Israele e Hamas. Romanelli (parroco) al Sir: “Nessuna certezza per il futuro. Vediamo e sentiamo solo armi”
“La situazione è sempre più difficile. Nel quartiere di Shejaiya, qui a Gaza city, vicino a noi, si registrano bombardamenti e incursioni. Ne sentiamo il fragore e le deflagrazioni producono tante schegge che mettono a repentaglio la vita della gente e che spesso cadono anche qui nei pressi della parrocchia. Per questo motivo da qualche giorno abbiamo sospeso le attività dell’oratorio estivo. Una iniziativa che avevamo pensato per donare un po’ di ore di svago ai bambini che sono rifugiati qui da noi in parrocchia e per dare un po’ di sollievo alle loro famiglie”.
Così padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia, l’unica parrocchia cattolica di Gaza, descrive al Sir la situazione nella Striscia dove continuano i combattimenti. Ieri l’esercito israeliano ha ordinato lo sgombero del settore orientale di Khan Yunis (Sud della Striscia) e già stamattina sono partiti i raid aerei. Secondo la coordinatrice delle Nazioni Unite per Gaza, Sigrid Kaag, che ieri ha parlato al Consiglio di Sicurezza, l’80% degli abitanti di Gaza, circa 1,9 milioni di persone, sono sfollati. In quasi nove mesi di guerra, stando ai dati forniti dal ministero della Sanità della Striscia di Gaza, gestito da Hamas, si contano circa 38 mila vittime e oltre 87mila feriti.
La vita in parrocchia. “Al momento qui in parrocchia ospitiamo circa 500 persone. Alcune di loro hanno il permesso per uscire da Gaza ma dopo la chiusura del valico di Rafah sono rimaste in parrocchia. Non si sa se e quando potranno uscire” spiega il parroco. La priorità è la sicurezza: “Fare le attività all’aperto, anche nel cortile interno del compound parrocchiale, è diventato troppo pericoloso. Come detto possono arrivare schegge di bombe e colpi in ogni momento. Evitiamo anche di cucinare all’esterno che è l’unica maniera di preparare un pasto caldo. Qui ormai cuciniamo solo con il fuoco, usando la legna. Non c’è altra possibilità.
Le persone trascorrono il tempo in chiesa o nelle loro stanze, al coperto, dove si sentono più riparati. Sono pochi quelli che escono dalla parrocchia, il rischio di morire o essere feriti è enorme.
Qui nella Striscia non c’è ospedale che non sia stato danneggiato seriamente. Essere curati è quasi impossibile”. Padre Romanelli ci tiene a ringraziare il Patriarcato latino che, sottolinea, “ci sta dando un grande aiuto grazie al quale riusciamo ancora a resistere e ad aiutare le persone più in difficoltà. Quello che ci arriva, acqua, cibo, medicinali lo distribuiamo non solo ai nostri cristiani che sono qui e nella parrocchia ortodossa, ma anche a tantissime altre famiglie musulmane nelle vicinanze”. Purtroppo, aggiunge, “gli aiuti arrivano ogni giorno di meno perché le frontiere sono controllate. Da circa due mesi non arrivano verdure e frutta, solo in rare occasioni. Abbiamo un po’ di riso, farina e lenticchie. Riusciamo a dare un pasto agli sfollati ma ci stanno mancando prodotti come il gasolio che per noi è vitale perché ci serve per far funzionare il pozzo che ci fornisce acqua e per le auto che usiamo in casi di estremo bisogno, come trasportare persone ferite o malate in ospedale”.
La videochiamata del Papa. A dare un po’ di serenità e ristoro alla parrocchia latina e ai suoi fedeli sfollati è è la telefonata di Papa Francesco.
“Il pontefice – dice padre Romanelli – non manca mai l’appuntamento con noi. Ogni sera alle 20, quando in Italia sono le 19, ci telefona e ci incoraggia, ci ascolta, prega per noi, chiede come stiamo”.
“Quando la connessione lo consente possiamo anche vederlo in videochiamata. In questo caso saluta i bambini e benedice i ragazzi. È davvero uno di noi! Insieme al Papa restiamo aggrappati alla preghiera.
Per il futuro non abbiamo certezze.
Le voci che sentiamo qui circa un accordo, un cessate il fuoco, una tregua sono contraddittorie. Speriamo – è l’auspicio del parroco – che ci sia presto uno scambio di prigionieri, di ostaggi e che si avvii un negoziato serio che dia dei risultati concreti e sollievo alla gente che soffre. Quello che vediamo e sentiamo sul terreno – conclude – sono le bombe e i combattimenti. Solo armi. Gli aiuti scarseggiano e in tante zone della Striscia la gente soffre la fame e la sete, non ha medicine. Per questo noi continuiamo a pregare per la pace”. È anche per questo che l’unica attività parrocchiale che non si è mai interrotta in questi mesi di guerra è la produzione di ostie per la messa quotidiana.
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