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Esclusiva/ Intervista a Salvatore Minieri

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Per la sezione interviste, il nostro Gianpaolo Di Lauro ha intervistato Salvatore Minieri, che lavorato per Il Mattino , La Gazzetta di Caserta, Il Roma, Corriere di Caserta, Italia News. Sì è occupato di ecomafie, tanto che nel gennaio del 2008, dopo la pubblicazione di una sua inchiesta sui beni gestiti dalla malavita organizzata, è stato vittima di un attentato intimidatorio.

1. Lei ha passato la maggior parte della sua vita a Pignataro Maggiore, che ricordi associa a quei posti?

Non sono un retorico o un demagogo, quindi ti dico che non ho ricordi positivi di quei posti. Di solito del paese in cui hai vissuto per 50 anni dovresti avere un bel ricordo, sentimentale o carezzevole, io invece non ho bei ricordi, non per i pignataresi, ma per una città che con le sue tantissime potenzialità ha marcato un gap industriale, economico, edilizio e soprattutto culturale. Abbiamo un piano regolatore che risale agli anni Ottanta, e continuiamo con variazioni su quel piano. Pignataro negli anni Ottanta era un fiore all’occhiello della provincia di Caserta, con gli Scout, l’Azione Cattolica che è rimasta una delle più strutturate e attive e ragazzi che facevano teatro impegnato. Penso sia un paese che è rimasto fermo all’inizio degli anni Novanta e si vede dal commercio, con le attività che continuano a chiudere. La cultura, dal canto suo, ha sempre arrancato, e quindi sono contento di aver lasciato questa realtà, anche perché, per il lavoro che faccio, francamente, era avvilente vedere, come anelito di coesione sociale e culturale,solo sagre e feste di paese.

2. Pensa che il frequentare questa realtà culturale abbia influenzato in qualche modo la sua formazione e quello che poi è diventato?

Assolutamente sì! Il mio amico Sergio Nazzaro scrisse un libro dal titolo provocatorio che si intitolava “Io per fortuna ho la camorra”. In un certo senso sono stato fortunato ad avere una palestra civile e sociale così importante. Quando si impara a guidare si inizia con macchine rozze e spartane, e proprio grazie a quelle macchine che poi si è in grado di portare qualsiasi tipo di autovettura. Questa metafora è esplicativa del rapporto difficile che ho con i miei luoghi d’origine. Anche l’indifferenza dei corpi intermedi non mi ha addolorato, ma mi ha fortificato. Ormai sono fisicamente via da tanti anni e guardando con distacco il passato posso dire che mi sia servito.

3. Se dico la parola giornalista, chi le viene in mente, quali sono i suoi modelli di riferimento?

Tra i miei modelli c’è sicuramente Pippo Fava, giornalista siciliano antimafia, che per me è un faro illuminante. I miei punti di riferimento più importanti, però, non sono giornalistici ma letterati: Giordano Bruno Guerri, per me il più grande intellettuale italiano, neutro dal punto di vista politico. Geminello Alvi, che invece è dichiaratamente di destra. Questo ci dimostra che la cultura non ha compartizione politica. Altro intellettuale che mi viene in mente è Aldo Busi, ma anche Stefano Benni, James Ballard. Se mi dici giornalista come concetto, per associazione di idee, mi viene in mente solamente il sacrificio, non essere accondiscendenti con la politica, non essere schiavi di nessuno, avere un grande spirito critico che costa tanto, perché significa avere posizioni individuali e difenderle. Accordarsi con parti politiche non è fare giornalismo, ma altra cosa che qui non esplicito. Il giornalista viene visto come Dillinger in America, come il nemico pubblico numero uno, difendendosi dalle querele e adeguandosi alla condizione di solitudine.

