Francesca Comencini racconta il padre Luigi nel film “Il tempo che ci vuole”. A Venezia81 le novità di Tv2000
Decimo giorno alla Mostra del Cinema. Anzitutto, protagonista è Francesca Comencini che presenta fuori Concorso “Il tempo che ci vuole”, un inedito ritratto del padre Luigi, tra ricordi personali e suggestioni cinematografiche. Narrato con dolcezza e malinconia, il film scorre come un intenso dialogo padre-figlia, ma anche maestro-allieva, toccando pagine personali e di storia del cinema. Protagonisti Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano. Ancora, l’ultimo film in gara di Venezia81 è il norvegese “Love” (“Kjærlighet”) di Dag Johan Haugerud, secondo capitolo della sua trilogia dedicata all’esplorazione dell’animo umano e delle relazioni. Ambientato nella Oslo contemporanea, è un racconto che si muove in maniera elegante, con dialoghi però torrenziali, con uno stile che rimanda idealmente al cinema di Ingmar Bergman. Con dispersioni e furbizie, l’opera si muove lungo il binario del pedinamento del reale. Infine, al Lido è anche il giorno di Tv2000, emittente della Cei che all’Italian Pavilion ha presentato le sue nuove produzioni tra doc e docuserie su giovani, adolescenza, santità e simbologia del sacro. Presenti l’Ad Massimo Porfiri e il direttore Vincenzo Morgante. Il punto dalla Mostra
“Il tempo che ci vuole”
Si presenta come una corrispondenza, un dialogo, mai interrotto, tra un padre e una figlia, tra un maestro e un’allieva. È “Il tempo che ci vuole”, il nuovo film di Francesca Comencini – suoi “Mi piace lavorare. Mobbing” (2004), Gomorra. La serie (Sky, 2014-19) e “Django. La serie” (Sky, 2023) –, una coproduzione Italia-Francia dal 26 settembre in sala con 01 Distribution. L’autrice (ri)apre i cassetti della memoria raccontando il suo rapporto con il padre Luigi, maestro del cinema italiano, dalle atmosfere sognanti dell’infanzia alla stagione della ribellione coincisa con gli anni di piombo e il rapimento di Aldo Moro. Un viaggio emozionale, tra dolcezza e malinconia, che si muove tra pubblico e privato. Ottimi Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano.
La storia. Roma, inizio anni ’70. Luigi Comencini è al lavoro sul progetto Rai “Le avventure di Pinocchio”, dal romanzo di Carlo Collodi. Spesso condivide le sue idee con la figlia Francesca, che coinvolge anche durante le riprese. Nel corso degli anni il legame passa dalla fase giocosa agli scontri tra un padre in apprensione e una figlia che sente l’eco della ribellione politico-sociale negli anni ’70-’80. Un viaggio tra Roma e Parigi, tra schermo e realtà…
“Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro – confida la regista – cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere”.
Francesca Comencini tratteggia un racconto avvolgente a due voci – non vengono menzionate le sorelle Cristina, Paola ed Eleonora –, riavvolgendo il nastro dei ricordi familiari e professionali. Il suo fare cinema, la scelta di essere una regista, lo deve al padre Luigi; ma ancor di più, deve a lui il suo essere una donna solida e risolta, la vittoria nella battaglia contro dipendenze e fragilità. Con grande coraggio l’autrice apre il proprio album di memorie, mostrando tutto di sé e del rapporto con il padre: dagli aneddoti casalinghi o da set, al momento in cui il grande regista mette da parte l’arte per seguire il percorso di ripresa e riscatto della figlia, prigioniera di anni difficili, di sirene politico-sociali corrosive.
