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Ius scholae: la “terza via” virtuosa per cittadini protagonisti

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Ci sono volute le Olimpiadi per riaprire in Italia il tema dell’acquisizione della cittadinanza da parte di cittadini di origine straniera. Il dibattito (e il relativo iter legislativo), arenato nelle secche del confronto tra i partiti, pare riprendere quota. Al centro dell’attenzione c’è in particolare il riconoscimento della cittadinanza italiana alle cosiddette “seconde generazioni”: ragazzi figli di immigrati da altri Paesi che sono però nati o cresciuti in Italia.

 Cittadini protagonisti

Così si è tornato a parlare di ius sanguinis (acquisizione della cittadinanza essendo nati da un genitore che possiede quella cittadinanza) e di ius soli (essere nati in quel Paese). Poi c’è la “terza via”, che in Europa non è applicata: lo ius scholae (ma c’è anche la variante ius culturae) che lega la cittadinanza al completamento di un ciclo di studi nel Paese stesso. Ipotesi interessante, perché il soggetto non “subisce” più la cittadinanza (per nascita o per parentela), ma se ne rende protagonista, abitando nel Paese, frequentandone le scuole, apprendendone la cultura, creando – indirettamente, ma necessariamente – relazioni con i compagni, gli insegnanti e altri nuovi amici. Una prospettiva innovativa, che però in Europa non trova applicazione. Gli Stati del vecchio continente si affidano sostanzialmente, salvo qualche variante, allo ius sanguinis e/o allo ius soli.

Pratica restrittiva

Va ricordato che attualmente la cittadinanza italiana può essere acquisita in diversi modi, risultando però sempre una pratica molto restrittiva (sembra infatti prevalere una preoccupazione securitaria rispetto a quella che vede la persona integrata sul piano sociale e culturale e parte attiva della comunità nazionale). Dunque ad oggi si è italiani dalla nascita, se almeno un genitore è italiano (ius sanguinis); al compimento dei 18 anni se entrambi i genitori sono stranieri, purché si sia avuta continuativamente residenza in Italia, cittadinanza da ottenersi comunque entro il compimento del 19° anno; a seguito di matrimonio con coniuge italiano; mediante naturalizzazione dopo dieci anni di residenza legale in Italia (cinque anni per coloro ai quali è stato riconosciuto lo status di apolide o di rifugiato; quattro anni per i cittadini di Paesi Ue). In questo caso occorre dimostrare di conoscere la lingua italiana, non avere precedenti penali e di possedere redditi necessari al sostentamento. Sulla rapida naturalizzazione di calciatori stranieri… il dibattito langue.

Un passo avanti

Dunque stando allo ius scholae, le proposte normative in circolazione consentirebbero l’ottenimento della cittadinanza italiana ai ragazzi, figli di genitori stranieri, che hanno fatto ingresso nel Belpaese entro il compimento del dodicesimo anno di età e che hanno completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni.

Nell’Europa comunitaria

Tornando all’Europa comunitaria, e ad ampia parte delle nazioni del mondo, si evidenzia una grande diffusione dello ius sanguinis (che è la regola prevalente, ad esempio, in Germania, Francia, Polonia, Romania, Svezia, Ungheria, Danimarca). Ma si registrano anche formule miste, come lo ius soli “temperato” o “rafforzato”, detto anche “doppio ius soli” (nascita da genitori stranieri che abitano da alcuni anni nel Paese; almeno uno dei genitori sia nato in quel Paese), che valgono in Germania, Francia, Spagna, Belgio, Irlanda, Portogallo Paesi Bassi. Nessuna ipotesi di ius soli, invece, finora in Italia, Polonia, Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Romania. Una nota in più: va ricordato che in Europa, come nel mondo, alcuni Paesi non accettano la doppia cittadinanza, per cui se si acquista quella di quegli Stati si perde la propria d’origine.

Una curiosità

L’Istituto di statistica dell’Unione europea Eurostat ha elaborato mesi fa una ricerca, su dati del 2023, secondo cui il tasso di naturalizzazione dei cittadini di origine straniera è molto basso, attorno al 5% nella quasi totalità degli Stati membri Ue. Solamente in Svezia e nei Paesi Bassi supera il 10%; in alcuni Paesi orientali e baltici il dato non arriva all’1%, mentre in Italia si colloca sotto il 3%.

Nel resto del mondo

Lo ius sanguinis è diffuso in Giappone e in molti Stati dell’America Latina tra cui Brasile e Messico. Per diventare cittadini cinesi occorre avere almeno un genitore cinese oppure nascere da genitori che da tempo stabilmente risiedono nel Paese. In India occorre aver vissuto continuativamente per almeno 12 anni dei 14 che precedono la richiesta. Gli Stati Uniti si affidano invece allo ius soli, pratica sancita dalla legge che ha contribuito a far grande il gigante nordamericano, principio più volte contestato dal candidato alla presidenza Donald Trump (ci sono poi altre opportunità legate al processo della “green card”).

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