una scarsissima diffusione. Non si tratta di demonizzare l’approccio storico, che è ovvio sia utile, ma andrebbe integrato con questo tipo di didattica.

5) Pensa che lo stesso problema si possa presentare anche nelle università?
 Diciamo che nell’ambito universitario il problema della didattica non si pone affatto. Nei licei, invece, ci si interroga, ma il fatto che non ci siano soluzioni utili è un altro discorso. Spesso si propongono come testi d’esame opere di autori secondari, di cui il professore è esperto, ma si dimenticano i classici. Se io fossi un professore di Gnoseologia e assegnassi il testo di un autore semisconosciuto, che ho trattato nei miei ambiti di ricerca, tralasciando la “Critica della Ragion Pura”, è ovvio che causerei un danno. Lo studente uscirebbe dall’università con conoscenze sparpagliate, sapendo un po’ di tutto e un po’ di nulla, mancando quindi sia di competenze che di contenuti.

In Italia, inoltre, si tende a far scrivere poco i ragazzi. In Canada, al contrario, si incoraggia gli studenti a tenere convegni già dalla triennale, imparando così a strutturare interventi e a scrivere testi argomentativi. Questi problemi andrebbero affrontati in modo serio: non si può uscire dall’università senza aver letto opere fondamentali come la Metafisica di Aristotele, il Parmenide e il Sofista di Platone. Il confronto con le università tedesche, francesi e canadesi è impietoso, sebbene ci siano delle dovute eccezioni.

6) Pensa che un approccio come quello francese possa essere implementato anche nelle scuole italiane?

Si potrebbe integrare il nostro approccio con la tradizione. In Francia,
spesso si adottano metodi eccessivamente analitici: ogni problema viene affrontato scomponendo il periodo parola per parola, rischiando di svilirne il significato. Come direbbe Vico, si sfocia nella “barbarie della ragione”. In Italia, sarebbe utile coniugare l’approccio per concetti con una sensibilità storica, nella quale noi italiani siamo particolarmente ferrati. Potremmo anche implementare l’approccio terapeutico: data la complessità delle sfide che affrontano i giovani, è fondamentale utilizzare la filosofia come terapia dell’anima.
7) Un consiglio a un ragazzo che si appresta a studiare filosofia

Il mio consiglio è di coltivare la passione per la filosofia in modo autonomo, senza fossilizzarsi sull’esame o sul voto. Scegliere di studiare filosofia è una scelta di vita, non semplicemente lavorativa. Decidere di intraprendere questo percorso per trovare lavoro è impensabile. È importante guardarsi intorno: non è
una facoltà come le altre. Prima si sceglie la filosofia, e solo successivamente si sceglie la facoltà di filosofia.

 

8) Un volume che ritiene imprescindibile per il percorso nelle scienze filosofiche?

Dal punto di vista di un percorso di trasformazione, sceglierei i “Pensieri” di Marco Aurelio, i testi di Epitteto, i “Pensieri” di Pascal e le “Massime” di La Rochefoucauld, oltre ad alcuni dialoghi di Platone. Se invece si pensasse alla filosofia più pura, consiglierei “Essere e Tempo” di Heidegger. I classici possono variare a seconda dell’interesse personale nei confronti della filosofia.

 

10)Cosa pensa della P4C?

La Philosophy for Children è fondamentale, poiché i bambini sono già piccoli filosofi e si pongono tante domande. La filosofia dovrebbe essere una disciplina permanente nella scuola primaria. Non ci sono limiti nell’insegnamento della filosofia: può essere declinata per tutti. Epicuro affermava che non si è mai né troppo giovani né troppo vecchi per iniziare a filosofare.

Nel nord Italia, ci sono laboratori di filosofia nelle case di riposo per anziani, dimostrando che la filosofia non ha età né luoghi. Il filosofo scende in campo, come Socrate, per dialogare con tutti in modo profondo, accettando di essere messo in discussione.

 

11)Cosa ha notato di diverso, rispetto alle università italiane, nei suoi studi all’estero, specialmente in Canada e in Francia

In Francia c’è sicuramente una maggiore organizzazione e la figura del filosofo è tenuta in grande considerazione, come dimostra la ricchezza di centri dedicati allo studio della disciplina filosofica. In Canada, invece, si riscontra una certa povertà di contenuti, con ricerche più scontate e superficiali. Tuttavia, anche lì c’è grande attenzione alla didattica e al benessere degli studenti: l’esame, come viene concepito in Italia, sarebbe impensabile. Durante il percorso triennale, gli studenti devono scrivere, pubblicare e produrre. Un ragazzo canadese, rispetto a uno studente italiano, avrà forse meno contenuti, ma competenze decisamente più sviluppate.

12)Secondo lei, la comunicazione del pensiero filosofico ha reso questa disciplina di nicchia Di astratto?

