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‘Puparuoli gruósi mbottunati’ per un pranzo ‘geniale’: ricetta ‘scovata’ dallo storico Michele Russo

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Puparuoli gruósi mbottunati: Piglia chilli belli puparuoli che se fann’a la cito, e si sonc’ chilli gialli sonc meglio pecche’ so chiù duci, ne lieve chiano chiano co la ponta de cortiello lo struppone e pure co la semmenta appriesso, la quale ne la lievarraje tutta quanta facenno rummani’ lo struppone comm’a no tappariello; po piglio mollica de pane grattigiato o grattato, arecheta, alice salate senza li spine, aulive, e chiapparielli ntretati, sale e pepe e uoglio mbastato: co chesta rrobba mbottuuarraje li puparuoli, e co chillo struppone li ntapp’, doppo li friarraje dinto o la tiella co l’uoglio, ma senza farl’ àmmuscià quanto sulo li può spellicchià, doppo l’accuonciarraje dint’ a no ruoto co mollica de pane grattato, arecheta, sale e pepe, sott’e ncoppa, e nà bona ogliata, e dint’ a lo forno li farraje ncroscà” (Ippolito Cavalcanti, Cucina Teorica Pratica, Napoli, 1839).

L’arte culinaria è cultura ed è importante sapere qualcosa su ciò che mangiamo e che proponiamo come piatto tipico.

Oggi vi dico qualcosa sui “puparuoli” e condivido la ricetta originale di quelli “mbottunati” rigorosamente nella lingua napoletana del primo ‘800.

I peperoni allo stato selvatico sono tipici della regione andina e la loro prima domesticazione è avvenuta nel Messico ed in altre regioni dell’America meridionale.

Furono scoperti da Cristoforo Colombo che li portò in Spagna nel 1500. Da qui si diffusero in tutta Europa.

Il peperone però non venne utilizzato subito all’interno della cucina italiana bensì era destinato ad altre funzioni: ad esempio Leonardo Da Vinci lo usava essiccato e pestato come colore nei suoi quadri, altri invece utilizzavano i peperoni semplicemente come ornamento.

Del peperone troviamo alcuni cenni nella letteratura gastronomica del Seicento: Carlo Nascia lo propone con la cottura del tacchino e Antonio Latini per insaporire le salse.

Un secolo dopo Vincenzo Corrado qualifica ancora questo ortaggio come “cibo rustico e volgare” pur ammettendo che piaceva a molte persone.

Nell’Ottocento i peperoni sott’aceto di un oste veronese finirono addirittura sulle tavole di Napoleone, dell’imperatore D’Austria e del re di Napoli.

E poi c’è la ricetta sopra riportata, descritta da Ippolito Cavalcanti, che fa emergere il “puparuolo mbottinato” all’interno della cucina napoletana.

(Michele Russo – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web© Diritti riservati all’autore)

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