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“Immischiati”. De Palo: “La partecipazione è un dono. Da ottobre partono gli eventi in 5 città”

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“Immischiati! Non guardare la vita dal balcone, mettiti in gioco!”. È l’invito che viene dal progetto “Immischiati”, che campeggia sul portale nato ad hoc per l’iniziativa. “Immischiati” è oggi un format e una enciclopedia digitale accessibile sulla Dottrina sociale della Chiesa, con oltre 8mila iscritti in tutta Italia. Il progetto nasce circa 10 anni fa per cercare di raccontare la Dottrina sociale della Chiesa in modo non convenzionale. L’obiettivo del percorso, che da settembre 2022 propone dei video corsi, webinar, podcast e dispense, ed ora è diventato anche un tour in varie città italiane, è quello di risvegliare il desiderio di partecipazione nelle persone di buona volontà cercando di andare oltre le divisioni ideologiche ormai superate e, spesso, limitanti. Dopo una prima esperienza l’anno scorso a Sfruz, quest’estate, a Roma, dal 30 agosto al 1° settembre 80 giovani, con età media 25 anni, hanno partecipato al campo estivo organizzato dal team di “Immischiati”, per riflettere sulla partecipazione. La tre giorni si è svolta presso la casa per ferie Seraphicum. A confrontarsi con i giovani don Luigi Maria Epicoco, don Gabriele Vecchione, Simone Budini, Concita De Simone, Oscar Distefano, Anna Chiara Gambini, Serena Zancla. A Gigi De Palo, ideatore del progetto “Immischiati”, chiediamo un bilancio del campo estivo e le prospettive future di “Immischiati”.

(Foto progetto “Immischiati”)

Con quale fine avete organizzato il secondo campo estivo di “Immischiati”?

L’obiettivo era mettere insieme un po’ di persone provenienti da tutta Italia – sono venuti 80 giovani – per ragionare su come la partecipazione non sia un atto di volontà. Se pensiamo che la partecipazione sia un obbligo o un imperativo categorico e ci sforziamo di trovare il modo in cui partecipare, alla prima difficoltà, al primo fallimento lasciamo tutto. Noi con gli 80 ragazzi presenti abbiamo cercato di ragionare sulle radici ultime della partecipazione, non tanto sul “come” – e quindi l’aspetto della competenza -, non tanto “sulle conoscenze tecniche”, ad esempio la delibera come funziona, nemmeno sul “con chi” e nemmeno sul “dove”, ma il ragionamento è stato sul “perché” partecipare.

Il campo di Roma è servito per far comprendere che la partecipazione è un dono,

nasce dal fatto che hai ricevuto molto e senti il desiderio di dover ridare altrettanto. È importante capire questo altrimenti la maggior parte delle persone, tra famiglia e lavoro, non riesce a partecipare. C’è chi si sente in colpa ma il proprio contributo ciascuno lo deve dare nel luogo dove sta operando: non ti devi candidare per partecipare, devi fare bene il tuo lavoro. Se sei un medico lo devi fare bene e questo è un modo attraverso il quale stai compiendo l’atto politico più importante di tutti.

Avete cercato di trasmettere una visione più matura della partecipazione…

Sì, abbiamo cercato di far comprendere che la partecipazione non è un obbligo, né tantomeno un modo per occupare spazi e poltrone, ma il desiderio di dare il proprio contributo alla luce dei doni che hai ricevuto. La partecipazione è un modo per creare processi nel tempo e, affinché porti frutto, occorre rispondere alla domanda fondamentale sul perché i cattolici sono chiamati alla partecipazione, che è uno dei pilastri della Dottrina sociale della Chiesa. L’iniziativa è già una prima risposta agli stimoli della Settimana sociale dei cattolici di Trieste: nel cristianesimo c’è insito il discorso del dare la vita e da cristiano la vita la dai non solo in famiglia e sul lavoro, ma in tutti gli ambienti in cui ti trovi e anche da come vivi la tua cittadinanza, perché la politica non riguarda solamente il Parlamento o le elezioni amministrative, non riguarda solo il sindaco o il presidente della regione. Anche a proposito dell’astensione, non è solo nell’andare a votare che si gioca la partecipazione. Il voto è il pezzo finale di uno stile di vita che presuppone la partecipazione. La politica riguarda il consiglio d’istituto nella scuola dei nostri figli, il nostro quartiere, la cura del parco sotto casa, le assemblee di condominio, la gestione etica di un’azienda. Il modo in cui viviamo la nostra quotidianità. Devi fare bene in famiglia, a scuola, nel consiglio di istituto, nel condominio. Se man mano risolvi piccoli problemi, poi ti viene il desiderio di risolverne più grandi, perché quando vedi che il tuo esserci o non esserci non è neutro e, se ci sei, rappresenti un valore aggiunto, da lì parte il desiderio di ampliare la soglia, il tempo, l’energia della tua partecipazione.



