Le analogie tra le forme e le provenienze sono alcuni dei meccanismi più efficaci per dare nomi o significati alle cose. È così che una nazione dell’Europa centrale, una scarpa tardo-medievale e un pezzo di nave si ritrovano tutte affacciate sullo stesso cortile a ciarlare fitto fitto tra di loro, ciascuna sul proprio balcone.

Cominciamo con il significato della parola in questione: polena. Si tratta della statua che adornava le prue dei velieri (parliamo di navi costruite tra il XV e il XIX secolo). Inizialmente era delle semplici travi, con la funzione di costituire l’ossatura dell’imbarcazione nella parte terminale anteriore. Molto lineari, come elementi, senonché… vuoi per necessità, vuoi per superstizione e mero gusto, invalse l’uso di scolpire figure sulla prua. Magari per indicare in maniera iconica il nome della nave a chi era analfabeta, o per ingraziarsi qualche nume marino o incutere timore in forze ostili: in effetti ornare le prue con mascheroni apotropaici era un’usanza diffusa, e fin dall’antichità. Però furono raggiunti dei parossismi di opulenza, barocchismi contorti e anche vere e proprie opere d’arte, con stemmi colorati e dorati, che dovevano costituire anche uno status symbol degli armatori. Mica poco!

Ma la forma iniziale della polena, quella semplice, acuto cuneo di legno, aveva colpito l’immaginazione umana in altro modo, prima di tutta quella profusione sofisticata di dorature e stucchi. Nell’immaginario medievale era stata accostata alla foggia di una calzatura alla moda tra i nobili del tardo medioevo. Essa aveva un gusto orientaleggiante ed era stata cucita, pare, già alla fine del Trecento. Era una babbuccia lunga e affusolata, con una punta che poteva anche superare in lunghezza quella della scarpa vera e propria. Era così alla moda che perfino le armature da battaglia furono adattate per integrare questa scarpetta.

Si tramanda che questa calzatura sia nata in Polonia, a Cracovia per la precisione, tantoché in francese, lingua da cui proviene la parola ‘polena’, fu chiamata appunto poulaine, cioè scarpa polacca. Da notare che oggi, in francese, polacco si dice polonais. Perfino l’inglese riconosce l’origine di questo accessorio, chiamandolo crackowes, cioè scarpe di Cracovia. Ad oggi le possiamo vedere indosso ai figuranti nelle rappresentazioni medievali o a Benigni e Troisi che se ne vanno in giro per Frittole cercando di salvare Vitellozzo.

Tornando alla polena vera e propria, l’uso che si può fare di questa parola è sostanzialmente circoscritto al settore marittimo e storico (a parte qualche esperimento letterario di estensione nel senso di figura enigmatica e attraente, quale è questa icona del viaggio). Parliamo delle articolate e pesantissime polene dell’epoca barocca, che rischiavano di far colare a picco i vascelli col loro peso sconsiderato; in visita all’Amerigo Vespucci ne ammiriamo la polena dorata che rappresenta il grande esploratore; e mimiamo con gli amici la celebre scena del Titanic, in cui Jack e Rose creano una romantica polena nel tramonto.