4. Quanti problemi le ha causato questa carriera

Tantissimi, sotto ogni punto di vista, mi sarei aspettato una solidarietà più forte. I romani la chiamavano cordialitas, quel mettersi vicino a persone che avevano subito minacce o attacchi. Anzi sono stato allontanato e addirittura boicottato nel mio lavoro, e quindi mi è costato dal punto di vista economico. A questo si accompagnano tutte le querele dalle quali mi sono dovuto difendere da solo, pagando di tasca mia avvocati e costi processuali. Anche dal punto di vista fisico c’è una certa stanchezza.

5. Parliamo della discarica nell’ex area Pozzi, a Calvi Risorta. A diversi anni dall’inquietante scoperta, pensa si sia fatto qualcosa o si è rimasti al punto di partenza

Siamo rimasti fermi al punto di partenza fino a quindici giorni fa. Ora sono stati emessi dei fondi per una prima ricognizione di una discarica che è grande 10-15 volte lo stadio Diego Armando Maradona di Napoli. Per nove anni non è stato fatto nulla di nulla. Alcuni imprenditori volevano costruire nuovi impianti per lo smaltimento su questo disastro. Quando feci emergere questo scandalo, molti giornali casertani non segnavano nemmeno il mio nome, mi liquidavano con un generico “giornalista locale”. Devo ringraziare Roberto Saviano che ha fatto luce su questa situazione, mi ha dato un nome e un cognome.

6. Ha dedicato la maggior parte della sua carriera alle ecomafie. Se dovesse descriverle in poche righe che parole utilizzerebbe?

Io ritengo gli inquinatori seriali, e funzionari politici conniventi, il gradino più basso della società. Si sono arricchiti sulla salute della gente, con il tacito appoggio delle alte cariche politiche. Parafrasando De André ,queste persone si indignano, si costernano e si impegnano, ma poi gettano la spugna con gran dignità. Si scandalizzano di una situazione che hanno contribuito a creare in prima persona. Oggi c’è un modo diverso di inquinare, stiamo vivendo la terra dei roghi, non solo delle montagne ma anche delle aziende. Questa è una situazione che distrugge la macchia Mediterranea. Deve essere fatta politica di prevenzione, invece di spendere soldi per consorzi, concorsi e clientelismo. Se non facciamo prevenzione, con attenzione, tra dieci anni saremo fanalino di coda per vivibilità del territorio. In poche parole, bisogna puntare a una politica seria e non alle carnevalate che si mostrano oggi. Abbiamo debiti col consorzio idrico che ovviamente dovremo pagare noi, ma intanto continuiamo a dare posti e concorsi in questo consorzio. I politici e i tecnici non sanno cosa fare, non ne hanno la minima idea.

7. Si sente più tutelato o attaccato dalle istituzioni?

Mi sento tutelato da un certo tipo di istituzioni. Oggi sono amico di diversi magistrati con cui parlo di tutto, anche di sviluppo del territorio. Ci sono Ufficiali di alcuni corpi che ritengo di grande cultura. La nota dolente è sempre la politica. Io svolgo diverse attività culturali, scrivo libri, che è un lavoro durissimo. Su circa
mille incontri pubblici che ho fatto negli ultimi anni, ho visto due volte i politici. Significa non avere alcun tipo di interesse, oppure odiare la classe dei giornalisti d’inchiesta.

8. Che peso pensa che abbia la politica all’interno della proliferazione delle ecomafie?


Nel mio libro “Pascià” c’è una frase decisamente esplicativa: “ci può essere la politica senza mafia, ma la mafia senza politica no”. Appalti a ditte che inquinano, gare d’appalto ambigue, aziende in
odor di mafia che hanno numerosi appalti, sono tutte realtà vicine, vere, reali. Se continuiamo così, possiamo stare sicuri che non ne usciremo mai.

