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Acqua non pubblica, così si consuma nel silenzio dei partiti la vendita delle grandi reti di distribuzione della Campania

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E’ noto che i mesi estivi di intensa calura che distoglie ogni attenzione del lettore, seppur avido di news, e lo dispone a interessi di piú marcata spensieratezza, sono stati da sempre occasione ghiotta per amministrazioni pervicaci nel perseguire innate passioni e approfittare di questo scadimento dell’attenzione collettiva alle vicende della gestione pubblica del territorio. Così la delibera n° 399 del 25 luglio del 2024 e’ servita alla Giunta Regionale campana ad approvare la costituzione di una società a partecipazione pubblico – privata, “Grandi reti idriche Campane Spa ”,per la gestione della Grande Adduzione primaria di interesse regionale e il relativo statuto per la gestione delle fonti idriche fondamentali della Campania, tra le quali rientrano con l’Acquedotto della Normalizzazione, con le sorgenti di Cassano Irpino e di Baiardo a Montemarano del Fiume Calore. La società in gestazione avrà un mandato di 30 anni per gestire l’intero sistema della Grande adduzione primaria, con manutenzione degli impianti, progettazione di nuove opere, riscossione delle tariffe dei servizi gestiti. Entro la fine dell’estate il placet del consiglio regionale porterà alla scelta del socio privato, l’ennesima multiutility, quale Acea o Suez o Italgas, voracemente interessata al profitto e ai fondi Pnrr. Ma già a ottobre 2023 il consiglio comunale di Avellino aveva approvato all’unanimità una mozione della minoranza richiedente a De Luca uno stop in questa scelta improvvida di privatizzazione delle reti. Analoghi provvedimenti sono stati presentati nei consigli comunali di Napoli, Pozzuoli e Marano. Ma il governatore, nel silenzio compiacente di quasi VG tutte le forze politiche, va come un treno verso l’obiettivo prefissato. “Davanti ad una siccità che non dà tregua ed alle gravi crisi idriche – scrive il Coordinamento regionale acqua pubblica – la risposta di De Luca è quella di cedere il 49% dell’acqua della Campania ai privati. Il Coordinamento campano per l’Acqua pubblica è impegnato da anni con numerose azioni di protesta, come i sit-in davanti alla Regione Campania, il blocco della Stazione marittima e diversi incontri con l’assessore Bonavitacola ed il presidente De Luca, per dire no ad ogni forma di privatizzazione dell ‘acqua nella regione più ricca del mezzogiorno. Ma De Luca tira dritto senza ascoltare nessuno, giustificando le scelte con la grande bugia che non ci sono i soldi per la gestione pubblica.La smentita di questa teoria – prosegue la nota – è nella relazione allegata alla delibera, dove a pagina 72 si legge testualmente che: “in tutto il periodo di riferimento (2024-2053) sono previsti investimenti riferibili a interventi per complessivi euro 2.059,6 milioni di euro di cui 1.029,8 milioni di euro coperti da tariffa ed il restante 50% per euro 1.029,8 milioni di euro finanziati con contributi pubblici”. Da una parte si dice che l’unica strada possibile è la privatizzazione perché il puforzebblico non ha i soldi, ma dall’altra si stabilisce che gli investimenti dei prossimi 30 anni saranno coperti al 50% con le bollette dei cittadini e con il restante 50% dai contributi pubblici. Questo vuol dire che le multinazionali fanno i profitti sull’acqua, senza tirare fuori nemmeno un euro, mentre i costi sono sostenuti dai cittadini e dallo Stato”.
E appena ieri Alex Zanotelli scriveva in una lettera aperta su Repubblica: “Ogni forma di privatizzazione della risorsa idrica è inaccettabile. Di soluzioni possibili ce ne sono senza bisogno di andare a cercarle lontano. Guardiamo all’azienda speciale Abc Napoli, che è l’unica realtà metropolitana che ha obbedito al referendum del 2011 con tariffe tra le meno elevate d’Italia e percentuali di dispersione sotto la media nazionale, rifiutando la logica della redistribuzione degli utili, investiti unicamente negli interventi a favore delle reti idriche”. In nome di una presunta efficienza e di managerialità si va a consumare un atto di svilimento della volontà popolare che portò al quorum del 54% e al 94% dei sì di un referendum , nel 2011, con 27 milioni di italiani votanti per la gestione pubblica del servizio idrico. Dopo tutti questi anni di orgia privatizzatrice qualche dubbio dovrebbe balenare alla mente dei nostri amministratori, anche senza essere illuminati amministratori: pensiamo alla gestione selvaggia della telefonia, o dei trasporti o agli stessi acquedotti nazionali che erano colabrodi e continuano ad esserlo, in attesa di forti investimenti pubblici. Quando la politica avvierà un riesame critico urgente delle privatizzazioni avvenute o in corso in questi anni spregiudicati? La vendita dello spazio pubblico, puntando al restringimento dell’azione dello Stato e dei poteri pubblici in attività o proprietà strategiche essenziali, condanna le prossime generazioni a non avere piú diritto di scegliere.

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