Da Kant in poi, la filosofia diventa sempre più una disciplina universitaria. Dal punto di vista economico, questo è ovviamente positivo, ma d’altro canto si osserva una certa chiusura, confinando la filosofia nelle mura accademiche. Essa diventa una disciplina specialistica. Prendiamo ad esempio Platone e Kant: entrambi sono filosofi complessi, ma è evidente che la “Critica della ragion pura” è, nella lettura, più impegnativa rispetto al “Simposio”. Qui c’è un altro tipo di linguaggio, e la comprensibilità diventa meno accessibile.

In entrambi i casi, però, si trovano argomenti profondi e significativi. Purtroppo, il mondo accademico è poco attento alla divulgazione, che invece rappresenta un settore fondamentale.

 

13)La definizione che dà di filosofia nel suo libro è estremamente interessante. Dice che serve ad agire bene. Mi viene in mente la definizione di Aldo Masullo che esplicava che la filosofia non è solo amore del sapere, ma sapere dell’amore. Si ritrova in quest’ottica

Sì, in effetti l’amore per il sapere ti spinge a spogliarti dei tuoi pregiudizi e delle tue opinioni, ammettendo la tua ignoranza. Questo è un atto d’amore: riconoscere la propria ignoranza ti aiuta a liberarti dall’invidia e dalla gelosia. La filosofia trasforma l’atteggiamento emotivo nei confronti del mondo. L’amore e il sapere sono due aspetti strettamente collegati.

 

14)Pensa che l’intelligenza artificiale possa essere un pericolo o un arma in più nella didattica della filosofia

Secondo me, l’intelligenza artificiale può essere utile, ma va utilizzata con attenzione. Con i miei studenti stiamo costruendo dei dialoghi impossibili, partendo da alcuni filosofi e da determinati problemi, utilizzando l’IA. La utilizziamo come spunto per sviluppare e implementare laboratori di filosofia molto originali.

15)Si tende più a formare il pensiero o la formazione filosofica dello studente?

Spesso, purtroppo, l’approccio è più nozionistico. Se osserviamo i ragazzi che escono dal liceo, i risultati della didattica filosofica sono prevalentemente, se non esclusivamente, di tipo storico-nozionistico.

16)Il dialogo e il dibattito sono elementi che mancano nelle classi italiane, potrebbero essere utili o meno per una formazione del pensiero dei ragazzi?

I dibattiti sono fondamentali perché presentano strategie molto utili per strutturare un’argomentazione e riconoscerne le fallacie. Spesso faccio fare ai ragazzi degli esercizi basati su post sui social, invitandoli a identificare i diversi tipi di fallacie. Penso sia un aspetto da attenzionare nella didattica della scuola italiana.

17)L’apporto interdisciplinare è utile o meno alla strutturazione dell’insegnamento filosofico?

 Diciamo che è utile, ma richiede la collaborazione tra colleghi. Si potrebbero realizzare percorsi di bioetica e filosofia della biologia, ma è fondamentale pianificare queste iniziative insieme ad altri docenti, che spesso non sono disponibili a intraprendere percorsi di questo tipo.

19)Sarebbe utile aprire scuole di riflessione filosofica

 In Francia e in Belgio già esistono scuole di questo tipo, che si ispirano a una modernizzazione delle scuole platoniche e aristoteliche. Si tratta di laboratori che riprendono la pratica degli esercizi spirituali, attualizzandoli e programmando l’affronto di tematiche e problematiche filosofiche, sia a livello individuale che di gruppo.

 

20)Come si auspica la scuola del futuro?

 Io desidero una scuola che si preoccupi delle competenze e della cura di sé. È fondamentale riprendere il messaggio del benessere personale per vivere bene con gli altri. Servirebbe una scuola meno aziendalistica e meno di stampo capitalistico, che non porta a molto e non aiuta a sconfiggere i disagi.

21)Sulla scuola, in particolare sui ragazzi, oggi regna una sorta di “nostalgismo”. Lei si ritrova in questa visione, prima i ragazzi studiavano di più? Erano più preparati? O si tratta solo di una mistificazione delle vecchie generazioni?

 Se ragioniamo da un punto di vista nozionistico, si potrebbe dire di sì, ma la vera scuola non insegna solo nozioni. Se i ragazzi sanno meno rispetto agli anni ’80 e ’90, non è un problema. Sulla carta ci stiamo modernizzando, ma in pratica siamo ancora confusi. Esiste una coesistenza strana tra nuovo e tradizione, e di conseguenza manca una linea comune.

22)Lei dirige la rivista “Figure dell’Immaginario” su cosa verte e che obiettivi ha questo progetto?

In questo momento la rivista è un po’ ferma. Aveva una vocazione interdisciplinare, che di per sé rappresenta già un progetto faticoso. Abbiamo pubblicato diversi numeri, anche in collaborazione con amici come il prof. Pasquale Vitale. Si tratta di progetti validi che io ho portato dalla Francia, dove erano però finanziati dall’università. È necessario ripensarla in un’ottica più gestibile, anche in un futuro vicino.

 

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