9. Che strategia si dovrebbe attuare per eliminarle? Dovrebbe essere più culturale o istituzionale?

Assolutamente culturale, decisamente. Dopo tanti anni è tornato di moda il “Panem et circenses”, viviamo di sagre paesane, alla carlona. Abbiamo avuto una fase di regresso. Siamo tornati al 1600 spagnolo, con i re che avevano tutte le franchigie e i meridionali che stavano a guardare questa classe dirigente che si arricchiva, continuando a sostenerla. C’è bisogno di una rivoluzione culturale, partendo dalle scuole; si deve parlare di sesso, di politica, di web, di comunicazione, di problemi di genere sessuale. Esistono pochi dirigenti scolastici che agiscono come docenti ormai, si è diffuso un modo di gestire la scuola che è di stampo fortemente aziendalistico. Bisogna anche parlare con le famiglie. Abbiamo una maniera un po’ cialtrona di trattare i giovani. Il problema sta nella comunicazione tra genitori e figli. I miei genitori parlavano, oggi il novantacinque per cento dei genitori narcotizzano i figli con dispositivi elettronici. Poi non ci si deve lamentare se il ragazzo, in seguito, avrà problemi sociali e culturali. Bisogna mettere al centro il libro, solo così si può creare un argine contro la situazione tragica che si profila in futuro.

10. Altro posto abbastanza significativo, ahimè tragicamente, per la sua carriera è il Villaggio Coppola. Che emozioni le suscita quel posto?

Mi suscita una sensazione controversa. Per me è stato uno dei posti più belli d’Italia, e non solo, per cent’anni. Per via di una connivenza politica, questo posto incredibile è stato venduto all’imprenditoria privata, con commistione della politica di alto rango. Parliamo di chili di cemento versati sul demanio pubblico, senza uno straccio di licenza. Parliamo del sindaco, Mario Luise, che è stato costretto a vivere fuori dalla sua città per salvaguardare la sua integrità fisica. I più grandi clan mafiosi nigeriani hanno una grande base a Castelvolturno, e sono tra i più pericolosi al mondo, i più sanguinari. La politica che dice che è colpa dell’immigrazione è una politica stupida, il problema principale sta nella politica interna, che crea condizioni insediative ideali
, aprendo le porte alla speculazione edilizia. Venivano messe in vendita case abusive, poi acquistate da persone per bene ma che poi erano costrette a liberarle. Questa è stata occasione ghiotta per questi clan esteri. Ora è una delle zone più arretrate d’Italia, ma è soprattutto colpa di una gestione scellerata da parte di una grande schiera di politici che aveva interessi particolari su quei luoghi.

11. Cosa pensa di Roberto Saviano?

Innanzitutto che è grande amico. Mi è stato molto vicino, è stato molto vicino a tutti noi giornalisti. Roberto è un uomo di enorme cultura, per diventare Saviano si deve studiare molto, moltissimo. Oltre a essere un grande scrittore, è un grande intellettuale. Dovrebbero esserci mille Roberto, ma ahimè ne nasce uno ogni cento anni.

12. Secondo lei c’è un metodo per fare il giornalista

Per fare i giornalisti non basta scrivere gli articoli. Ho tanti amici che si occupano di gastronomia, sembra una cosa banale, ma dietro queste cose c’è una grande cultura sulla storia dell’alimentazione, che ho inserito nel mio nuovo libro. I food blogger, quelli seri, come Luciano Pignataro, hanno una cultura che va anche oltre quella gastronomica. Anche io sto preparando un libro più enciclopedico che si occupa delle prime mafie, che si radicano addirittura nel Medioevo. Questo sta a significare che il giornalista deve spaziare, deve essere eclettico, deve studiare. Poi bisogna rispettare un codice etico, che si può racchiudere nel fatto che il giornalista non deve avere padrini e padroni. Bisogna mantenere un’equità, un equilibrio. Ci sono nostri colleghi che parlano sempre male e sempre bene di rispettive parti politiche. Si potrebbe parlare delle innumerevoli notizie ininfluenti che vengono pubblicate, l’assessore di un paesino casertano che passa da una parte politica all’altra, feste di laurea in paesi di montagna, sono articoli che fanno un po’ ridere. Il giornalismo, forse, è un’altra cosa.

