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Attualità

Robot  Creatura meccanica/ «Sono stati attaccati da un robot gigante che sparava laser dagli occhi.»

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Robot

ro-bòt

Significato Creatura meccanica; apparecchio programmabile che sostituisce il lavoro umano; piccolo elettrodomestico; chi agisce meccanicamente, in modo spersonalizzato

Etimologia dal ceco robota ‘corvée’, secondo l’uso che ne fece Karel Čapek nella sua opera teatrale ‘R.U.R.’ del 1920.

  • «Sono stati attaccati da un robot gigante che sparava laser dagli occhi.»

Capita che certe etimologie siano riportate in maniera sistematicamente sbagliata, dalle fonti di riferimento — sono casi che c’entrano forse con una minore attenzione verso certe lingue e l’enormità di una mole di lavoro che non permette di mettere tutto a fuoco. A volte, sono occasioni per recuperare storie splendide, che richiedono di spendere qualche parola più del solito per mettere tutti i puntini sulle ‘i’.

‘Robot’ è la parola ceca più famosa sull’intero panorama internazionale, e la sua fortuna è letteraria: si deve all’opera teatrale R.U.R. dello scrittore Karel Čapek (pronunciato Carèl Ciapèc). In quest’opera fantascientifica si racconta della creazione di una nuova classe di lavoratori artificiali, che non sono esseri metallici, palesemente meccanici, ma surrogati inorganici quasi indistinguibili dagli umani, asciugati dell’inessenziale (R.U.R., acronimo per Rossumovi Univerzální Roboti ne è l’azienda produttrice — Rossum è un cognome). Per cogliere la prospettiva di Čapek possiamo seguire questo scambio di battute che si trova nella pièce:

– Quale tipo di lavoratore pensi sia il migliore dal punto di vista pratico?
– Forse quello che è più onesto e laborioso.
– No; quello che costa meno. Quello le cui necessità sono minime. Il giovane Rossum ha inventato un lavoratore con il minimo delle necessità. Ha dovuto semplificarlo. Ha eliminato tutto ciò che non contribuiva direttamente al progresso del lavoro! — tutto ciò che rende l’uomo più costoso. In effetti, ha eliminato l’uomo e creato il Robot.

Era il 1920, e l’opera ebbe un successo rapidissimo e globale. Pare che il debutto newyorkese, due anni più tardi, sia stato accolto con enorme entusiasmo, e in pochi anni fu tradotta in decine e decine di lingue. Ma ‘robot’ rimase, e fu acquisito dal lessico del settore. Da dove viene fuori questa parola

Ora, quasi sempre si trova riportato che robota in ceco significa ‘lavoro’, ma la realtà dei fatti è che non si tratta di una parola così comune — piuttosto ‘lavorare’ in ceco si dice pracovat. Al contrario di parole omologhe di altre lingue slave, robota ha selezionato molto i suoi significati, e in particolare s’impernia su quella che conosciamo come corvée — sì, proprio nella prospettiva servile del lavoro feudale, quale lavoro gratuito dovuto al signore.

Risalendo le ramificazioni etimologiche notiamo un disegno particolarmente complesso. Quello ricostruito come orbòta, ‘lavoro’ è un antecedente proto-slavico che origina un nugolo di termini in molte lingue di questa famiglia, con significati che variamente si concentrano su ‘lavoro’, ‘servitù’, o appunto ‘corvée’. Vi si arriverebbe da una radice protoindoeuropea ricostruita come orbh-, che è stata estremamente produttiva in direzioni semantiche diverse. Ad esempio, fuor di slavo, sarebbe alla base tanto del nostro orbo quanto del nostro orfano (che ha un’origine greca), ma anche dell’Arbeit tedesco, che significa giusto ‘lavoro’. Si riporta che indicasse originariamente un ‘passaggio di stato’ — perdita dello stato libero, e quindi passaggio in servitù, collegato alla perdita dei genitori, che nel latino orbus è stato declinato anche come cecità. Davvero complicato.

Ad ogni modo, l’ispirazione per il robot è quindi nientemeno che nella servitù feudale. Ma nonostante sia diventata la parola che è grazie a R.U.R. di Karel Čapek, non l’ha inventata Čapek, o meglio, non questo Čapek.

Karel Čapek, in una lettera pubblicata sul giornale Lidové noviny e datata alla viglia di Natale del 1933, scriveva di come le informazioni riportate alla voce ‘robot’ sull’Oxford English Dictionary, in particolare riguardo alla sua origine, gli ricordassero un vecchio debito. Questi sono due passaggi della lettera di Karel Čapek:

L’autore del dramma R.U.R. non inventò, in effetti, quella parola; si limitò a inaugurarla. Andò così: l’idea per il dramma venne al detto autore in un singolo momento di distrazione. E mentre era ancora calda, si precipitò immediatamente dal fratello Josef, pittore, che davanti a un cavalletto stava dipingendo una tela con tale veemenza da far frusciare il pennello.

«Ascolta, Josef», iniziò l’autore, «penso di avere un’idea per un dramma.» «Che tipo?» bofonchiò il pittore (bofonchiò davvero, perché al momento aveva un pennello in bocca). L’autore glielo spiegò brevemente. «Allora scrivilo», commentò il pittore, senza togliere il pennello di bocca o smettere di lavorare sulla tela. Quell’indifferenza era piuttosto offensiva. «Ma», disse l’autore, «non so come chiamare questi lavoratori artificiali. Potrei chiamarli Labori, ma mi sembra un po’ troppo libresco». «Allora chiamali Robot», biascicò il pittore, con il pennello in bocca, e continuò a dipingere. Ecco come è andata. Così nacque la parola Robot; sia riconosciuto il suo vero creatore.»

Non sembra invece sia vero, come alcune fonti riportano, che lo stesso Josef Čapek (che oltre ad essere pittore scriveva) avesse usato questo termine in un suo strabilianti invenzioni della Boston Dynamics, le macchine impastatrici delle nostre cucine, gli stesso bot con cui ci tocca spesso interfacciarci online — in genere, apparecchi programmabili per sostituire l’essere umano. Senza contare che, anche in italiano, è una parola che si è prestata a una miriade di adattamenti — dal robotico al robotizzato, dai robottini alla robotica. E rimane il simbolo di una spersonalizzazione che può attagliarsi anche all’umano — pensiamo a quando eseguiamo un’azione come robot, o quando rispondiamo con voce robotica. Alla fine, per intendere il genere del robot e la materia su cui insiste il suo concetto, possiamo tornare alle parole originali di Čapek: un lavoratore col minimo delle necessità.

Ultima nota: come si dovrebbe pronunciare? Robó, con una suggestione d’accento francese, com’è andato molto di moda in passato visto che a occhio un po’ francese pare? Ròbot, magari tentandolo un po’ all’inglese, come sta prendendo più piede? Robòt? Si può fare come si vuole, anche se forse quest’ultima soluzione, facendo sentire bene la ‘t’ finale, sembra sia quella più vicin

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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