Regno Unito: non cessa lo stato d’allerta. Jrs UK: “Non siamo un Paese di razzisti. Il futuro si costruisce sulla solidarietà”
“Negli ultimi due giorni, abbiamo visto molte comunità in tutto il Paese schierarsi contro la violenza e in solidarietà con i rifugiati e con la comunità musulmana. È stato un segno davvero positivo. Ovviamente dobbiamo ancora vedere cosa succederà nei giorni a venire. Il governo ha detto che si aspetta ulteriori violenze e rivolte. Ma ci sono stati segnali positivi. Una parte della società sta dicendo chiaramente che violenza e razzismo non sono nella natura di questo Paese, che sappiamo e vogliamo sostenerci a vicenda”. È Liam Allmark, responsabile delle comunicazioni, raccolta fondi e advocacy del Jesuit Refugee Service UK, a fare il punto della situazione oggi nel Regno Unito dopo una settimana di disordini e violenze in tutto il Paese. Negli ultimi giorni la società britannica ha reagito e ha organizzato manifestazioni antirazziste e pacifiche con migliaia di partecipanti. Anche tutti i leader religiosi del Paese sono scesi compatti per invocare la pace sociale. L’allerta però per possibili nuovi scontri non è rientrata. Lo ha detto alla Bbc il viceministro Nick Thomas-Symonds dopo che ieri si è tenuta la terza riunione del comitato per le emergenze Cobra, presieduta dal premier laburista Keir Starmer, dall’inizio dei disordini nelle strade del Regno Unito.
Liam, come si spiega questa ondata di rabbia che ha profondamente scosso tutto il Paese?
È vero, c’è un numero enorme di persone nel Regno Unito che è davvero sconvolto da quello che è successo. Le ragioni che si nascondono dietro sono complesse. Quello che sappiamo è che c’è stata molta disinformazione e, aggiungerei, anche molta retorica razzista e divisiva, che ha alimentato uno scontento che serpeggia, forse per troppo tempo, tra le persone. Persone che stanno cercando di costruire le loro vite qui ma faticano a farlo. E questa frustrazione è stata strumentalizzata da politici e persone influenti. Si dà facilmente la colpa ai rifugiati e li si fa diventare il capro espiatorio di problemi che il Paese avrebbe dovuto affrontare.
Voi siete in contatto con tanti rifugiati. Come stanno vivendo questi attacchi? Hanno paura
Sì, certo. I rifugiati nel Regno Unito, come ovunque, sono già stati costretti a fuggire dalle loro case, in cerca di una vita migliore. Hanno già vissuto traumi in molti casi. Arrivati qui, hanno dovuto imparare a destreggiarsi in un sistema di asilo molto difficile. Abbiamo visto nell’ultimo periodo introdurre politiche molto dure e un linguaggio ostile nei loro confronti. Le scene, che abbiamo visto la scorsa settimana, li hanno lasciati in uno stato ancora più forte di incertezza e li ha impauriti. Per questo le manifestazioni di solidarietà, che ci sono state negli ultimi giorni, sono importanti perché hanno fatto vedere che c’è una parte della società britannica che sta dalla loro parte e respinge ogni forma di razzismo.
Il Jesuit Refugee Service UK ha chiesto al governo di garantire sicurezza alle comunità di rifugiati. Cosa chiedete esattamente?
Sì, vogliamo solo assicurarci che il governo stia mettendo in atto le misure giuste per proteggere fisicamente e più in generale le persone che sono state prese di mira da questa violenza. I migranti e le comunità musulmane sono stati presi di mira ed è importante che il governo prenda le misure necessarie per garantire che le persone siano al sicuro. Abbiamo visto scene di persone negli hotel attaccate e minacciate. Stiamo parlando di donne e bambini, della loro sicurezza e della loro vita. È essenziale che il governo prenda misure concrete. Abbiamo chiesto questa garanzia.
Come superare le divisioni?
Quello che dobbiamo fare è costruire su quella straordinaria solidarietà che le comunità hanno mostrato negli ultimi giorni. Dimostrare di essere quello che siamo e cioè una società composta da persone che provengono da background diversi, ma capaci, in quanto tutti esseri umani, di sostenersi a vicenda, di prendersi cura l’uno dell’altro. Papa Francesco parla dell’importanza della cultura dell’incontro. Penso che più riusciremo a fare in tal senso, più potremo, come società, costruire il nostro futuro su quella solidarietà che abbiamo visto negli ultimi giorni. Ed è ciò che ci aiuterà nel tempo.
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