13. Qual è l’inchiesta che ha sentito di più? Quella che emozionalmente l’ha coinvolta in modo maggiore?
Ce ne sono molte, quella del gruppo imprenditoriale in provincia di Caserta, che poi ho scoperto avere dei legami con la realtà mafiosa. Questo gruppo è stato disarticolato, e per me è stata una grande soddisfazione. Mi hanno portato più volte davanti ai giudici. Il governo italiano deve mettere mano alla legge sulle querele temerarie. Un giornalista che viene querelato da una grande multinazionale, e a me è capitato, è lasciato da solo a pagarsi l’avvocato, mentre il grande gruppo se ne può permettere cinque. Queste querele sono fatte solo per intimidire il giornalista e portarlo a non scrivere più. Si deve mettere mano a questa legge, altrimenti il giornalismo italiano diventerà una barzelletta, la strada è già segnata.
14. Avrà notato l’immensa distesa di montagne consumate dalle fiamme, oltre che alle diverse fabbriche e imprese segnate dallo stesso destino.

Sicuramente è una situazione da monitorare. Sono cose che accadono sempre d’estate e sempre di domenica sera. Spero che chi di dovere indaghi su questo “Onco-business”, proprio perché noi abbiamo respirato, per giorni e giorni, veleni, sospensioni chimiche e gassose. Anche il verde e le aree boschive, che abbiamo perso per sempre. Io me la prendo coi cittadini, ci indigniamo per un po’ di giorni, e poi ce ne dimentichiamo. Non c’è alcun tipo di politica di prevenzione, non riusciamo a monitorare le zone critiche, le montagne dove viene consentito il pascolo. Quando consentiamo il pascolo intensivo in quelle zone, guarda caso, quelle stesse zone vengono
usurate dalle fiamme. Dobbiamo prevenire, altrimenti succederà sempre come a San Felice a Cancello, con la morte di persone per via dell’incapacità di pulire dei canaloni. Gran parte della classe politica ha fallito, per via di questa mancata prevenzione finiremo al cimitero.

15. Pensa che le infiltrazioni mafiose all’interno delle discoteche e dei locali che propongono serate disco sia qualcosa di episodico, oppure un qualcosa che è ormai ben radicato?


Ci sono molte zone di spaccio a ridosso delle discoteche o
dei locali. Questo è un fenomeno che non sappiamo combattere, c’è bisogno di un maggiore controllo. Certe volte ho sentito dire che sono mancati i fondi per la benzina nelle macchine dei carabinieri. Nelle zone dove c’è “Movida, oggi si usa questo termine ebete, c’è bisogno di altri centri di aggregazione: scout, azione cattolica, centri di studi musicale, tutti questi poli di formazione chiudono. Ora i centri di aggregazione sono i Lounge Bar. Enrico Mentana disse che “se la vita dei ragazzi galleggia tra smartphone e spritz, non si devono lamentare del mancato posto di lavoro”. Purtroppo, oggi, non pianifichiamo il territorio, io vorrei garantire il quaranta per cento degli spazi a queste attività formative. Vengono date migliaia di licenze per bar, anche nello stesso comune, a discapito delle agenzie di formazione. Anche scuole politiche, che oramai non esistono più. Siamo diventati dei “divertifici”, dove la camorra va a nozze. Se io metto dieci bar in una sola via, per la camorra basta mettere una piazza di spaccio lì vicino ed il gioco è fatto.

16. Che consiglio darebbe ad un ragazzo che si appresta a fare il giornalista

Di avere tanta pazienza, non si diventa subito giornalisti. C’è da fare tanta gavetta e non sempre risulta semplice, anche per via di forze esterne.

17. Se tornasse indietro rifarebbe tutto?

Sì, anche con maggiore impegno.

18. Qual è il suo maggiore desiderio per il futuro?

Vorrei lasciare una traccia. Scrivere tanto per scrivere, per attaccare il politico di turno, non serve a nulla. Vorrei lasciare un segno tangibile e forte, qualcosa che rimanga impresso.

 

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