Spiccioli di spiritualità, Kotel (il muro del pianto)
Kotel, a molti questo termine suonerà strano. Noi occidentali lo conosciamo come “Muro del pianto”. È il luogo più sacro per l’ebraismo, ed è veramente un muro, fatto di grosse pietre, ultimi resti del grandioso Tempio di Gerusalemme, quello fatto costruire da Erode il Grande che ,non essendo proprio di sangue ebreo, fece di tutto per ingraziarsi i discendenti di Abramo, ristrutturando il Tempio già esistente, e fece tutto per ingraziarsi anche i romani, con la fondazione di Cesarea Marittima sulla costa mediterranea del Regno, non a caso chiamata così in onore di Cesare Ottavio Augusto. Oggi diremmo che politicamente era un opportunista, che faceva di tutto per accattivarsi le simpatie sia i romani, sia gli ebrei, pur di conservare il potere, che comunque era sempre subordinato ai romani.
Ma ritorniamo al Tempio. Prima di questo ce n’era un altro, fatto costruire dal grande re Salomone (quello famoso per la sua saggezza), e poi distrutto da Nabucodonosor, re babilonese, nel 586 a.C. Ma gli ebrei non si dettero per vinti, e dopo l’esilio babilonese (siamo intorno al 536 a.C.) ne costruirono un secondo e fu questo secondo Tempio ad essere ristrutturato da Erode. I lavori terminarono dopo la sua morte nel 64 d.C. e appena sei anni dopo, nel 70 fu distrutto dai romani dal futuro imperatore Tito.Proprio di questo ultimo Tempio oggi resta solo il muro occidentale di contenimento, detto appunto “Muro del Pianto”.
Sul perché oggi è chiamato così ci sono due versioni. Una, la più ovvia, e forse per questo la meno plausibile, è perché gli ebrei piangerebbero l’antico splendore della costruzione. Una seconda versione farebbe riferimento a un effetto fisico: i fedeli ebrei pregano di fronte al muro, e siccome quando pregano si muovono con andamento oscillante (mentre noi di solito preghiamo solo con le parole gli ebrei pregano con tutto il corpo, che pertanto si deve muovere), le loro litanie, “rimbalzando” sul muro, provocano un effetto eco, che a un ascoltatore un po’ distante può dare l’impressione di un lamento, appunto di un pianto.
Altra caratteristica legata al muro è che, chi vuole, può inserire nelle fessure delle pietre un bigliettino con una sua preghiera personale. Un’usanza nata forse nell’Ottocento, a cui non si sono sottratti gli ultimi tre pontefici, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, quando si sono recati in pellegrinaggio in Terra Santa. I biglietti si accumulano e, di tanto in tanto, intervengono delle squadre di pulizia che li rimuovono, per fare spazio a nuove intenzioni. Queste operazioni di “pulizia” vengono effettuate sotto la supervisione di un rabbino e devono essere effettuate delicatamente con dei bastoncini di legno, e non di metallo, per non “ferire” il luogo sacro. Questi bigliettini rimossi non vengono buttati nella differenziata, perché nella spiritualità ebraica c’è grande rispetto per ogni testo scritto: vengono consegnati alla terra, ovvero seppelliti nel cimitero ebraico del Monte degli Ulivi, che domina la città vecchia.
Anche io, quando andai in pellegrinaggio in Terra Santa, seguii con molta devozione questa usanza, ma sinceramente non ricordo il contenuto della mia preghiera, e anche se lo ricordassi non lo direi, perché i bigliettini sono rigorosamente anonimi e segreti. Ma se ne dovessi mettere uno adesso, farei questa preghiera: “O Signore, Dio degli ebrei, dei musulmani e dei cristiani, Adonai – Allah – Santissima Trinità, chiamato in modi differenti da coloro che ti adorano e credono in te, che ti sei degnato di manifestarti in questa terra insanguinata da troppi odi e da troppe guerre, dona un po’ di pace ai tuoi fedeli, dona ai tuoi figli quella sapienza che ti degnasti di dare a Salomone, affinché la loro mente sia sgombradal male e si apra alla convivenza pacifica, pur nel rispetto delle reciproche tradizioni religiose, che non siano motivi di contrasto, ma arricchimento reciproco, a lode del Tuo Nome e della fratellanza universale”.
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