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“NATIVE LANGUAGE”, GIOVEDÌ 1° AGOSTO AL #ITTATEVEAMARE JAZZ FESTIVAL 2024 IL CONCERTO DI PRESENTAZIONE DEL NUOVO ALBUM DEL CHITARRISTA JAZZ PIETRO CONDORELLI

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Giovedì 1° agosto 2024 al lido Varca d’Oro, in via Orsa Maggiore, Riviera Flegrea
Domitia, Marina di Varcaturo, nel corso dell’#Ittateveamare Jazz Festival 2024 il
chitarrista jazz Pietro Condorelli presenterà al pubblico il suo nuovo album,
“NATIVE LANGUAGE”. Durante il live eseguirà i brani dell’album con il “Pietro
Condorelli Native Language Trio”, che vede Emiliano De Luca al contrabbasso e
Raffaele Natale alla batteria. L’album è già disponibile sulle principali piattaforme
digitali (Apple Music, Spotify, Amazon Music) e su Youtube.

Il festival

Nato da un’idea di Salvatore Trinchillo, lo #Ittateveamare Jazz Festival è il primo
festival jazz piedi nella sabbia. La rassegna vede alla direzione artistica Michele
Solipano del Napoli Jazz Club, noto per la sua grande competenza in materia di jazz
autentico. Non a caso nella programmazione c’è anche il concerto di Dado Moroni
con Eddie Gomez. Quello del Pietro Condorelli Native Language Trio è
l’appuntamento conclusivo del festival.

I brani dell’album

L'album Native Language comprende 8 versioni rivisitate di storici standard jazz ("I
love you" di Cole Porter, "A flower is a lovesome thing" di Billy Strayhorn, "All of
me" di Gerald Marks e Seymour Simons, "Pannonica” di Thelonious Monk,
"Strollin'" di Horace Silver, "Rhapsodic" di Claude Bolling, "Giraffe" di Don Garcia e

"I can't get started" di Vernon Duke) e un brano originale che dà il nome al disco,
"Native Language", composto da Pietro Condorelli.

Il tema del capolavoro di Cole Porter, “I love you”, viene proposto con una serie di
obbligati e arricchito da un solo di chitarra nel quale troviamo tutti i segni distintivi
del fraseggio di Condorelli: la ricerca del senso melodico, la varietà del ritmo,
l’approccio pianistico allo strumento, il sapiente dosaggio delle dissonanze. Sin dal
primo brano si nota l’arte del trio. La base ritmica di Raffaele Natale e Antonio
Napolitano è materia viva, pulsante e sensibile alle sollecitazioni del solista.

Il secondo brano è anche una scelta “politica”, oltre che artistica. Un omaggio a uno
dei più grandi compositori della storia del jazz, Billy Strayhorn e al valore sociale del
jazz, un genere che ha rappresentato per anni l’unica voce di chi (afroamericani,
omosessuali, donne) negli Stati Uniti non aveva voce. “A flower is a lovesome
thing”, struggente ballata proposta in una versione articolata sul piano ritmico, sia
nel tema che nel solo.

Il terzo brano è un altro grande classico, “All of me”. Una rivisitazione decisamente
ben concepita, in cui utilizzando le chiavi di un gergo jazzistico moderno Condorelli
riesce ad aprire, a destrutturare e a riproporre in modo originale, pur senza
stravolgerla, l’anima della composizione di Gerald Marks e Seymour Simons.

La title track, “Native Language” è l’unica composizione originale dell’album. Anche
qui la melodia si rifà al jazz delle origini, con una parte romantica che lascia il posto
a un bridge allegro e ironico. È forse in questo brano che si nota maggiormente la
complicità tra Condorelli e il batterista Raffaele Natale, che lo segue con maestria
nel vertiginoso sviluppo del solo. Ed è anche quello in cui il contrabbassista Antonio
Napolitano mette sul tavolo le sue risorse tecniche, in particolare nell’articolazione
ritmica del suo spazio solistico.

Decisamente interessante l’interpretazione di “Pannonica” di Thelonious Monk. Il
chitarrista appare decisamente ispirato e si/ci concede un viaggio quasi

psichedelico, in cui riesce a dare prova di una impareggiata capacità di rompere
qualsiasi schema espressivo e di abbandonarsi alla pura trance creativa. Una libertà
solidamente supportata dalla base ritmica di Antonio Napolitano e Raffaele Natale.

