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Ruviano. Lo storico Russo ricorda la Giornata internazionale della tratta degli schiavi e della sua abolizione

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Il 23 agosto di ogni anno si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale di commemorazione della tratta degli schiavi e della sua abolizione, allo scopo di mantenere vivo nella memoria il ricordo di queste tragedie passate e lottare per combattere quelle presenti.

Parlando di questo argomento la memoria va subito a quella orrenda piaga che fu la tratta degli schiavi africani ma ci dimentichiamo che in forza degli accordi bilaterali il nostro Paese permette che le carceri libiche e tunisine tengano reclusi in condizioni drammatiche migliaia e migliaia di migranti che hanno compiuto il “viaggio della speranza” in cerca di un futuro migliore in occidente per finire schiavi sulle coste nord africane. Per non parlare poi dei famosi campi di raccolta in Albania, sempre grazie ad accordi bilaterali fatti dall’italia, in cui confluiranno gli “irregolari” presenti nel nostra Parse che evocano gli spettri dei lager nazisti.

E che vogliamo dire delle schiave del sesso che popolano il Paese provenienti sia dal continente africano che dall’estate Europa?

La schiavitù, quindi, non appartiene solo al passato.

Ma questa “Giornata internazionale” stranamente passa inosservata!

In linea con gli obiettivi del progetto interculturale dell’UNESCO, “La Rotta degli Schiavi”, la Giornata costituisce un’opportunità per la considerazione collettiva delle cause storiche, dei metodi e delle conseguenze di tale tragedia nonché per un’analisi delle interazioni a cui questa ha dato origine tra Africa, Europa, Americhe e Caraibi.

L’UNESCO invita i Ministri della Cultura di tutti gli Stati membri a organizzare, il 23 agosto di ogni anno, una serie di eventi al fine di celebrare questa ricorrenza, con il coinvolgimento dell’intera popolazione e, in particolare, di giovani, educatori, artisti e intellettuali.

La data è stata scelta a ricordo della notte tra il 22 e il 23 agosto 1791 che ha visto,  a Santo Domingo, l’inizio delle rivolte che avrebbero poi giocato un ruolo cruciale nell’abolizione della tratta degli schiavi attraverso l’Oceano atlantico.

Ma non ci interessa. Perché la nostra memoria ha cancellato i ricordi di quando gli schiavi eravamo noi.

Siamo stati inviati, nel dopoguerra, a seguito di accordi bilaterali che l’Italia fece con vari Paesi in nord Europa, in America Latina, in Canada, in Australia. Vivevamo in baracche ed eravamo ematginati: solo lavoro, poco cibo e a dormire. Non è una forma di schiavitù questa?

Da prigionieri di guerra siamo stati deportati nei campi di concentramento nazisti e obbligati a lavorare nelle fabbriche di armi o nei campi per produrre i viveri per i soldati. Non era schiavitù questa?

Riflettiamoci prima di girarci dall’altra parte di fronte a ciò che oggi accade.

Chiudo con una chiosa.

C’è stato un tempo, lontano ma c’è stato, in cui preferivamo essere schiavi pur di ricevere protezione.

Siamo a Ruviano nella Cella monastica cassinese di San Martino al Volturno.

Nel gennaio dell’819 Paolo, uomo libero, figlio del fu Lupo, proveniente da “Quintianu”, offrì spontaneamente la sua persona al monastero di Montecassino, nella chiesa di San Martino al Volturno, sottoponendosi alla regola monastica, e obbligandosi, davanti al notaio Martino e ad otto testimoni, a non sottrarsi ad essa e a trattenersi nel monastero.

In caso di inadempienza riconobbe al monaco che lo trovasse fuggiasco di prenderlo, incatenarlo o legarlo, condurlo al monastero e porlo in disciplina, come gli altri monaci, senza che egli avesse il diritto di opporsi.

Cose di altri tempi ma accadute davvero.

La libertà non ha prezzo.

(Michele Russo – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web© Diritti riservati all’autore)

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