Iraq: 10 anni fa Isis invadeva la Piana di Ninive. Card. Sako: “Solo il 60% dei cristiani è rientrato. Costruire uno Stato civile”
“Isis è stato sconfitto ma la sua ideologia resta forte e piuttosto diffusa e non solo in Iraq. Oggi a preoccupare sono le tensioni tra le diverse fazioni politiche, l’influenza di alcuni Paesi vicini sull’Iraq, la mancanza di sicurezza, la corruzione, la scarsità di lavoro e di assistenza sanitaria. Tutto questo si traduce in una grave sfiducia per il futuro che spinge molti iracheni, soprattutto cristiani, a emigrare”. Così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, commenta il decimo anniversario dell’invasione della Piana di Ninive, culla della cristianità irachena, da parte dell’Isis.
Tra il 6 e il 7 agosto 2014, circa 120.000 cristiani fuggirono in fretta e furia dalle città e dai villaggi della Piana con quel poco che riuscirono a portare via, mentre i miliziani dell’Isis e, in diversi casi, anche i loro vicini musulmani ne saccheggiavano le proprietà. La gran parte dei cristiani trovò rifugio a Erbil, nel quartiere cristiano di Ankawa, a Dohuk, Zakho e Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno, accolti dalla Chiesa caldea. Il 10 giugno Isis aveva occupato Mosul e imposto la legge islamica.
La fuga delle famiglie. A distanza di 10 anni, e nonostante questi territori siano stati liberati nel 2017 e le case, scuole e chiese rimesse in piedi dalle Chiese locali sostenute da agenzie umanitarie, come Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), “solo il 60% circa dei cristiani ha fatto rientro a Mosul e nei loro villaggi della Piana di Ninive”, denuncia il patriarca caldeo. “Tanti – spiega – hanno scelto restare nel Kurdistan”.
“Si stima che ogni mese circa 100 famiglie cristiane lascino l’Iraq”.
“Un colpo durissimo” alla locale presenza cristiana che da 1,5 milioni di fedeli oggi ne conta meno di 500mila. Statistiche fornite dal Patriarcato caldeo mostrano che “tra il 2003 e il 2023, circa 1.275 cristiani sono stati uccisi in Iraq. Tra loro si annoverano anche sacerdoti, come padre Ragheed Ganni, e l’arcivescovo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho. Nello stesso periodo 85 chiese e monasteri tra Baghdad, Mosul e Bassora sono stati bombardati da estremisti e dall’Isis, 23mila le case dei cristiani e di altri membri di minoranze occupate”.
L’impegno della Chiesa. “Sembrava che l’esodo si fosse fermato o quantomeno rallentato. Purtroppo, – aggiunge il card. Sako – dopo il rogo dello scorso 26 settembre, avvenuto durante un matrimonio a Qaraqosh che provocò la morte di 114 persone e il ferimento di altre 200, tante famiglie se ne sono andate. Il Governo affermò che quel rogo fu un incidente ma nessuno ha mai creduto a questa versione. Un rogo le cui responsabilità non sono state, di fatto, accertate”. Ripete Mar Sako: “La mancanza di tutela, di garanzia di diritti spinge molti a emigrare. È una vera tragedia. In queste settimane ho voluto incontrare tutti i leader politici e rappresentanti diplomatici per ribadire l’impegno della Chiesa a favore del Paese. Facciamo quel che possiamo con quel che abbiamo”.
Scardinare la mentalità settaria. Ma la solidarietà da sola non basta. Per ridare speranza e fiducia alla popolazione irachena, non solo cristiana, ribadisce il patriarca caldeo,
“bisogna scardinare la mentalità settaria e tribale che ancora resiste. Serve uno Stato moderno, democratico, civile, basato sulla cittadinanza. Non si può più parlare di maggioranza, di minoranza, di cristiani, ebrei, sciiti, sunniti, yazidi e così via ma di cittadini. Tutti siamo cittadini con pari diritti e doveri.
Il governo e i partiti politici devono eliminare le tensioni settarie coinvolgendo le persone di tutti gli schieramenti e componenti religiose e nazionali. Inoltre, la giustizia deve essere amministrata nei tribunali e non al di fuori, non lasciata alla vendetta tribale. E anche le religioni devono dare il loro contributo, aggiornandosi, facendo riscoprire il rapporto tra Dio e l’uomo, senza strumentalizzare il messaggio spirituale.
La religione non deve entrare nella politica.
In questo modo – conclude il card. Sako – si favoriranno le competenze, molti iracheni preparati saranno incoraggiati a ritornare nel Paese, cresceranno investimenti e lavoro. Tutto ciò contribuirà alla ricostruzione e alla prosperità del Paese”.
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