Fucina fu-cì-na SIGNIFICATO Focolare da fabbro, forno fusorio, laboratorio da fabbro; luogo che crea o favorisce la formazione di personalità importanti, idee, opere ETIMOLOGIA dal latino officina. «Quella scuola è una fucina di talenti.»
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Fucina
fu-cì-na
SIGNIFICATO Focolare da fabbro, forno fusorio, laboratorio da fabbro; luogo che crea o favorisce la formazione di personalità importanti, idee, opere
ETIMOLOGIA dal latino officina.
- «Quella scuola è una fucina di talenti.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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Che immagine potente, quella della fucina! Luogo rovente in cui si forgia, non senza rischio, qualcosa di formidabile — chiave della prosperità di una comunità. È tanto divertente notare la differenza con la più semplice officina, a cui anche il nonno maneggione ha adibito una stanza, e che bazzichiamo quando l’automobile manda un rumore strano, o quando ci si è storta la ruota della bicicletta.
‘Fucina’ in effetti deriva dal latino officina — arcaicamente opificina, che così si nota essere peraltro sorella dell’opificio, che però ha iniziato ad essere un ambiente più altolocato, stabilimento industriale, o per lo svolgimento di arte raffinata. Potremmo aggiungerci che qui s’incontra anche l’ufficio, in quanto officium è contrazione di opificium, ma non impelaghiamoci. Si tratta comunque di laboratori — opus è il termine latino più comune per ‘lavoro’ — e però c’è laboratorio e laboratorio.
Che la fucina, fornace e luogo della fornace, non sia un posto come gli altri, è chiaro praticamente da sempre. Anche chi ci lavora ha uno status particolare — il fabbro è il prototipo del protagonista di una fiaba di antichità remota (certi studi la riportano all’Età del Bronzo) comunemente classificata come ‘Il fabbro e il diavolo’. In questa narrazione il fabbro riesce, grazie a poteri speciali, a mettere in scacco demoni di vario genere — ne esistono decine, centinaia di versioni, ma gira e rigira è anche la materia prima per il Faust.
L’officina ci dà l’idea di un locale attrezzato per trasformazioni e riparazioni, e certo è un genere di bottega in cui può risuonare qualche clangore — anche se le piante officinali non si trovano nell’officina meccanica, ma nel silenzio in quella farmaceutica.
Nella fucina invece le trasformazioni sono estreme e univoche: le braci rosseggiano e affocano l’aria, sprizzano baleni corruschi, le energie che agiscono rendono i materiali incandescenti — fusi, travasati, percossi, raffreddati — e i prodotti che escono da questo turbine di violenze elementali hanno proprietà eccezionali, addirittura preternaturali, rutilanti e resistenti come sono. Si capisce bene che succede qualcosa di grosso, qui, e che senz’altro si gioca sullo stesso piano di spiriti e demoni.
Ecco, presa in metafora la fucina ci rende la meraviglia di un luogo in cui si crea o raffina qualcosa di formidabile. È un qualcosa di materia sottile: idee, talenti, ingegni, professioni, opere alte (non solo roba positiva eh, anche maligna). Posso raccontare di come la collega sia una fucina di idee, di come quell’associazione sia stata una fucina d’intelletti di prim’ordine, di una piccola comunità che è una fucina di poeti o di opere d’arte, di un giornale che è una fucina di menzogne.
Anche se noi nelle fucine non mettiamo piede, di solito, continuiamo così a frequentarle idealmente — profondissimo il solco tracciato nell’immaginario. E nelle nostre narrazioni, più o meno fantasiose, continuano ad essere luoghi fondamentali.