Come hanno reagito i giovani alla vostra proposta

Si è respirato un clima molto bello e amicale. I ragazzi partecipanti sono stati contenti e hanno apprezzato quello che hanno vissuto: hanno visto che “Immischiati” è fatto da persone concrete che hanno dedicato giornate della loro vita di fine agosto per parlare con loro. Tutto ciò è contagioso. Si percepiva una grande serietà da parte dell’équipe di “Immischiati”: abbiamo dedicato il nostro tempo a titolo gratuito, ma non era neanche scontato che venissero tanti ragazzi da tutta Italia per ascoltare le nostre sollecitazioni. C’è un desiderio, c’è del bello, del buono, dobbiamo cercare di non sprecarlo, di valorizzarlo e di formarlo. Ed è stato bello anche che era rappresentata quasi tutta l’Italia attraverso i giovani partecipanti: c’erano ragazzi da Trieste, Cagliari, Reggio Calabria, Torino. Alcuni giovani – una quindicina – li abbiamo intercettati attraverso il nostro stand alla Settimana sociale di Trieste e li abbiamo invitati a venire. Le persone che sono venute e che avevano partecipato in precedenza a campi di questo tipo si sono molto meravigliate che non abbiamo dato indicazioni ideologiche sul voto. Il nostro approccio, infatti, è partire dalla Dottrina sociale della Chiesa, non ci sono ammiccamenti, ognuno vota chi crede.

Ci sono stati momenti particolarmente apprezzati durante il campo?

L’intervento introduttivo di don Epicoco è stato molto bello perché ha invitato a uscire dal guscio, a spendersi partendo dal proprio territorio. È stato un momento molto forte il tour di sabato sera al centro di Roma con tappe in alcuni luoghi significativi dove è stata data la vita. La prima tappa è stata al Carcere Mamertino abbiamo raccontato la storia dei santi Pietro e Paolo, due martiri che hanno dato la vita a Roma e hanno scompaginato la stagnazione dell’impero romano, infatti grazie ai cristiani è cambiata la storia dell’impero. Poi siamo passati davanti al santuario di Santa Francesca Romana, al monastero di Tor de’ Specchi, e abbiamo parlato di un’altra persona che ha dato la vita a livello di impegno politico, perché, pur essendo nata da una famiglia abbiente e pur essendo stata costretta a sposare il marito, si occupava dei poveri, andava a regalare il grano, si occupava dei malati. Poi siamo andati a piazza Navona dove abbiamo visitato la cripta di Sant’Agnese in Agone: anche qui la storia di una bambina che ha dato la vita pur di non scendere a mediazioni con il potere temporale, poi siamo andati al Parlamento e abbiamo fatto una preghiera lunga per i nostri politici, perché al di là del nostro essere chiamati a una partecipazione e al nostro essere un pungolo, è importante ricordare che siamo chiamati anche a pregare per i nostri politici, ma lo facciamo raramente: è stato un momento particolare perché non capita di vedere tutti i giorni 80 persone che pregano sotto il Parlamento; è stato un modo per ricordarci non solo che la preghiera ha una sua forza, ma che c’è anche questo da fare, pregare per i politici. Abbiamo finito il tour a via Caetani, dove abbiamo ascoltato la telefonata dei brigatisti a Francesco Tritto che annunciava la morte di Aldo Moro e precisava il luogo dove avrebbe potuto essere ritrovato il corpo: è stata l’occasione per approfondire la figura di Moro.



Quello di Roma è stato il vostro secondo campo…

Già lo scorso anno abbiamo fatto il primo campo ed eravamo una quarantina, quest’anno abbiamo raddoppiato e abbiamo escluso partecipanti sopra i 40 anni, c’erano un centinaio di iscritti sopra i 40 anni, ma abbiamo dato priorità ai giovani.

Come continua “Immischiati”?

Il progetto continua sempre con i corsi di formazione sul sito, siamo arrivati a 8.500 iscritti al portale, continuano i webinar una volta al mese con gli esperti del mondo cattolico, verranno aggiunti man mano contenuti, i podcast. Adesso, però, inizia anche la seconda fase di “Immischiati” che è più complessa e che vuole trasformare tutti i contenuti in lavoro insieme: concretamente abbiamo deciso di organizzare cinque eventi in altrettante città italiane, ogni evento su un pilastro della Dottrina sociale della Chiesa.

Il primo evento sarà il 18 ottobre a Verona e ci soffermeremo sul tema della “persona umana”.

Parteciperanno il sindaco, il vescovo Domenico Pompili, Franco Nembrini, Nicole Orlando. La seconda tappa sarà a Bologna sul “bene comune”. Si parlerà poi di “solidarietà” a Bari, di “sussidiarietà” a Milano e di “partecipazione” a Roma. Gli incontri inizieranno a ottobre 2024 per finire a settembre 2025. I ragazzi che hanno partecipato al campo di Roma saranno chiamati a darci una mano negli eventi che faremo.

Anche gli incontri sul territorio saranno rivolti principalmente ai giovani?

No, saranno rivolti a tutti, non ci sarà un target di riferimento. Oltre a offrire un momento di riflessione in quella città su uno dei pilastri della Dottrina sociale della Chiesa, quindi temi importanti, l’obiettivo sarà anche un modo attraverso il quale cerchiamo di lavorare insieme, di coinvolgere le persone.

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