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Usa. Democrazia e violenza

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Ci interessano molto le questioni internazionali per le loro ricadute e i loro condizionamenti sulla nostra nazione e, alla fine, anche sulla nostra vita quotidiana. Dopo la Francia, che continua a suscitare preoccupazioni per la sua “divisione in tre” con un futuro incerto a livello politico-istituzionale, mentre si prepara ad accogliere le Olimpiadi (e un po’ anche la Gran Bretagna, con la sua decisa giravolta politica, tutta da scoprire), ora è l’America a preoccuparci ancor più di quanto facesse già nei mesi precedenti. L’America, anzi gli “Stati Uniti d’America”, che tanto “uniti” non sono quanto piuttosto profondamente divisi in se stessi. L’ombra esile e nitida del proiettile che ha fortunatamente ferito solo di striscio Donald Trump venerdì 13 luglio a Butler (Pennsilvanya) si prolunga ormai su tutti i prossimi quattro mesi della campagna elettorale, che già ci teneva col fiato sospeso per via dell’incertezza sulla candidatura di Biden, oltre che per le spacconate del tycoon sfidante. Al di là delle evidenti e ben evidenziate falle nella sicurezza, l’attentato, purtroppo, riecheggia altri eventi del genere oltre che una eccessiva disinvoltura di tutti i cittadini americani nel prediligere le armi e di quelli più esaltati o squilibrati nell’usarle materialmente e tragicamente in molte circostanze, con le ricorrenti stragi che conosciamo. Il pugno chiuso puntato di un Trump appena ferito, orgogliosamente rialzatosi, e il suo grido di lotta indicano chiaramente il clima in cui vive la nazione, che dovrebbe (o vorrebbe) essere maestra di democrazia nel mondo. Un Paese grande, potente, e allo stesso tempo fragile, che ora avrebbe bisogno di un personaggio pacificatore più che di un lottatore, come si presenta Donald e come si è atteggiato nell’ultima fase lo stesso inquilino attuale della Casa Bianca: la demonizzazione dell’avversario produce i suoi frutti amari che, se non possono essere identificati direttamente con gli spari di un giovane squilibrato, avvelenano i pozzi del dialogo e della sana competizione democratica per lasciare il posto ad un’estremizzazione che ha già visto altre simili avventure, non solo negli States. E c’è poco da consolarsi guardando dall’atra parte, dove l’apparente tranquillità delle nazioni tenute in pugno dalle dittature o dagli autocrati lascia trasparire fin troppo la violenza che le percorre dappertutto, come un fiume carsico ma ben noto. Diventa ridicola perciò l’osservazione di un ministro degli esteri, quello russo, che commisera la nazione americana perché lacerata dalla violenza politica contro gli oppositori, quando a Mosca gli oppositori politici vengono semplicemente e tempestivamente eliminati fisicamente! E’ il mistero del male, che permea la storia dell’umanità, la quale fatica a liberarsene o almeno a difendersene, quando addirittura non vi soccombe, come avviene in tutte le guerre di ogni tempo e in tutti i delitti di ogni giorno. La politica dovrebbe essere l’arte della convivenza pacifica, dei compromessi ragionevoli per il bene di tutti, non agone o palestra di sfide all’arma bianca. In questa vera politica ci auguriamo possa trasformarsi il confronto negli USA, come quello in atto in questi giorni nell’UE, che ha il suo acme nell’elezione del presidente della Commissione questo giovedì 18 luglio. Se la Francia si trova a tentare formule inedite sulla falsariga dell’Italia, pare che anche l’UE si orienti ad un’altra formula italica con una sorta di “convergenze parallele” in cui si dibatte la candidata Ursula von der Leyen nel dialogare con i Verdi da una parte e con i Conservatori di Meloni dall’altra, ma senza accordi formali per non scontentare i Popolari dall’una e i Socialisti dall’altra parte. L’importante sarebbe che il programma di governo fosse stilato e portato avanti considerando seriamente le esigenze di tutti per il bene dei popoli e della stessa UE.

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(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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