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Venezia81. In gara “I’m Still Here” e “The Brutalist”. C’è anche il duo Clooney-Pitt con “Wolfs”

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Quinto giorno alla Mostra del Cinema con due titoli che ben promettono per il palmares. Anzitutto il brasiliano “I’m Still Here” (“Ainda estou aqui”) di Walter Salles, opera di impegno civile che esplora la piaga dei desaparecidos brasiliani negli anni ’70, attraverso la determinazione di una donna coraggiosa, Eunice Paiva, che ha speso energia, salute e gran parte della sua vita per affermare la verità sulla sparizione del marito Rubens Paiva. Un film importante, vibrante e commovente, con una prova maiuscola di Fernanda Torres. Ancora, lascia un segno anche “The Brutalist” firmato dallo statunitense Brady Corbet (“Vox Lux”): la parabola tortuosa di un architetto ebreo ungherese emigrato negli Stati Uniti nel Dopoguerra, un viaggio della speranza costellato di opportunità e amarezze, sogni di gloria e corruzione morale. Un’opera imponente per durata (215 minuti), marcata da ricercatezza visiva e forza narrativa, con le ottime interpretazioni di Adrien Brody, Felicity Jones e Guy Pearce. Infine, al Lido i divi George Clooney e Brad Pitt, interpreti del comedy thriller “Wolfs” di Jon Watts targato Apple TV+. Due sicari specializzati nel ripulire la scena del crimine si trovano coinvolti sullo stesso caso, con conseguenze tragicomiche. Il punto dalla Mostra.

“I’m Still Here”
È forse la prima vera scossa emotiva a Venezia81. Parliamo del bellissimo “I’m Still Here” (“Ainda estou aqui”) del regista brasiliano Walter Salles, autore di “Central do Brasil” (1998) e de “I diari della motocicletta” (2004). Prendendo le mosse dal libro di Marcelo Rubens Paiva, il racconto della sparizione del padre Rubens nel 1971 per mano dei militari, il regista compone un potente racconto di matrice civile che apre uno squarcio sulle drammatiche sparizioni in Brasile come i desaparecidos in Argentina. A firmare la sceneggiatura Murilo Hauser e Heitor Lorega.

La storia. Rio de Janeiro, 1971. Crescono le tensioni nel Paese, sotto le pressioni della dittatura militare. La famiglia Paiva, composta dall’ingegnere Rubens, dalla moglie Eunice e da cinque figli, viene sconvolta quando l’uomo scompare. Eunice non si dà pace, determinata a ritrovare il marito; ogni giorno incalza l’avvocato e va a caccia di prove che dimostrino l’arresto, negato dalle autorità. Uno corpo a corpo contro il muro di gomma delle istituzioni, che si protrarrà per oltre trent’anni…

(I’M STILL HERE  –  Official still  – Credits: Alile Onawale)

“Quando ho letto per la prima volta ‘Ainda estou aqui’ – ha dichiarato il regista – mi sono commosso profondamente. La storia dei desaparecidos, le persone strappate alle loro vite dalla dittatura brasiliana, veniva raccontata per la prima volta dal punto di vista di coloro che erano rimasti. L’esperienza di una donna, Eunice Paiva, madre di cinque figli, conteneva sia una storia di sopravvivenza al lutto sia lo specchio di una nazione ferita”.
Walter Salles firma un’opera solida e riuscita per dinamica di racconto ma anche per i temi di matrice sociale. Un film che si fa custode della memoria comune, quella delle vittime della violenza militare, delle sofferenze dei desaparecidos e dei loro familiari lasciati a tormentarsi in cerca di risposte. Il racconto, in particolare, è centrato sulla figura di Eunice Pavia, che l’attrice Fernanda Torres cesella con grande intensità e spessore, che si fa simbolo di madri, mariti, figli, genitori che hanno condotto una battaglia legale contro le istituzioni per conoscere la verità, per avere un corpo, quello del proprio caro scomparso, cui dare degna sepoltura.
“I’m Still Here” colpisce per qualità narrativa, struttura del racconto e interpretazioni; un’opera struggente che conquista e coinvolge, per non dimenticare, proprio come “Argentina, 1985” (2022) di Santiago Mitre, in gara a Venezia79. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

“The Brutalist”
A Venezia è stato in gara nel 2018 con “Vox Lux”. È il regista, sceneggiatore e attore statunitense Brady Corbet, che si presenta nuovamente in Competizione con un’opera “spiazzante” per estetica, traiettoria narrativa e durata (215’): “The Brutalist”, un copione scritto a quattro mani con Mona Fastvold. Protagonisti Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn e Stacy Martin.

