‘Al microscopio’ una parola al giorno, oggi analizziamo insieme il vocabolo: ‘Elzeviro’
Elzeviro (el-ze-vì-ro).
SIGNIFICATO: Carattere tipografico adottato dagli stampatori olandesi Elzevir nel Seicento; articolo a carattere culturale, tradizionalmente posto in apertura della terza pagina dei quotidiani
ETIMOLOGIA: dal nome della famiglia di tipografi olandese Elzevir.
- «Ho letto un bell’elzeviro sulla kermesse, te lo giro».
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
È una di quelle parole che odora di aristocrazia culturale, di raffinatezze dotte da quotidiano d’altri tempi.
L’impressione generale resta nell’elzeviro quale nome di rubrica, e per indicare articoli giusto di argomento culturale — artistici, letterari, storici, ma anche recensioni e riflessioni erudite delle più variegate — anche se non è più esattamente ciò che è stato per gran parte del Novecento.
Ad ogni modo, per capire meglio questa parola fine e bizzarra dobbiamo cominciare (come ci sia aspetta senz’altro) riprendendo il filo delle sorti di una dinastia olandese di tipografi e di editori, gli Elzevir o Elzevier.
Non è uno di quei casi in cui singoli di spicco hanno fatto tutta la fortuna di una famiglia; piuttosto, per generazioni gli Elzevir, fra Cinquecento e Settecento, aggiustarono, radicarono ed estesero le fortune della loro attività tipografica ed editoriale a partire dalla città di Leiden.
Spiccano però, nella prima metà del Seicento, le trovate e le scelte di Bonaventura e Abraham Elzevir, fra cui delle squisite edizioni in dodicesimo di grandi classici antichi (un vecchio formato di dimensioni abbastanza contenute), una serie in ventiquattresimo (diciamo tascabile) riguardo alle ‘piccole repubbliche’, guide turistiche ante litteram. Peraltro furono gli Elzevir, ma chiamiamoli pure Elzeviri, a pubblicare l’ultimo libro di Galileo, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze: privilegio di chi può giudicare l’Inquisizione Romana un babau.
Fra le altre cose, ebbero l’idea proprio in quegli anni di rimettere mano ai caratteri tipografici per le stampe, e in particolare misero a punto un carattere elegante e molto leggibile che riprendeva un po’ lo stile dei vecchi caratteri tipografici italiani. La mano che creò questo tipo fu quella dell’incisore Christoffel van Dyck, e fu chiamato — mumble mumble, come chiamarlo? — elzevir, in italiano elzevìro.
Le fortune della dinastia si estinsero nella seconda decade del Settecento, anche se il loro nome è stato ripreso, nel mondo dell’editoria. Quelle del carattere tipografico sono continuate.
In particolare in Italia, fra fine Ottocento e inizio Novecento, entrò in voga per i libri di poesia (se in casa avete qualche libro di poesia dell’epoca, è probabile che abbia questo carattere tipografico), e gradualmente accompagnò e informò l’usanza di dedicare, sui quotidiani, una pagina a un intervento corposo di argomento culturale (che col tempo si sarebbe attestata come terza pagina del giornale).
Infatti le caratteristiche dell’elzeviro tipografico, quali eleganza, leggerezza, leggibilità e via dicendo, si adattavano particolarmente bene a questi spazi dotti, enciclopedici, folti di parole e che presumevano molto di sé — e col Corriere della Sera come apripista l’associazione si approfondì.
L’elzeviro, per metonimia (o sineddoche?) passò da indicare il carattere a ciò che con quel carattere era di solito scritto, quindi divenne quel genere di articolo — breve saggio, recensione, riflessione, approfondimento letterario, artistico e via e via — che apriva la terza pagina dei quotidiani.
E anche se l’uso monolitico della terza pagina culturale scritta in elezeviro con l’elzeviro è tramontata, resta il vestigio di un nome dal grande pedigree capace di indicare rubriche e articoli che vertono in maniera erudita su questi campi.
Così posso parlare dell’elzeviro che l’amico mi manda per messaggio, di un elzeviro particolarmente circostanziato che recensisce un libro atteso, di un articolo di commento del consigliere comunale riguardo a una vicenda locale che ha il tono e il respiro dell’elzeviro.
Una parola aulica eppure di massa quanto lo sono stati i quotidiani, che schiude usi fini, interessanti e calzanti — ed è sempre bello conservare in un nome vecchie fortune. (Specie se si ha la fortuna di averlo udito e appreso correttamente come ‘elzevìro’, e non come ‘elzèviro’ come chi scrive, che ogni singola volta, senza apparente possibilità di evitare la recidiva, deve correggerlo mentalmente.)