“Il tempo che ci vuole” è un film intimo votato alla condivisione, perché ci parla di un padre e di una figlia, ma anche della storia del cinema italiano e della sua valorizzazione nella memoria condivisa, compresa l’importanza del recupero delle pellicole attraverso il ruolo delle cineteche. Racconto onesto, dolce, marcato da poesia, da accogliere come una confidenza e al contempo una lezione sul cinema. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
“Love”
Classe 1964, il regista-scrittore norvegese Dag Johan Haugerud partecipa in gara a Venezia81 con “Love” (“Kjærlighet”), secondo capitolo della sua trilogia “Sex. Kjærlighet. Drømmer” (“Sesso. Amore. Sogni”, 2024). Uno sguardo sulla società norvegese contemporanea, giocato tra sogni, fragilità, paure, ossessioni, sentimenti e passioni. Protagonisti Andrea Bræin Hovig, Tayo Cittadella Jacobsen, Marte Engebrigtsen, Lars Jacob Holm.
La storia. Oslo oggi, Marianne è un’urologa che conduce una vita regolare e solitaria. Non pensa di aver bisogno dell’amore, di una famiglia. Accanto a lei in ospedale c’è l’infermiere Tor, anche lui riottoso ai legami duraturi, che usa le app per conoscere uomini per incontri occasionali. Tra i due nascerà un dialogo sincero che li porterà a condividere gli eventi che capiteranno a entrambi nel mese di agosto. L’arrivo inaspettato dell’amore, che spariglia le carte delle loro convinzioni…
“Per molti versi questo film è utopico – afferma il regista – riguarda il tentativo di raggiungere l’intimità sessuale e mentale con gli altri senza necessariamente conformarsi alle norme e alle convenzioni sociali che governano le relazioni. (…) Con ‘Kjærlighet’ e l’intera trilogia il mio obiettivo principale è stato quello di far capire che è possibile immaginare nuovi modi di pensare e comportarsi”.
Film “ambizioso”, “Love” è caratterizzato dai dialoghi spesso forzati o appesi. Dag Johan Haugerud, nel tratteggiare la vita sociale-relazionale odierna a Oslo, segue la traiettoria di un uomo e una donna sui 30-40 anni, che sperimentano relazioni brevi o pensano di poterne fare a meno. La vita però li sorprende, sfidando le loro convinzioni. L’autore ci racconta tutto ciò con una narrazione direzionata al cinema realista, intimista, con sguardi che fanno tesoro della lezione di Bergman ma anche della tradizione del cinema francese. Racconto furbo, ciarliero, a tratti stancante, che però risulta interessante soprattutto per la riflessione sulla professione medica, il rapporto con i pazienti, come pure lo sguardo “sociologico” sulla paura del futuro, tra solitudine e legami imbrigliati in recinti social. Complesso, problematico, per dibattiti.
Tv2000 svela i suoi documentari
“Km333. Ultima fermata”, “L’alpinista di Dio. Pier Giorgio Frassati”, “Dove vanno gli anni” e “I simboli del sacro”. Sono i quattro nuovi titoli, tra doc e docuserie, targati Tv2000 che sono stati presentati in anteprima alla Mostra del Cinema, presso l’Italian Pavilion. Produzioni giocate su giovani, adolescenza, santità e simbologia del sacro. A raccontare i nuovi titoli di Tv2000 l’Ad Massimo Porfiri e il direttore di rete Vincenzo Morgante, insieme alla responsabile del palinsesto Anna De Simone e a quello di Play2000 Gianni Vukaj.
“Crediamo molto – ha dichiarato Morgante – nel linguaggio del documentario, in tutte le sue forme. Anche per questo difendiamo con tenacia uno spazio riservato a questo genere cinematografico e televisivo all’interno del nostro palinsesto. E per lo stesso motivo ci avventuriamo nella realizzazione di prodotti dai tagli più disparati e dalle forme più diverse: dall’inchiesta, alla divulgazione passando per il racconto biografico e per l’indagine sociale. Tv2000 ambisce a parlare ai giovani e per riuscirci non esita a dar loro voce e ad ascoltarli”.
“Ringraziamo la Mostra del Cinema e la Fondazione Ente per lo Spettacolo – ha aggiunto Porfiri – con cui da anni lavoriamo in sinergia in uno spirito di servizio alla Chiesa italiana. Vogliamo raccontare la realtà quotidiana con onestà, offrendo al tempo stesso compagnia e supporto a chi ci segue. Questa è la nostra vocazione”.
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