In “Strollin’” di Horace Silver, il chitarrista torna nel perimetro del linguaggio
jazzistico più “edibile” e dà prova delle sue capacità comunicative, ricorrendo
all’accezione più piena dell’espressione “native language” nella costruzione del solo
e nel comping.

"Rhapsodic" è l’omaggio al grande compositore e pianista jazz francese Claude
Bolling. Un musicista il cui background culturale è molto in linea con la musicalità di
Condorelli, per la comune formazione classica e per l’amore verso lo stile espressivo
dello swing “popolare”. Un’affinità che si nota anche nell’interpretazione del brano
da parte del chitarrista casertano.

In "Giraffe" di Don Garcia troviamo alcuni degli esempi più caratteristici del registro
linguistico/espressivo di Condorelli, sempre un passo avanti (o di lato) rispetto alle
aspettative dell’ascoltatore. Imprevedibilità che, però, nulla toglie alla innata
capacità del musicista di coinvolgere anche l’ascoltatore più tradizionalista. È
proprio qui che si fa evidente, ancor più che negli altri brani, l’armonia del trio e la
bravura di Natale e Napolitano, che come un solo strumento tracciano le coordinate
dell’audace improvvisazione del band leader.

L’ultimo brano, “I can’t get started”, è invece eseguito dal solo Condorelli in stile
pianistico, genere reso popolare da Joe Pass nel 1973 con il suo album “Virtuoso”.
Una sorta di vocazione e allo stesso tempo un marchio di fabbrica, per Condorelli,
tra i pochissimi chitarristi (se non l’unico) in Italia a distinguersi per l’abilità di
suonare la chitarra eseguendo contemporaneamente la parte melodica, quella
armonica e quella ritmica.

Il linguaggio e la tecnica di Condorelli

Uno stile unico, inconfondibile, quello di Condorelli. Il suo è un linguaggio musicale
che suona nuovo e familiare allo stesso tempo, che affonda le radici nella tradizione
jazzistica sedimentatasi nel secolo scorso ma che è proiettato al futuro, in un lavoro
costante fatto di studio, ricerca e sperimentazione. Una “lingua madre” che lui ha
imparato a riconoscere sin da bambino, che ha amato per tutta la vita e che oggi
padroneggia con disinvoltura e maestria.
Il suo approccio pianistico alla chitarra, suonata contemporaneamente come
strumento armonico, melodico e ritmico, fa di lui l’unico vero rappresentante in
Italia della scuola chitarristica che ha visto in Barney Kessel e Joe Pass i suoi più
illustri punti di riferimento. Ma proprio questo modo di esprimere la propria
musicalità ha spinto Condorelli a trarre insegnamento e ispirazione da altri
strumentisti, da Thelonious Monk a Bill Evans, da Barry Harris a John Coltrane.
A ciò si aggiunge il contributo personale di un vero e proprio cultore e teorico del
linguaggio jazzistico, esploratore delle infinite possibilità di evoluzione di esso e
autore di numerose pubblicazioni in ambito didattico. La sua padronanza dello
strumento è evidente nella tecnica perfetta, nelle improvvisazioni intricate e nel
fraseggio emotivo. Un virtuoso nel senso più ampio possibile che però riesce a
esprimere la sua idea della musica con sensibilità e raro lirismo.

La carriera artistica e accademica

Con un percorso musicale che lo ha portato dalla natia Italia a diversi palcoscenici
internazionali, Condorelli si è affermato come figura di spicco della scena jazz
contemporanea. Nel corso dei suoi 40 anni di carriera ha collaborato nella didattica
con giganti del jazz come Joe Diorio, Mike Stern, Jim Hall e Mick Goodrick, ha
insegnato 15 anni a Siena Jazz e dal 2000 è docente di Chitarra Jazz al Conservatorio
San Pietro a Majella di Napoli. Ha suonato con musicisti di fama internazionale
come Lee Konitz, Jerry Bergonzi, George Cables, Jimmy Owens, Charles Tolliver,
Dick Oatts, Jim Snidero e ha fatto parte, negli anni ’90, della mitica band rock
progressive "Area".