(PRESS_CONFERENCE_-_THE_BRUTALIST_-_Actor_Adrien_Brody__Credits_Giorgio_Zucchiatti_La_Biennale_di_Venezia-Foto_ASAC)

La storia. Stati Uniti 1947, l’architetto ebreo László Tóth, proveniente dall’Ungheria, prova a ricostruirsi una nuova vita con la speranza di poter poi portare lì anche la moglie e la nipote, rimaste in Europa. László sperimenta vari lavori, spesso i più umili, trovando alloggio in strutture caritative. Senza soldi né tetto, viene notato da un influente mecenate che gli affida dei progetti per la sua abitazione…

Film stratificato, “audace”, girato in 70mm. “The Brutalist” tratteggia la parabola di un migrante europeo che prova ad abitare il sogno americano, ad aggrapparsi all’idea che nella terra “a stelle e strisce” tutto sia possibile. E all’inizio sembra andare così, con l’ascensore sociale in movimento per chi è capace di mettersi in gioco con impegno e professionalità. Ben presto però emergono tutte le ombre di una società schiava del denaro e della corruzione morale. László Tóth, fuggito dalla prigionia dei lager europei, dalla follia antisemita nazifascista, sperimenta nuovi lager, ammantati da una veste alto-borghese.
“The Brutalist” è costruito con cura visiva e narrativa, tra ricercatezza formale, meticolosa scrittura del copione, attenta alla progressione della linea di racconto e all’evoluzione dei personaggi, con una messa in scena importante e una componente musicale raffinata (Daniel Blumberg). La riuscita dell’opera, però, sconta una lunghezza eccessiva, debordante, che ne ridimensiona pathos e incisività. Adrien Brody offre una performance da premio. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Wolfs”
Il regista-sceneggiatore statunitense Jon Watts si smarca dal territorio dell’action legato ai supereroi da fumetto – suoi gli Spider-Man “Homecoming” (2017), “Far from Home (2019) e “No Way Home” (2021) – per un progetto che accosta il thriller d’azione con dinamiche da commedia. È “Wolfs. Lupi solitari”, progetto destinato alla piattaforma Apple TV+, che punta tutto sulla reunion dei divi George Clooney e Brad Pitt, qui anche in veste di produttori.

La storia. Stati Uniti, oggi. Nel cuore della notte in un albergo lussuoso una nota procuratrice finisce coinvolta in un potenziale scandalo: esanime nel proprio letto c’è un giovane appena conosciuto. Per evitare di compromettere la sua carriera si rivolge a un numero telefonico per assoldare un “fixer”: uno professionista lucido e spietato capace di ripulire la scena del crimine. Il problema è che alla chiamata rispondono due fixer in competizione tra loro…

(Wolfs – Brad_Pitt_and_George_Clooney__Credits_Sony_Pictures)

“‘Wolfs’ è il mio tentativo – ha spiegato il regista – di tornare con i piedi per terra dopo sette anni passati a dondolarmi dai grattacieli e a saltare attraverso i portali del multiverso. Volevo mettere insieme quasi tutte le mie cose preferite. New York. Tutto in una notte. Trame criminali impenetrabilmente complesse. David Mamet. Buster Keaton. Neve. E soprattutto la pura gioia cinematografica di guardare due fiammeggianti stelle del cinema fronteggiarsi su uno schermo gigante”. L’obiettivo di Watts è chiaro e il risultato altrettanto: il film viaggia spedito su un binario ben rodato, incalzante e al contempo dalle battute brillanti, che coinvolge soprattutto per la performance dei veterani Clooney e Pitt. Nell’insieme il film è un racconto “sicuro”, dal facile ingaggio per lo spettatore, un thriller votato all’evasione che non promette nulla di nuovo ma sa cucinare bene i suoi ingredienti. Consigliabile-complesso, problematico.

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