Ecco i giuggioloni di Sandokan, il pentito-patacca che canta zero
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Ecco i giuggioloni di Sandokan, il pentito-patacca che canta zero
IL N. 1 DEI CASALESI – Odi alla “svolta” che non c’è. Hurrà. E però no “Successo dello Stato”, “segnale formidabile”. Ma il boss non dice nulla, la collaborazione con la giustizia è già finita
8 LUGLIO 2024
“Passo in avanti storico, forse definitivo”, disse l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. “Successo dello Stato”, per la senatrice Pd Valeria Valente. “Vittoria del 41 bis, il carcere duro funziona”, sostenne il sottosegretario FdI alla Giustizia Andrea Delmastro. Nell’entusiasmo che fu mal riposto c’è la misura delle aspettative deluse sul pentimento di Francesco ‘Sandokan’ Schiavone.
Quante chiacchiere gettate al vento, mentre purtroppo hanno avuto ragione quei pochi, tra cui Roberto Saviano, che sollevarono dubbi e interrogativi: cosa avrebbe avuto mai da dire di nuovo e interessante il vecchio boss del clan dei Casalesi, dopo essere stato rinchiuso 26 anni al 41 bis, e in precarie condizioni di salute? Forse vuole solo evitare l’ergastolo e vivere in maniera più dignitosa gli ultimi anni che gli restano?
Ma in quei giorni di fine marzo in molti si augurarono che Sandokan, come un juke box degli anni ’70, cantasse la canzone di proprio gradimento. Il gruppo M5s in commissione anticamorra auspicò rivelazioni su “tutti gli intrecci tra Camorra, politica, amministratori pubblici e imprenditori”, Legambiente, notizie nuove sui “tanti segreti, i protagonisti e le cause di tanto dolore, violenza e morte che hanno condannato la popolazione della ‘Terra dei Fuochi’ a vivere in un territorio martoriato da rifiuti illegali e da cemento criminale”. Gennaro Nuvoletta sperò che si potesse finalmente far piena luce sull’omicidio avvenuto nel 1982 del fratello Salvatore Nuvoletta, un carabiniere di appena 20 anni. Fu uno dei delitti più simbolici della violenza della cosca e i mandanti non sono stati mai individuati. “Vogliamo la verità, mia madre ne morì per il dolore”.
L’ex capo della Dna Franco Roberti professò ottimismo: “Se vuole Schiavone può ancora raccontare cose interessanti per la lotta contro la camorra. Anche se sta in carcere da ventisei anni. Certo, la grande criminalità è andata avanti, ma lui resta ancora un elemento importante”, questa la sintesi di un’intervista al Corriere della Sera.
L’europarlamentare di Forza Italia Fulvio Martusciello, coordinatore degli azzurri in Campania, era tra i più entusiasti: “Il pentimento di Francesco Schiavone è una bellissima notizia, frutto degli straordinari risultati della stagione antimafia che ha messo in ginocchio il clan dei casalesi”. L’ex pm anticamorra Catello Maresca, il magistrato che mise fine alla latitanza del boss Michele Zagaria, parlò di “segnale formidabile”, aggiungendo che “la mafia casalese, combattuta in maniera molto efficace a partire dagli inizi del 2000, non esiste più”. La responsabile legalità del Pd, Enza Rando, trovò nella collaborazione del boss “la conferma che lo Stato è più forte delle mafie” e “un fatto che dimostra la necessità di non indebolire gli strumenti di legge per la lotta alla mafia come la legge sui collaboratori di giustizia, che è un perno fondamentale per il contrasto delle organizzazioni criminali. Ci auguriamo che sia un pentimento vero, che aiuti i magistrati nel lavoro d’inchiesta contro la camorra”. Ahimé, non è andata così.
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Marisa Diana, la sorella di don Peppe Diana, il parroco ucciso dal clan nel 1994 per aver esortato i suoi fedeli a ribellarsi alla camorra, pronunciò le parole più toccanti: “È un pentimento tardivo ma è comunque importante, perché vuol dire che anche queste persone hanno una coscienza. Anche loro, come noi, hanno figli, fratelli e nipoti che vivono nelle nostre terre, e che pagano per i loro errori e per i danni fatti alle persone e al territorio”.
E torniamo a Cafiero De Raho, che sulla collaborazione di Schiavone aveva espresso molte speranze: “Ci sono tanti aspetti da approfondire, come la rete di relazioni che garantiva al clan di inserirsi negli appalti, soprattutto quelli che hanno riguardato la ricostruzione, anni tra il 1980 e fine anni Novanta, quando le mani del clan erano arrivate, per esempio, sulla realizzazione della terza corsia autostradale, sulle reti stradali veloci che collegano i vari comuni del napoletano, del casertano e del beneventano. Ma anche sull’Alta velocità e sulla realizzazione di tanti edifici pubblici”. Secondo il parlamentare 5Stelle Schiavone avrebbe potuto dare anche “indicazioni sulla ricchezza accumulata nel tempo dal clan e sulla la rete societaria all’estero”.
L’occasione poteva essere il processo sugli appalti Rfi attribuiti a ditte colluse con il clan dei Casalesi. Nel quale figura tra gli imputati Nicola Schiavone, amico di vecchia data di Francesco Schiavone e coetaneo 70enne, che del padrino ha battezzato l’omonimo primogenito, accusato – e sempre assolto – di essere stato uno dei prestanome di Sandokan.
In questi tre mesi i cronisti del casertano hanno presidiato le udienze del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella speranza di vedere finalmente depositato qualche verbale del pentito. Attesa vana.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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