Minori stranieri non accompagnati: l’esperienza della Comunità San Luigi di Gorizia
“In questo momento i ragazzi ospitati sono un’ottantina e appartengono alle etnie bengalese, pakistana, kosovaro albanese e all’area magrebina, Egitto e Tunisia in particolare”, spiega don Vincenzo Salerno, direttore della Comunità San Luigi di Gorizia, appartenente all’Ispettoria salesiana del Triveneto, che accoglie minori stranieri non accompagnati. “I ragazzi arrivano in Italia in diversi modi, dopo viaggi che durano anche due o tre anni” aggiunge don Salerno, “transitando per gli Emirati arabi, Iran, Turchia, risalendo poi i Balcani fino alle nostre porte. Quindi, se sono intercettati dalle forze dell’ordine, veniamo contattati per ospitarli e sviluppiamo con loro, attraverso accordi educativi, dei progetti individualizzati: diventano soggetti della loro educazione”.
Ai ragazzi viene innanzitutto insegnato l’italiano, in attesa di essere inseriti nei percorsi dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti e dei Centri di formazione professionale. “Abbiamo realizzato anche dei percorsi interni”, spiega il salesiano “con 4 livelli progressivi per l’apprendimento della lingua, con due insegnanti dall’area pakistana e da quella araba in modo tale da poter fungere anche da mediatori”.
Numerose le esperienze realizzate oltre all’educazione di tipo scolastico, quali tirocini formativi per un contatto con il mondo del lavoro ma anche attività di tipo sportivo: “abbiamo una squadra di calcio e una squadra di cricket, con le quali facciamo trasferte, incontrando squadre di altre realtà. Non mancano poi le attività in collegamento con il locale Oratorio San Luigi, che permettono di sviluppare amicizie con gli adolescenti della nostra realtà”, racconta il sacerdote.
Fondamentale per i ragazzi anche un supporto psicologico, per curare le ‘ferite invisibili’ che portano con sé dal loro viaggio: “il supporto psicologico viene svolto in comune accordo e in rete con i servizi sociali e i servizi specialistici”, racconta don Salerno. “Spesso devono fare i conti con maltrattamenti, violenze, sono stati derubati, sfruttati dal punto di vista lavorativo, alle volte hanno incontrato vere e proprie forme di vessazione fisica, anche da parte delle forze dell’ordine dei paesi in transito”, aggiunge, “hanno vissuto l’accoglienza nei campi profughi e, soprattutto in Turchia, sperimentato il lavoro pesante per mantenersi e poter pagare il resto del viaggio. Partono infatti portando con sé il peso di un debito economico che la famiglia ha contratto con i passeur. Vengono pertanto ricattati, sia per documenti che per denaro. Sono cose che, evidentemente, si fa fatica ad elaborare, perché fanno parte di esperienze reali, legate ad aspetti emotivi. I danni fisici e psicologici sono segni che restano”.
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