Libano in ginocchio: vuoto politico, caos economico e l’incubo della guerra
La morte dei 12 ragazzini in un campo di calcio sulle Alture del Golan – un’area abitata dalla minoranza drusa israeliana –, per il lancio di un razzo attribuito a Hezbollah, e la successiva risposta delle Truppe di difesa israeliane (Idf) in sette aree nel Sud del Libano, ha trasformato quella che fino a pochi giorni fa era solo un’ipotesi in un’agghiacciante possibilità. Washington, Londra e Berlino hanno invitato i loro connazionali a lasciare il Paese, mentre il portavoce dell’Unifil – la forza di interposizione delle Nazioni Unite in Libano –, l’italiano Andrea Tenenti, ha definito il quadro “preoccupante”, anche se non ha chiuso del tutto gli spazi alla possibilità di un’azione diplomatica. Certo che la strage di Majdal Shams, il villaggio druso nel Golan siriano occupato da Israele nel 1981, ha complicato notevolmente le trattative, e proprio mentre a Roma si incontravano, per un negoziato su Gaza, il capo del Mossad, David Barnea, il direttore della Cia, William Burns, il premier del Qatar, Mohammed Al-Thani, e il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamal.
Conflitto latente. “La situazione nell’area varia di giorno in giorno ed è impossibile disegnare degli scenari – spiega suor Myrna Farah, religiosa libanese delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret –. Il 30 luglio Israele ha bombardato la roccaforte di Hezbollah a Beirut, il quartiere Dàaheh, e non sappiamo con certezza se Fouad Shukr, il numero due dell’organizzazione guidata da Hassan Nasrallah, sia morto o meno. Mentre ieri notte, con una precisione chirurgica, un missile ha ucciso a Teheran Ismail Haniyeh, leader di Hamas. È evidente che fatti del genere possono far degenerare la situazione in un attimo e far scoppiare quella guerra regionale paventata da tanti. Aggiungo che il bombardamento di Hezbollah in un’area abitata da musulmani, ancorché drusi, è veramente poco credibile: o hanno sbagliato di brutto oppure quel razzo era stato intercettato dalla contraerea di Israele”.
Paese tribolato. A cinque anni dallo scoppio di una crisi finanziaria senza precedenti e dalle rivolte popolari contro una classe politica ritenuta imbelle e corrotta, il Paese dei Cedri si trova letteralmente nel caos, senza un governo e con lo spettro di un nuovo conflitto armato con Israele. Le poche speranze che avevano accompagnato le elezioni del maggio 2022 sono andate presto in frantumi. Hezbollah ha perso la maggioranza parlamentare ma è riuscito, comunque, ad eleggere il presidente del parlamento, l’inossidabile Nabih Berri. Nessun accordo è stato trovato, invece, sul nome del Presidente della Repubblica (che per legge deve cadere su un maronita) ed è così che il primo ministro sunnita Najīb Mīqātī, in carica per gestire i soli affari ordinari, ne ha assunto le funzioni ad interim. “Il Libano è in una situazione gravissima – prosegue suor Myrna –. Il Parlamento non si riunisce in pratica da due anni, nonostante i gravissimi problemi economici non è stata fatta nessuna legge, se non per aumentare le tasse”. “C’è un enorme vuoto politico e in questo vuoto Hezbollah si sente libero di fare quello che vuole – aggiunge –. Nel Parlamento non c’è una maggioranza assoluta, si sta cercando un consenso attorno a qualche nome per la Presidenza della Repubblica ma non si arriva a trovare una quadra. Per molti questa situazione è solo una mascherata per lasciare il Paese in questo stato”.
Povertà, inflazione… Il caos istituzionale e politico pesa, in primis, sulla popolazione. L’80% dei libanesi vive in uno stato di povertà e in una situazione di grande incertezza rispetto all’alimentazione, l’accesso all’acqua potabile e le cure mediche. La svalutazione della lira libanese rispetto al dollaro si è assestata, alla fine del 2023, a 89.500 lire per un dollaro, dopo aver raggiunto un picco di 140.000 lire per un dollaro nel maggio precedente; mentre l’inflazione, nello stesso 2023, aveva raggiunto la cifra record del 225 per cento.
Resilienza, dolore. “Il popolo libanese ha un grande spirito di resilienza – racconta suor Myrna –, ma quando il dolore è troppo grande non si parla più, e il silenzio diventa l’unica forma di linguaggio. La popolazione è talmente presa dai bisogni primari, dal mangiare, dal bere, dal reperire le medicine, la benzina, che non ha più le forze né il tempo di pensare ad altro che a sopravvivere. E contro chi dovrebbero poi protestare, verso quale istituzione? Il Libano adesso non è un Paese né gli somiglia. Quando parliamo di un Paese parliamo di una struttura istituzionale, di politica, di accordi, di leggi, tutto questo non esiste più”.
Hezbollah e l’Iran. Come se tutto ciò non bastasse, il “Paese” vive oramai nell’angoscia di una nuova guerra con Israele. Dopo il 7 ottobre 2023 Hezbollah ha lanciato molti missili contro il suo vicino per manifestare la propria solidarietà ad Hamas, ricevendo in cambio oltre 1200 attacchi ai propri confini meridionali, attacchi che hanno già provocato centinaia di morti e feriti e causato la devastazione in una fascia di territorio larga almeno cinque chilometri, in quella che oltretutto è la zona più fertile del Libano. Testimonianze parlano di bombe al fosforo, di interi palazzi bombardati per colpire questo o quel capo politico, in pratica una guerra de facto, anche se non dichiarata, che sta mettendo in ginocchio la popolazione del Sud. Almeno 95mila i profughi causati da questi mesi di tensioni. “In Libano ci sono due orientamenti – chiarisce la religiosa –: quello di Hezbollah, che vorrebbe fare la guerra con Israele per liberare le terre occupate, e i partiti liberali che non vogliono prendere impegni in questo Medio Oriente che sembra un vulcano pronto ad esplodere. La strategia di entrambi sembra adesso quella di giocare sul tempo. Tutti e due misurano le minacce e le conseguenze di una guerra, che sicuramente sarebbe una guerra regionale. Hezbollah non è Hamas che è radicata solo a Gaza, Hezbollah è molto più organizzato e forte, conta su oltre 100mila miliziani, più dei soldati dell’esercito libanese, in pratica uno Stato nello Stato. E l’Iran ha già detto che se ci sarà una guerra in Libano questa guerra sarà una guerra regionale”.
Sentimenti di rabbia. “Non si deve fare l’errore di dare troppa importanza alle differenze che dividono sciiti e sunniti – ammonisce la suora –. Aldilà delle posizioni ufficiali, c’è un sentimento di rabbia e di ingiustizia che cresce nel mondo arabo. Le popolazioni vedono che il mondo occidentale è silenzioso davanti a questa tragedia che sta sterminando un popolo intero, e allora cosa succederà non lo si può immaginare, anche perché al fondo del conflitto non ci sono motivi economici o il desiderio di conquistare un pezzo di terra, ma solo l’odio e la volontà di cancellare la presenza dell’altro”.
(*) Popoli e Missione
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