La Lettera di Francesco sulla letteratura, un inno alla speranza
La Lettera del Papa sul ruolo della letteratura nella formazione ha evidenziato dinamiche che erano note ma non molto diffuse: l’impatto reale della lettura sull’umore e la constatazione che l’atto del leggere ha il potere di riprodurre empaticamente i movimenti e le azioni narrate.
Per questo la Lettera è ancora più importante: non riporta l’atto della lettura ad una dimensione solo culturale, ma lo immerge nella realtà complessiva – e complessa – dell’essere. E fa nomi di scrittori che ci possono essere di aiuto in questi giorni di vacanza o di permanenza a casa per motivi vari: dal lavoro alla difficoltà economica, alla cura dell’altro, come scrive il Papa, “nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti”.
Ad esempio ricorda come negli anni del suo insegnamento dovette concedere ai ragazzi la lettura in classe delle poesie di Garcìa Lorca piuttosto che l’epica del Cid. E Lorca, in effetti, ha avuto un momento di grande riscoperta proprio negli anni ’60, quando l’impegno politico aveva portato alla riscoperta del poeta di Fuente Vaqueros, ucciso dalle milizie franchiste durante la guerra civile spagnola. Oggi le sue poesie e le sue opere sono universalmente note e tradotte da molte case editrici.
Ma c’è un altro elemento che è giusto sottolineare: il Pontefice rivaluta la letteratura non immediatamente confessionale, anzi, porta l’esempio di San Paolo che “raccoglie i semi della poesia pagana”. Gli abissi della fede si intravedono spesso là dove penseresti esserci solo tenebre, perché è nella sofferenza – o nell’assenza di fede – che emerge la speranza: una rilettura dei grandi greci e latini, da Saffo a Orazio, potrebbe riservarci sorprese. Non è mancato chi, come il grande scrittore austriaco Hermann Broch, ha suggerito una lettura profetica del capolavoro di Virgilio, verso una dimensione cristiana: in “La morte di Virgilio” (Feltrinelli) la visione finale del grande poeta è quella del “pastore d’oriente” e “l’immagine del fanciullo in braccio alla madre”. Da brividi.
E anche quando il Papa si rifà alle sue conoscenze dirette, si spalanca un mondo in cui la ricerca di senso emerge non necessariamente in una dimensione confessionale: è il caso dell’argentino Jorge Luis Borges, che faceva della letteratura un ascolto di altre voci ma anche la possibilità di creare infiniti mondi, come accade in “Finzioni” (Adelphi) e in molte altre sue opere.
La Lettera poi cita Eliot, uno dei grandi del Novecento, che ha fatto riferimento alla “incapacità emotiva” dell’uomo moderno. La sua opera è talmente affascinante che si dovrebbero leggere sia la sua lirica d’amore – e di perplessità -, come lo splendido “Prufrock ed altre osservazioni”, sia quella della constatazione dell’immobilità senza scampo in una realtà senza Dio (“La terra desolata”) e poi quella della visione salvifica della figura mariana in “Mercoledì delle ceneri”: tutte e tre le raccolte sono presenti nell’edizione Mondadori curata da Roberto Sanesi.
E poi Proust, la cui immane opera, i sette volumi della “Ricerca del tempo perduto” (Einaudi), rappresenta il superamento del concetto materialistico di tempo come susseguirsi di segmenti tutti uguali in favore di una nuova concezione, mutuata dalla conoscenza personale del grande filosofo Henri Bergson: passato e presente convivono in noi attraverso la memoria. Consigliamo soprattutto la lettura dell’ultimo volume, “Il tempo ritrovato”, perché è la prova di come un Pontefice abbia colto il senso profondo della letteratura. Qui, infatti, emerge una salvezza che arriva quando non la attenderesti più. Un inno alla speranza, come nella Lettera: “Talvolta, nel momento in cui tutto sembra perduto, giunge il messaggio che può salvarci: abbiamo bussato a tutte le porte che non portavano a niente, e la sola per cui si può entrare, e che avremmo cercato invano per cento anni, la urtiamo senza saperlo, e si apre”.
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