Venezia 81. “Vermiglio” di Maura Delpero e “The Room next door” di Pedro Almodóvar
Venezia81, sesto giorno. In gara per il Leone d’oro arriva il secondo autore italiano, Maura Delpero con “Vermiglio”, un’opera che si snoda come una dolce e dolente poesia contadina ambientata nel Südtirol dai richiami estetico-narrativi al cinema di Ermanno Olmi. Una riflessione su una piccola comunità montana al termine del Secondo conflitto mondiale dove nel corso di un anno, in quattro stagioni, si fa esperienza di vita e morte, di sofferenze e gioie, di lutti e nascite. Un’opera abitata da silenzi e da grande suggestione visiva, che riflette sulla complessità della maternità. Al Lido arriva in Concorso anche il maestro del cinema spagnolo Pedro Almodóvar con il suo primo film in lingua inglese: “The room next door”, dal romanzo “What are you going through” di Sigrid Nunez. A interpretarlo le Premio Oscar Tilda Swinton e Julianne Moore. È l’ultimo “viaggio” di una corrispondente di guerra, chiamata a fronteggiare una malattia senza scampo; un tempo di riflessione condiviso con un’amica di vecchia data che accetta di non lasciarla sola. Al centro il tema dell’eutanasia. Film denso e sfidante, con una confezione formale sofisticata e interpretazioni di grande intensità. Il punto dalla Mostra.
“Vermiglio”
Accolto con grandi applausi nelle proiezioni stampa, “Vermiglio” della regista altoatesina Maura Delpero si pone seriamente in lizza per uno dei premi principali di Venezia81. La regista di “Maternal” (2019) torna a confrontarsi con la dimensione femminile, il tema della maternità, recuperando la cornice socioculturale della propria memoria familiare, dell’Italia di ieri, sulle macerie della Seconda guerra mondiale. Protagonisti Tommaso Ragno, Martina Scrinzi, Roberta Rovelli, Giuseppe De Domenico, Orietta Notari e Carlotta Gamba.
La storia. Italia 1945, nel piccolo paesino di Vermiglio, sulle montagne dell’Alto Adige, vive una numerosa famiglia: il padre è maestro di scuola, la madre a casa si adopera affinché ciascun figlio sia sfamato e adeguatamente accudito. La maggiore, Lucia, sperimenta per la prima volta l’amore, con Pietro, un ex soldato siciliano. L’inizio di un cambiamento per tutti…
“Vermiglio – ha spiegato la regista – è un paesaggio dell’anima, un ‘lessico famigliare’ che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo personale, vuole omaggiare una memoria collettiva”. Con grande raffinatezza la Delpero ha costruito un racconto di notevole spessore narrativo e stilistico, facendo tesoro della lezione di Ermanno Olmi. Il suo è uno sguardo capace di cogliere con efficacia i ritmi della natura, la ciclicità dolce e malinconica, e al contempo gli stati interiori della famiglia protagonista, della comunità montana. La regista posa il suo sguardo soprattutto sui più piccoli, emblema di purezza e grazia, di non corruzione morale, richiamando anche le atmosfere poetiche pascoliane; e ancora il mondo femminile e la dimensione della maternità, con i suoi sconvolgimenti ma anche spinte di cambiamento e speranza.
Nel racconto, tra i vari componenti della famiglia, seguiamo la traiettoria di Lucia, una giovane donna che nel corso delle quattro stagioni narrate incontra prima l’amore, poi la maternità e successivamente lo smarrimento. Una donna chiamata a fronteggiare diverse sfide nella sua giovane esistenza, che dimostra però tempra d’animo e resilienza, traendo forza proprio dall’innocenza di una figlia appena nata.
Maura Delpero con “Vermiglio” firma l’opera della maturità artistica, in perfetto equilibrio tra forma e contenuto, tra eleganza visiva e densità narrativa, dimostrandosi pronta per un riconoscimento di peso alla Mostra. Consigliabile, problematico-poetico, per dibattiti.
“The Room Next Door”
Nel 2019 la Mostra del Cinema lo ha onorato con il Leone d’oro alla carriera. A distanza di cinque anni il regista spagnolo Pedro Almodóvar si ripresenta in gara con il suo primo film girato negli Stati Uniti. È “The Room next door”, opera di cui firma anche la sceneggiatura, prendendo le mosse dal romanzo “What are you going through” di Sigrid Nunez. Nel girare in una lingua non sua, il regista spagnolo si affida a due attrici Premio Oscar: Tilda Swinton e Julianne Moore. Nel cast anche John Turturro e Alessandro Nivola.
La storia. New York, oggi. Martha è una ex corrispondente di guerra che sta affrontando un tumore senza margini di cura. Una sua amica di vecchia data, Ingrid, scoperta la condizione della donna, inizia ad andarla a trovare con regolarità. Martha, che avverte un ingombrante senso di solitudine, chiede a Ingrid di starle vicino nel suo ultimo “viaggio”: incapace di accettare il disfacimento del proprio corpo, di veder sbiadire la propria autonomia e dignità, ha deciso di porre fine alla sua esistenza ingerendo una pillola comprata nel “Dark Web”. Chiede allora all’amica, perplessa e refrattaria, di seguirla in una casa per le vacanze fuori città, proponendole di occupare la stanza accanto alla propria. Martha non vuole andar via da sola…
L’opera di Pedro Almodóvar si presenta al contempo seducente e sfidante. È seducente per la componente formale, perché il regista è un maestro della messa in scena, capace di cesellare inquadrature ricercate ed eleganti, giocate su una brillantezza cromatica. Almodóvar sa come incantare con la macchina da presa. Ancora, “The room next door” ammalia al primo sguardo perché a occupare la scena, a dare volto e anima ai personaggi di Martha e Ingrid, sono due attrici maiuscole, Tilda Swinton e Julianne Moore, entrambe di rara bravura, che regalano ogni volta performance lontane dal già visto o banale. Loro danno spessore, dolenza e sentimento alle parole scritte da Almodóvar, ai dialoghi intensi e struggenti, giocati sui territori dell’amicizia, della cultura, della vita e della morte.
L’elemento sfidante, nonché scivoloso e problematico, risiede invece nel cuore del racconto: il copione riflette sulla malattia terminale e il desiderio di gestire la propria morte, attraverso la pratica dell’eutanasia. In questo Almodóvar è stato inequivocabile anche in conferenza stampa. Come viene condotta la riflessione? Di per sé, l’autore, attraverso il dialogo tra le due amiche, prova a fornire due diversi punti di riflessione sul tema, tra chi ribadisce il desiderio di determinare la propria morte (Martha), e chi invece vorrebbe lasciare tempo alla vita, cogliendo ciò che resta (Ingrid). A ben vedere, però, l’impostazione del film si avvita in una tesi dove a prevalere è la forza argomentativa di Martha al punto da non lasciare spazio ad altro.
E se il personaggio di Ingrid prova a offrire uno sguardo diverso sulla scelta di Martha, senza però negarle prossimità e tenerezza, a rimanere appiattito in una macchietta sterile è il poliziotto interpretato da Nivola, a cui la sceneggiatura fa ribadire seccamente il perimetro della legge in materia e i propri convincimenti morali e religiosi. La sua argomentazione è liquidata in maniera sbrigativa e grossolana, etichettata come fanatica ed estremista. Peccato, un’occasione mancata.
Al di là di ciò, non si può non riconoscere ad Almodóvar di saper maneggiare il linguaggio del cinema con maestria, portando sempre il proprio punto di vista, che però non può essere del tutto condiviso. Complesso, problematico, per dibattiti.
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