Quel pasticciaccio infinito del mostro di Firenze
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Sarabanda di idiozie
Quel pasticciaccio infinito del mostro di Firenze
La scia dell’assassino – Milioni di carte giudiziarie dove 200 sospettati compaiono e scompaiono, tra cui una dozzina di “maniaci solitari” triturati dalla cronaca nera, spolpati e abbandonati nella discarica delle false piste
Di Pino Corrias
7 Agosto 2024
Quella del Mostro di Firenze – otto coppie in amore, uccise di notte con la pistola e il coltello, tutte nelle campagne fiorentine, tra il 1968 e il 1985, alcune mutilate, tutte scelte a caso, tranne la prima, con il solo movente della crudeltà – è il più grande pasticcio investigativo della nostra storia recente.
La più grande e surreale fabbrica di denunce e di vendette anonime, di lettere scarlatte, di depistaggi volontari e involontari, di sensitivi, medium, maghi, mitomani, convocati dal miele del male. Capaci tutti quanti insieme di trasformare una sequenza di omicidi seriali accaduta in una manciata di chilometri quadrati tra gli uliveti di Calenzano e San Casciano, nell’arco di 14 anni, in una ondata di panico collettivo alimentato come un incendio dalla tv e dai giornali che per anni hanno strillato isterici allarmi di imminente pericolo, sempre moltiplicandolo: “Ragazzi attenti, il Mostro vi segue!”, “Non uscite di casa la sera!”, “Non appartatevi sulle colline!”. Psicosi aggravata dagli errori, dalla competizione e dal narcisismo degli inquirenti – ce ne fu uno, Ruggero Perugini, capo della S.A.M., la Squadra Anti Mostro messa in piedi dalla Questura di Firenze, che sfidò personalmente il Mostro in diretta tv, fissando in stile western la telecamera: “Lo so che mi stai guardando, ti aspetto!” – tutti talmente pressati dal terrore dell’opinione pubblica da dare credito a ipotesi una più strampalata dell’altra: le sette sataniche, gli omicidi rituali, la loggia massonica ultrasegreta, addirittura le interferenze e i depistaggi dei servizi segreti italiani, anzi americani, legati alla strategia della tensione.
Una sarabanda di idiozie, scacciate da altre idiozie che hanno riempito milioni di carte giudiziarie. Inchieste doppie e triple. Dove compaiono e scompaiono oltre 200 sospettati. Compresa una dozzina di cosiddetti “maniaci solitari” triturati dalla cronaca nera, spolpati e poi abbandonati nella discarica delle false piste: l’ex legionario appassionato di armi, il chirurgo sospettato di sadismo, il farmacista della setta “I Gaudenti”, il gastroenterologo depresso e forse pazzo. Risultato: migliaia di congetture, qualche indizio, qualche confessione, una manciata di condanne contestate, altrettante assoluzioni confutate, nessun colpevole, se non un paio di disgraziati diventati i “compagni di merende”, trasformando il mistero in una miniera senza fondo per cacciatori di scoop, investigatori improvvisati, scrittori pessimi, scrittori bravi, e altrettanti fanatici che hanno passato la vita ad accumulare le tessere degli omicidi, come quegli appassionati di “modellismo statico”, che per anni incollano migliaia di pezzi per farne un galeone che neanche resta a galla.
Fino all’apoteosi del contadino scannatore, il raccapricciante Pietro Pacciani scappato da una tavola nera di Hieronymus Bosch, che nella stamberga di Mercatale Val di Pesa consumò la sua vita violenta, ricostruita processo dopo processo: un omicidio per gelosia in gioventù, il rivale atterrato a coltellate, poi finito con una pietra fino a sfondargli occhi e testa, obbligando la fidanzata fedifraga a stendersi accanto al cadavere e a subire “un rapporto sessuale riparatore”. Dopo 13 anni di carcere, il matrimonio e il successivo inferno della vita coniugale, la moglie picchiata con il bastone, le due figlie violentate dall’età di undici anni e alle quali dava da mangiare il pastone per i cani. Pacciani il violento, l’analfabeta, l’avaro.