Condorelli: “Trasmetto il mio amore per il mainstream jazz”

“La pubblicazione di Native Language – spiega lo stesso musicista – risponde
all’esigenza di tornare a trasmettere ad un vasto pubblico di appassionati di Jazz le
mie scelte musicali e la mia attuale predilezione per il mainstream jazz. Il profilo
ritmico armonico è pertanto molto presente in questo lavoro. Anziché proporre
solo musica originale, ho preferito suonare brani molto conosciuti tra gli standard
jazz ed alcuni jazz originals. Con Antonio Napolitano al contrabbasso e Raffaele
Natale alla batteria suoniamo con grande interplay e senso dello swing, all’insegna
dell’estemporaneità e della freschezza espressiva”.

Piracci: “Un lavoro profondo, ma anche teso e spericolato”

"Pietro Condorelli – scrive di lui il chitarrista e docente Giacinto Piracci nella nota di
copertina di "Native Language" – non è un semplice stilista molto preparato nel suo
campo. La profondità della sua ricerca nel linguaggio jazzistico si scorge nei piccoli e
preziosi dettagli in cui risiede gran parte del pregio di questa forma d'arte: la scelta
delle legature, l'enunciazione, gli accenti, la fluidità del periodo e il "drive" sempre
in avanti, teso e spericolato, che ricorda la guida temeraria di Dean Moriarty che
Kerouac descrive in On the road".

Clemente: “La lingua naturale del jazz”

“Native Language di Pietro Condorelli – scrive Ugo Clemente, direttore editoriale del
quotidiano Cronache – è un lavoro coraggioso. Nell’epoca delle contaminazioni e del
postmodernismo musicale, dell’autoreferenzialità più estrema che spesso si rivela
una mera riproposizione di cose già dette, il virtuoso chitarrista mostra come sia
possibile esprimere idee nuove e attuali utilizzando il linguaggio naturale del jazz.
Quello che nell’arco di un secolo si è trasformato ma anche strutturato sul piano
grammaticale e lessicale”.

La copertina: l’opera “Labyrinth” di Salvatore Ravo

Salvatore Ravo è nato a Casalnuovo di Napoli nel 1959. Ha esordito come pittore e
disegnatore tessile giovanissimo, realizzando una prima mostra a Napoli all’età di
diciassette anni e maturando esperienze lavorative sui disegni ecclesiastici del
Settecento. Dalla fine degli anni Settanta ha vissuto ed esposto in diversi Paesi del
mondo: Spagna, Inghilterra, Belgio, Scozia, Cuba, Polonia, Portogallo. Ha
collaborato con diverse rassegne jazz: con il Time in jazz di Berchidda, Sardegna,
insieme a Paolo Fresu, artista per il quale ha firmato anche alcune copertine di
album; per dieci anni consecutivi, con il Pomigliano Jazz Festival, ha partecipato a
concerti live di jazzisti con la realizzazione di opere in progress. Ha curato mostre
internazionali e tenuto seminari sul colore in diverse scuole d’Italia, Inghilterra,
Cuba e Spagna. Ha realizzato il manifesto di Umbria Jazz Winter 21 a Orvieto.

La produzione

Le registrazioni e il missaggio sono opera di Gustavo Sciano, che ha lavorato al
Vessel Recording Studio di San Nicola la Strada. La sola "I can't get started" è stata
registrata da Benny Salomone al Piana Lab. Le grafiche sono di Nicola Di Caprio,
mentre l'immagine di copertina è l'opera "Labirinto" dell'artista Salvatore Ravo.

Materiale fotografico e video:

Link all’album “Native Language” su Youtube:

WjyAl0loKRKwO8NhY9JP68TTRevf4

Link al video del brano “I can’t get started” (Vernon Duke) eseguito da Pietro
Condorelli;

Link al video del brano “Upi’s Waltz” (Pietro Condorelli) eseguito dal Pietro
Condorelli Native Language Trio:

In allegato foto del Pietro Condorelli Native Language Trio: il contrabbassista Emiliano
De Luca, il chitarrista Pietro Condorelli e il batterista Raffaele Natale.

Piattaforme di distribuzione online:
Spotify:

Amazon Music:

Apple Music:
https://music.apple.com/it/artist/pietro-condorelli/263387572

L’articolo “NATIVE LANGUAGE”, GIOVEDÌ 1° AGOSTO AL #ITTATEVEAMARE JAZZ FESTIVAL 2024 IL CONCERTO DI PRESENTAZIONE DEL NUOVO ALBUM DEL CHITARRISTA JAZZ PIETRO CONDORELLI proviene da BelvedereNews.

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