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DONNE E LAVORO IN ITALIA: UNA DISPARITÀ CHE CI RIPORTA AL MEDIOEVO

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Il recente rapporto dell’OCSE ha sollevato un’amara verità: essere una donna laureata in Italia nel 2024 sembra non averci portato lontano dai secoli bui del Medioevo. Nonostante i progressi dell’istruzione e l’accesso al mondo del lavoro, i dati evidenziano un panorama desolante che ci fa sentire protagoniste di una discriminazione che non dovrebbe più esistere. Il rapporto ha infatti rivelato che una donna laureata guadagna in media solo il 58% di quanto percepito da un uomo con lo stesso titolo di studio. Questo dato colloca l’Italia all’ultimo posto tra i 38 Paesi dell’OCSE, dove la media della disparità salariale tra i sessi è del 23%.

 

A peggiorare la situazione, il divario è cresciuto rispetto al passato: nel 2016, le donne italiane guadagnavano il 73% rispetto ai colleghi maschi. In dieci anni, la differenza salariale è aumentata di ben 15 punti percentuali. Questi numeri ci rendono sempre più vittime di un sistema che sembra ancorato a logiche patriarcali, come se il nostro ruolo nel mondo del lavoro fosse un privilegio, non un diritto.

 

Una carriera a ostacoli: tra pregiudizi e segregazione

La differenza salariale non è l’unico aspetto che ci rende protagoniste di una disparità sociale. Sebbene le donne rappresentino il 55% dei laureati in Italia, quando si entra nel mondo del lavoro le barriere di genere diventano sempre più evidenti. Solo il 73% delle donne laureate trova un impiego, contro il 75% degli uomini. Questo dato, sebbene sembri di poco rilievo, cela dietro di sé pregiudizi radicati e una discriminazione strutturale.

 

Il rapporto dell’OCSE sottolinea infatti che le cause di questa ingiustizia sono molteplici e complesse. Tra queste, la segregazione occupazionale – che vede le donne concentrate in settori meno retribuiti – e i pregiudizi nelle pratiche di assunzione. Ma non finisce qui. Anche le opportunità di carriera sono drasticamente inferiori per le donne: siamo meno promosse, riceviamo meno aumenti e, nonostante il nostro impegno, siamo viste come un rischio per l’azienda, soprattutto quando arriva il momento di diventare madri.

 

Essere madri: un sacrificio che solo noi paghiamo

La maternità, poi, rappresenta un altro ostacolo insormontabile per molte donne lavoratrici. Nel nostro Paese, la nascita di un figlio è considerata un fatto privato, un peso che ricade quasi esclusivamente sulle spalle della madre. Le conseguenze sulla carriera sono devastanti: rallentamenti, stop forzati, e in molti casi, l’abbandono totale del lavoro. Al contrario, gli uomini non subiscono alcun contraccolpo, continuano le loro carriere senza interruzioni, senza essere penalizzati per il loro ruolo di padri.

 

Vittime di una società che non evolve

Questa situazione ci rende vittime di una società che si rifiuta di riconoscere il nostro valore, che ci costringe a lottare ogni giorno per diritti che dovrebbero essere scontati. Non siamo solo madri, mogli o figlie: siamo professioniste, lavoratrici, donne che meritano pari opportunità. Eppure, la realtà attuale ci vede relegate a ruoli secondari, con stipendi inferiori e carriere interrotte.

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