Fescennino /Antico carme italico da festa agreste, rozzo e salace; relativo a tale canto; licenzioso, scurrile, salace / «È stato un intervento fescennino che ha divertito tutti.»
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Fescennino
fe-scen-nì-no
Significato Antico carme italico da festa agreste, rozzo e salace; relativo a tale canto; licenzioso, scurrile, salace
Etimologia voce dotta recuperata dal latino fescenninus, dal nome della città falisca di Fescènnia.
- «È stato un intervento fescennino che ha divertito tutti.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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Questa parola ci porta dei significati che possiamo usare per dare un corpo speciale al volgare, allo sfrenato, allo scurrile. Anzi è curioso come sia una parola alta e ricercata, a dispetto dei significati bassi a cui si riferisce: potere immenso dell’antichità remota, che conferisce nobiltà al semplice.
Ce ne parlano fra gli altri nientemeno che Virgilio e Orazio, i più grandi poeti della latinità. Virgilio, nelle Georgiche, racconta di come i contadini d’Italia scherzassero con versi grezzi e risate sfrenate, indossando orrende maschere di corteccia, e con canti festosi invocassero Bacco, appendendo in suo onore gli oscilla ai pini. Orazio, nelle Epistole, racconta di come questi stessi contadini, nel Lazio — riposto il grano nei magazzini e fatti i sacrifici a Tellus, a Silvano e al Genio — con tutta la comunità usassero dar voce a questa liberazione dal lavoro con scherzi rustici, con rudi versi alternati in dialogo, licenziosi versi fescennini, che arrivavano oltre l’eccesso, alla crudeltà e alla diffamazione.
Abbiamo quindi un aggettivo che qualifica versi pronunciati durante antiche feste agresti, spesso anche nuziali, ‘versi fescennini’ — e questo ‘fescennini’ mette a fuoco questo genere poetico probabilmente con un riferimento alla città falisca di Fescènnia, nell’alto Lazio (oggi nell’area di Civita Castellana — per inciso, i Falischi erano un popolo della zona, spesso assimilato agli Etruschi).
Orazio e Virgilio non hanno in grande stima questi versi fescennini. Poeti della nuova Roma di marmo, ci leggono dentro una volgarità radicale — in maniera però poco perspicua, perché in quelle grossolanità improvvisate da contadini ubriachi e travestiti che si rispondono a vicenda fra loro e col pubblico, prendendosi in giro e facendo battute salaci, proprio lì emergono il teatro, la satira, e una delle vene della poesia. Un fatto che ci può far considerare quanto questi fenomeni possano essere bassi nel senso migliore del termine, radicati e spontanei come erbacce.
Naturalmente non ci capita spesso di ragionare del teatro e della poesia rustica arcaica, nella nostra quotidianità, e quindi il senso proprio del fescennino quale genere teatrale e poetico non ci serve spesso; ma l’aggettivo ‘fescennino’ ci permette anche di significare ciò che ha le caratteristiche dei versi fescennini — e quindi è licenzioso, impudente e inverecondo, scomposto, mordace e salace.
Posso parlare dello spettacolo fescennino trasmesso in televisione come fosse un’esibizione di raffinatezza squisita; durante la festa l’amico esuberante si produce in un’infilata di battute fescennine da morir dal ridere; e al circolo di paese ogni racconto si trasforma in una messinscena fescennina.
Naturalmente il fescennino è volgare, è sboccato, è impudico; ma questa parola ci permette di qualificare tutto questo col suo primo nome, un nome tanto levigato che quei canti di contadini risultano difficili da immaginare. Non perde un bottone della fondamentale complessità del significato: dentro ci resta tutto; eppure il fescennino si può maneggiare come una parola raffinata, e dà al discorso un’aura di altezza a cui forse nessun’altra parola di quest’ambito, di solito compunta e morale, riesce ad arrivare.
Senza contare che… in sordina, sotto al tavolo, ci passa anche la meravigliosa tentazione di immaginarci queste remote feste estive, nel profilo dell’antica boscosa campagna dell’alto Lazio, così vuota di persone, nel gesto di staccare la corteccia giusta da un albero per farne una maschera, di versare latte a Silvano, e vino alla gente, e di palleggiarsi in testa qualche verso orecchiabile e offensivo da berciare.