Migrazioni. Caritas Tunisia: “Così aiutiamo i tunisini e i migranti subsahariani, disposti a tutto pur di partire”
(da Palermo) – E’ un punto di vista diverso sulle migrazioni quello raccontato dalla Caritas e dalla Chiesa di Tunisia. Dall’altra parte del Mediterraneo c’è chi ascolta ogni giorno storie di povertà, sfruttamento, di migranti subsahariani che sono disposti a tutto pur di partire verso l’Europa, mettendo a rischio la loro vita affidandosi a persone senza scrupoli. “Una volta a Sfax ho incontrato tre ragazze che mi hanno chiesto di pregare in chiesa perché si erano appena salvate da un naufragio. Trenta persone che erano con loro nella barca sono annegate. Ne parlavano con distacco, come fosse un film. Invece di ripensarci avevano già previsto il prossimo viaggio. Preferiscono morire in mare piuttosto che tornare nel loro Paese a mani vuote”: è il racconto dell’arcivescovo emerito di Tunisi monsignor Ilario Antoniazzi, alla guida di una delegazione di Caritas Tunisia venuta in questi giorni in Sicilia ad incontrare le Caritas siciliane, nell’ambito di un gemellaggio che dura da anni. Un viaggio itinerante che li ha portati a Modica, Ragusa, Caltanissetta e infine a Palermo, per conoscere le buone prassi delle Chiese siciliane e collaborare. Mercoledì la delegazione si è fermata in raccoglimento a Scoglitti (provincia di Ragusa), nel luogo simbolico dove nel 2022 sono stati trovati i corpi di una dozzina di vittime di un naufragio.
“Incontriamo decine e centinaia di ragazzi che non sanno né leggere né scrivere ma sognano di giocare nelle squadre di calcio italiane”, prosegue monsignor Antoniazzi, che dal 2 luglio lascerà Tunisi e tornerà a Gerusalemme, dove ha vissuto per una cinquantina di anni. Al suo posto l’arcivescovo mons. Nicolas Lhernould, che conosce bene la situazione perché era già vicario generale. “Tante madri lasciano i figli a casa e una volta lasciato il loro Paese non li rivedono più perché si vergognano di tornare – prosegue -. Sono persone che partono con tante illusioni, ma sono condannate ad essere sfruttate”.
“Cosa possiamo fare insieme perché i migranti non siano usati da una parte e dall’altra”, è il grido accorato della direttrice di Caritas Tunisia, suor Spéciosa Mukagatare. Si è salvata dal genocidio in Rwanda solo perché in quel periodo era in Algeria con la sua Congregazione, le Suore missionarie di Nostra Signora d’Africa (chiamate anche Suore Bianche) ma ha perso tre fratelli e i nonni. “Le persone morte nel Mediterraneo è come se fossero gettate nelle fosse comuni, senza un nome, senza dignità. Tante donne vengono a chiederci se abbiamo visto il figlio, il padre, il marito”.
“Bambini utilizzati come passaporti”. “Ci sono casi in cui le donne vengono convinte (o violentate) dai trafficanti per rimanere incinte e utilizzare i bambini come passaporti, perché sanno che avranno più possibilità di essere accolte e tutelate. A volte alcune donne chiedono soldi per prestare i loro figli ad altre donne, che a loro volta fingono di essere le madri vere”, rivela la direttrice di Caritas Tunisia. Suor Spéciosa è da anni alla guida della piccola Caritas tunisina, che ha due centri di ascolto e accoglienza a Tunisi e Sfax, 9 operatori e una dozzina di volontari, tra cui molti musulmani. Supportano sia i tunisini sia i migranti subsahariani. In questo periodo arrivano soprattutto da Costa d’Avorio, Camerun, Sudan (a causa dell’inasprirsi del conflitto), Guinea Conakry e R.D. Congo. Oltre al sostegno ininterrotto di Caritas italiana, Caritas Tunisia riceve fondi da Caritas Belgio per aiutare i tunisini che scelgono il rimpatrio. Li sostengono con 2.500 euro come base per creare una attività in patria. “Ogni mese accogliamo cinque persone e li aiutiamo ad iniziare un percorso di reinserimento”, spiega.
Nei quartieri poveri della capitale e nelle campagne del sud della Tunisia si sono create situazioni pesanti di conflitti e violenza tra i migranti subsahariani illegali e la popolazione locale. Ci sono stati anche omicidi brutali che hanno scosso l’opinione pubblica. “Migliaia di persone si erano accampate negli oliveti privati, sporcavano e bruciavano. I tunisini hanno protestato e le forze dell’ordine hanno riportato i migranti da dove venivano”. Sono ancora vive nella memoria recente le foto dei subsahariani deportati e abbandonati nel deserto alla frontiera con la Libia, senza cibo né acqua. I migranti accettano poi lavori sottopagati in condizioni di sfruttamento nei cantieri edili intorno a Tunisi e Monastir.
“Tanti giovani vivono aspettando un barcone per l’Europa. I trafficanti prendono tutte le loro cose, anche i passaporti, e li lasciano senza nulla”.
Gli accordi Italia-Tunisia. “Quando è venuta in visita la presidente del Consiglio Meloni non sappiamo cosa si sono detti ma ne abbiamo visto subito gli effetti – commenta suor Spéciosa -. Il governo ha iniziato a demolire i campi dove vivono i migranti.
Gli accordi tra Italia e Tunisia stanno creando maggiori situazioni di sfruttamento”.
Non si sa molto di questi accordi ma voci di corridoio dicono che l’Italia sia disposta ad ampliare le quote del Decreto flussi destinate ai tunisini in cambio dell’impegno a bloccare le partenze e accettare i rimpatri. Intanto ieri il Consiglio di Stato italiano ha deciso di sospendere fino a nuova decisione il trasferimento di motovedette italiane. Alcune associazioni avevano presentato infatti ricorso al Tar del Lazio contestando il finanziamento di 4,8 milioni di euro per la rimessa in efficienza e il trasferimento alla Tunisia di 6 motovedette. Negli ultimi tempi il presidente tunisino Saied ha anche rispolverato una legge per cui chi accoglie in casa i migranti rischia fino a tre anni di carcere con multa. Così molti illegali vivono accampati in strada o nascosti in squallidi tuguri dei quartieri popolari. Perché anche se i tunisini “rischiano condanne penali c’è sempre qualcuno che sfrutta la situazione e li ospita di nascosto”.
Gli operatori di Caritas Tunisia lavorano nei quartieri popolari molto degradati, con tanta violenza familiare e povertà, e fanno visita ai migranti nelle carceri. Distribuiscono abiti e altri beni materiali, forniscono cure mediche. Organizzano laboratori di sartoria, di bricolage per le donne (sia tunisine sia migranti) e corsi di informazione informatica per permettere alle madri di mettersi in contatto con i figli in Europa. Offrono materiale scolastico ai bambini per incoraggiarli a tornare a scuola e formazione professionale ai giovani. “A Tunisi stanno aumentando molto le disuguaglianze tra ricchi e poveri. Incoraggiamo i giovani a non isolarsi e cerchiamo di fare uscire le donne e i bambini per incontrare persone di altri quartieri. In questo periodo ci preoccupa molto la situazione dei bambini lasciati in strada, che possono essere oggetto di traffico e sfruttamento”. Per suor Speciosa, visionaria attenta alle questioni ambientali (sogna di costruire un villaggio verde nel deserto), l’unica via d’uscita per risolvere la complessa questione migratoria “è investire nello sviluppo nei Paesi di origine, creando opportunità e posti di lavoro”.
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