La cattedrale di Loikaw in Myanmar è ancora occupata dai militari. Il vescovo: “Rimaniamo con gli sfollati”
L’intero complesso della cattedrale è ancora occupato dai militari. La cattedrale di Cristo Re è stata parzialmente danneggiata. I soldati rimangono all’interno della chiesa e profanano tutti gli oggetti liturgici. L’impianto audio e le apparecchiature multimediali sono stati rubati. È stata aperta anche una delle tombe dei sacerdoti defunti sepolti nel seminterrato della cattedrale. Tutte le stanze del centro pastorale diocesano sono state scassinate e sono stati rubati oggetti, tra cui cavi elettrici, unità di aria condizionata e mobili. È mons. Celso Ba Shwe, vescovo di Loikaw (Stato di Kayah), a raccontare al Sir la situazione in cui si trova la sede diocesana dopo essere stata occupata dai militari. Il vescovo è stato obbligato anche lui a sfollare insieme a tutti i preti , i religiosi e le religiose della diocesi. Dopo i ripetuti appelli di pace di Papa Francesco ad ogni Angelus e udienza generale, il vescovo contattato dal Sir dà un aggiornamento sulla situazione. “Il Santo Padre ha visitato il Myanmar nel 2017 e ama molto questo Paese”, racconta padre Shwe. “Il Pastore conosce le sue pecore. Nello Stato di Kayah (chiamato anche Stato di Karenni) la giunta militare ha rioccupato Loikaw, la capitale, che è stata quasi totalmente distrutta dopo i combattimenti della cosiddetta operazione 1111. Pochissimi residenti sono tornati nelle loro casa anche perché la maggior parte è stata completamente distrutta e le persone non sanno dove poter andare. C’è il pericolo di mine e ordigni inesplosi e molti pensano che i combattimenti possano riprendere in qualsiasi momento a Loikaw. Sono in corso in altre parti dello Stato di Kayah, anche se stanno causando meno vittime”.
Ma lei, vescovo, come sta
Ora vivo in una parrocchia remota che è vicina a molti campi di sfollati. Tutti i preti e i religiosi sono sfollati insieme ai loro parrocchiani e alcuni vivono con le persone nelle tende di fortuna nei campi e altri nelle parrocchie non colpite che si trovano vicino ai parrocchiani sfollati nei campi profughi.
Come stanno? Dove vivono?
La maggior parte delle persone sfollate vive nei campi di fortuna lontano dalle aree di controllo militare nella giungla o vicino ai villaggi non colpiti. Vivono così da sfollati da più di tre anni. Vogliono tornare a casa, ma non hanno garanzie di sicurezza. Devono dipendere dai donatori per tutto: cibo, riparo e assistenza sanitaria. I bambini vanno alle scuole dei campi rischiando possibili attacchi aerei e bombardamenti di artiglieria. Le scuole non hanno insegnanti qualificati e materiale didattico. Gli insegnanti volontari ricevono una paga minima, non uno stipendio.
Chi sono i più vulnerabili?
Bambini, anziani, donne incinte e persone con disabilità.
Cosa manca di più? Di cosa avete più bisogno?
Come Chiesa cattolica, con la capacità che abbiamo, cerchiamo di raggiungere tutti i fratelli e le sorelle sofferenti in Cristo, indipendentemente dalla fede, dal genere, dalla razza e dal fatto che siano sfollati interni o comunità ospitanti, attraverso servizi pastorali e sociali. Ci manca il supporto necessario per i nostri sacerdoti, religiosi e catechisti e per supporto intendo cibo, possibilità di viaggiare e mettersi nei rifugi. Non abbiamo possibilità di fare ritiri spirituali, incontri e corsi di formazione. Per gli sfollati interni e la comunità ospitante, a causa della crisi economica e dei conflitti politici, per rispondere ai bisogni delle persone, ci manca tutto, cibo, beni di prima necessità e rifugi.
Lei, come anche i suoi preti, i religiosi e le suore avete deciso di non lasciare sola la vostra gente. Perché?
La Chiesa è diventata il più grande rifugio per tutte le persone, in questo periodo di conflitto. Le persone hanno bisogno della chiesa non solo per cibo e necessità materiali, ma hanno bisogno anche di preti e religiosi che siano con loro, per il sostegno spirituale, l’accompagnamento psicologico, il sostegno educativo, per i servizi sanitari e ovviamente per gli aiuti umanitari. Come dice Paolo nella lettera ai Corinzi, “mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”.
E concretamente, in una condizione così difficile, da dove avete cominciato?
Dal 2021, la diocesi di Loikaw, si è assunta la responsabilità di cinque obiettivi principali. Supporto all’emergenza con distribuzione di cibo, aiuti umanitari, rifugi. Servizi sanitari con la gestione di mini ospedali, cliniche mobili e distribuzione di medicinali, corsi di formazione per operatori sanitari. Supporto all’istruzione attraverso la costruzione e la ristrutturazione di spazi di apprendimento per studenti, formazione di educatori e supporto finanziario per sostenere stipendi mensili per gli educatori. Abbiamo anche realizzato programmi di avviamento professionale con corsi di formazione di falegnameria per ragazzi, di tessitura tradizionale per ragazze, creazione di orti domestici per le famiglie di sfollati e agroforestazione, sia per gli sfollati che per le famiglie ospitanti. Infine l’accompagnamento pastorale e psicologico per tutte le persone.
Cosa vorrebbe dire a Papa Francesco?
Siamo molto grati a Papa Francesco perché sentiamo che condivide le nostre sofferenze e prega per il Myanmar. Prendiamo coraggio e forza da lui, dal suo parlare direttamente ai leader mondiali per il popolo sofferente del Myanmar.
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