Bebè be-bè / Bambino appena nato o nato da pochi mesi / dal francese bébé, voce imitativa della lallazione degli infanti. «Ma che bei polmoni questo bebè, urla sempre così?»
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Bebè
be-bè
SIGNIFICATO Bambino appena nato o nato da pochi mesi
ETIMOLOGIA dal francese bébé, voce imitativa della lallazione degli infanti.
- «Ma che bei polmoni questo bebè, urla sempre così?»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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Gli infanti, lo dice la parola, non parlano. Strillano, piangono, ridono, ma ancor più spesso producono suoni dolcissimi, che fanno sciogliere come zucchero chi li ascolta. In pochi mesi il vagito di fa lallazione, quando dalle boccucce bavose e sdentate iniziano a uscire le prime catene di sillabe vere e proprie, a imitazione del linguaggio.
Uno dei suoni forse più facili da riprodurre per i neonati, oltre alla m di mamma, è b. Per gli abitanti del centro Italia, abituati alla parola ‘babbo’, il passo dalla lallazione al nome appare semplice, chi invece ha l’abitudine del francesismo ‘papà’ dovrà aspettare la lallazione della p, che può comunque arrivare molto presto (talvolta perfino prima di mamma, con grande scorno di chi i bebè li ha messi al mondo ‘partorendo con dolore’).
Bebè (spesso inteso al maschile, ma può anche essere un femminile) è dunque una parola che può facilmente uscire dalla bocca di un neonato — naturalmente senza l’intenzione di indicare sé stesso o sé stessa, perché in quei mesi cruciali il concetto di identità è in ardua costruzione. Se andiamo a guardare bene la sua origine, ci accorgiamo che si tratta semplicemente dell’imitazione di un’imitazione. La sua etimologia, infatti, risale al francese bébé, da cui è arrivata in altre lingue europee: baby in inglese e in tedesco (anche se alcune fonti rivendicano un’origine parallela e indipendente per l’inglese), bebé in spagnolo e in portoghese europeo e bebè in italiano. In francese, come dicevamo all’inizio, il termine è nato come voce imitativa della lallazione infantile, che è a sua volta imitazione del parlato degli adulti, in un uroboro linguistico che unisce le varie età dell’essere umano.
Ma c’è una riflessione in più da fare sulla parola bebè, che chiama in causa una porzione enorme della musica pop anglofona dagli anni ’50 ad oggi.
In diverse lingue in cui la parola originaria bébé è approdata, infatti, essa è diventata anche un diminutivo affettuoso utilizzabile per la persona amata. È difficile trovare una canzone d’amore di genere pop-rock in inglese che non contenga la parola ‘baby’. The Ronettes chiedono infatti a ripetizione:
Cioè, con qualche licenza: «E allora ti prego, sarai tu, il mio amore? (Sii il mio amore) / Vuoi essere tu il mio piccolo tesoro? (Il mio solo e unico tesoro).»
E che dire di Patrick Swayze che si produce in balli spettacolari su un tronco di legno al suono di una musica che fa:
«Ehi piccola (hu ha) / voglio sapere se sarai la mia ragazza.»
E sempre per restare in tema Dirty Dancing, perfino il soprannome della protagonista femminile (che nessuno può mettere in un angolo) è ‘Baby’, tanto per sottolineare il concetto.
Anche in Spagna e in Francia è possibile rivolgersi all’altra metà chiamandola affettuosamente mi bebé o mon bébé. Curioso come lo stesso esito non abbia avuto luogo in italiano. Nella nostra lingua, infatti, bebè resta un termine che si attaglia esclusivamente ai piccolini appena nati e fino ad un’età non ben precisata (secondo alcuni fino ai diciotto mesi). Per cui non sentiremo nessun aitante giovanotto rombare sulla moto in attesa che la sua bellissima ‘bebè’ scenda da casa per andare a guardare il tramonto in spiaggia. Semplicemente faremo entrare in casa la truppa di zie in sollucchero per il nuovo bebè della famiglia, ci informeremo sullo stato di salute di mamma e bebè dopo un lungo travaglio e ci godremo fino in fondo le meravigliose lallazioni del nostro paffuto bebè di sette mesi.