Pacciani un mostro, ma non il Mostro. Arrestato la prima volta il 17 gennaio 1993 dopo una denuncia anonima. Condannato a 14 ergastoli per 7 dei duplici delitti. Assolto in Appello. Cassato in Cassazione. Riprocessato a fine 1996. Uscito di scena malamente l’anno dopo, trovato morto stecchito forse per infarto, cascato di traverso nella sua cucina, con i pantaloni calati, lasciandosi alle spalle le atrocità della sua vita e la coda dei suoi due degni “compagni di merende”, due altri piccoli grandi mostri, Mario Vanni, detto “il Torsolo”, e Giancarlo Lotti, detto “Zampino, entrambi semianalfabeti, violenti, alcolizzati, vite randagie a perdere, con la passione di infastidire le coppiette di notte. Entrambi rei confessi di quattro degli otto duplici omicidi, dichiarazioni forse attendibili, forse no, comunque condannati in via definitiva nel 1999.
Sentenza che non chiude il circo delle cento ipotesi, anzi lo alimenta, visti i buchi dell’inchiesta, le scene dei delitti sempre contaminate da inquirenti, fotografi e curiosi, gli indizi smarriti, le prove mai provate. A partire dall’arma mai trovata, la famosa Beretta calibro 22 con i relativi proiettili Winchester, tutti con la lettera H incisa nel fondello, usata in tutti gli omicidi, compresi il primo, quello del 1968, due vittime per una volta non casuali come le successive, Beatrice Locci e il suo amante uccisi con quattro colpi di pistola a testa, intorno a mezzanotte, in una stradina di campagna, in località Signa, dentro all’auto, sulla quale si erano appartatati. Reo confesso il marito di Barbara, Stefano Mele, manovale arrivato dalla provincia di Oristano, che aprirà il filone della “pista sarda”, forse il più appropriato delle indagini, dove compariranno altri tragici personaggi di questa storia nera, a partire dai fratelli Francesco e Salvatore Vinci, pastori di Villa Cidro, anche loro titolari di vite violente. Francesco arrestato con l’accusa di essere il serial killer, ma scarcerato nel 1983, visto che il Mostro poco dopo, compie il penultimo dei suoi delitti, scagionandolo. E che finirà ucciso in Francia il 7 agosto 1993, dopo essere stato torturato, incaprettato e dato alle fiamme. Non si sa da chi. E Salvatore, sparito nel nulla, dopo il carcere, forse vivo per anni in Spagna.
La fredda cronaca di quei delitti è una sciarada di date, luoghi, crescenti crudeltà. La danza macabra si apre il 21 agosto 1968 con il doppio omicidio degli amanti. Si interrompe per 6 anni. Quando la stessa arma torna a colpire – 14 settembre 1974 – su una strada sterrata di Borgo San Lorenzo, il ragazzo ucciso con cinque colpi di pistola, la ragazza colpita tre volte, trascinata fuori dall’auto, finita con 96 coltellate. Di nuovo calma piatta per altri 7 anni. Poi, dal 1981 al 1985, e con furia crescente, gli altri cinque doppi omicidi. Nel terzo e nel quarto viene inferta alle due donne la mutilazione del pube. Nei successivi, il killer perfeziona il rito con l’asportazione anche del seno sinistro. Tutti “trofei” che non verranno mai trovati, tranne un lembo di pelle della francese Nadine Mauriot, ultimo dei doppi delitti, 8 settembre 1985, che il giorno dopo verrà spedito, in una busta imbucata a San Piero a Sieve, al sostituto procuratore Silvia Della Monaca, Tribunale di Firenze, edizione straordinaria dei giornali, massima allerta in Toscana e in Italia. Tutti pronti alla battaglia campale contro il Mostro.
Che invece sparisce. Per sempre. Come se quell’ultimo gesto di sfida, fosse il suo punto di arrivo, il suo finale di partita. O magari è semplicemente fuggito. È finito in carcere o in manicomio. È morto per malattia o per incidente. Tutte congetture senza risposta, indagate anche loro all’infinito.
Da allora seguiranno inchieste tv, film, documentari, fiction, almeno una trentina di libri, decine di blog alimentati da altrettanti forum: non c’è niente di meglio di una manciata di delitti senza spiegazioni, per poterle maneggiare tutte.
Il Mostro nel frattempo si è trasformato in un gorgo che gira dentro a un fondale di provincia atavica e feroce, un pezzo di Italia nera che solo le atrocità della cronaca riescono a svelare. Ultimo soprassalto di qualche giorno fa, quando è stato selezionato un Dna sconosciuto su uno dei proiettili dimenticati chissà da quanto. I poveri familiari delle vittime hanno chiesto nuove indagini a Firenze. Sono passati 56 anni, e questa Pompei di uno dei crimini più efferati della nostra storia, non smette di darci notizie (e incubi) dai suoi scavi.
FONTE:
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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