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Pine Haven Boys Center: una famiglia quando la famiglia non c’è

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Nella dolcezza e tranquillità dei paesaggi verdi, dorati o innevati del New Hampshire, dove dal 1963 sorge il Pine Haven Boys Center, può sembrare che tutto sia avvolto da una quiete senza tempo. Invece, chi abita in questo Centro per minori, gestito dai padri Somaschi che qui operano da oltre 60 anni, vive ogni giorno inquietudini interiori e l’attesa che arrivi presto una famiglia adottiva. A descrivere l’attualità quotidiana di questo luogo è padre Remo Zanatta, direttore del Centro che da anni è ormai diventato la sua famiglia. I padri Somaschi, infatti, fedeli al loro fondatore, san Girolamo Emiliani, che fu dichiarato da Pio XI “patrono universale della gioventù abbandonata”, hanno per carisma quello di occuparsi di tutti i minori in difficoltà. Ma non solo: negli anni si sono impegnati nel sostenere donne vittime di violenza e i loro figli, persone senza fissa dimora, uomini con problemi di dipendenza da droghe, malati terminali, migranti, famiglie con problemi, anziani. Tutte persone che possono essere considerate “mezzi orfani” (usando l’espressione di papa Francesco durante l’udienza ai padri Somaschi del 30 marzo 2017) e per le quali i religiosi si impegnano in ogni parte del mondo, che siano nei ricchi Stati Uniti d’America come il New Hampshire, o nelle periferie più povere e isolate come il Vietnam o il Perù.

Donare la propria vita. Per i minori del Pine Haven Boys Center, padre Zanatta e i suoi confratelli diventano quella famiglia che questi ragazzi hanno dovuto lasciare, poiché il tribunale ha tolto la patria potestà ai genitori a causa di abusi o altre devianze. Il futuro di questi bambini, almeno di una parte dei presenti, non sarà con la mamma e il papà biologici, ma con una nuova famiglia che stanno aspettando di trovare. “Alla domenica e in tutte le altre festività – racconta padre Zanatta – chi vive al Pine Haven Boys Center non ha dove andare. Resta qui da noi. Eppure, nessun bambino dovrebbe trascorrere il giorno di Natale in un Centro per minori. Per il fatto che i ragazzi vivono con noi padri Somaschi, noi diventiamo padri, diventiamo madri, diventiamo fratello e sorella al nostro prossimo. Nel momento in cui identifichiamo l’orfano, assumiamo l’identità di padri. E non solo a livello educativo o sociologico, ma donandogli la vita”.

(Foto Popoli e Missione)

Più del lavoro. In tutti gli Stati Uniti d’America, questo è l’unico Centro per minori in cui l’educatore viene chiamato “padre”. All’inizio il Pine Haven Boys Center era una scuola professionale per ragazzi dai 12 ai 17 anni. Poi “negli anni – spiega padre Zanatta – si è visto che avevano la necessità di imparare un lavoro, sì, ma anche quella di essere sostenuti a livello psicologico, perché spesso si verificavano casi di abusi nelle famiglie d’origine”. Così alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, i padri Somaschi hanno dismesso la scuola professionale e si sono concentrati sul Centro terapeutico. Oggi qui vivono ragazzi che hanno subito diversi tipi di abusi in famiglia, e altri che a loro volta sono stati protagonisti di comportamenti non appropriati verso coetanei.

La storia di Matteo. “Nel New Hampshire lo Stato interviene velocemente – racconta il missionario – e se vede che in famiglia c’è un disagio, affida il minore al nostro Centro. A livello locale siamo molto conosciuti, ben voluti e rispettati. Siamo un Centro di servizi sociali convenzionati con il New Hampshire e il Vermont. Abbiamo 22 camere: purtroppo sono tutte occupate e c’è una lunga lista d’attesa”. Alcuni dei minori del Pine Haven Boys Center stanno aspettando di essere adottati, mentre per altri c’è il progetto di poter rientrare in famiglia (dopo che i genitori avranno ultimato il loro percorso di recupero) o di essere affidati a un familiare. Tra questi ultimi, c’era anche Matteo (nome di fantasia), rimasto per un periodo di tempo nel Centro e poi affidato a una parente, in quanto orfano di entrambi i genitori, morti di overdose. “Qualche tempo fa – racconta padre Zanatta – mi arriva un assegno in memoria di Matteo, ma non ne capisco il motivo. Poi ne ricevo un altro. Faccio qualche ricerca e vengo a scoprire che anche Matteo, purtroppo, è morto di overdose. Di lì a poco ricevo una bellissima lettera da parte della sua parente, in cui ci ringrazia per tutto quello che abbiamo fatto per Matteo che ‘nel Centro – si legge nella missiva – ha vissuto il periodo più bello della sua vita’”.

Insegnamento indelebile. Questa è solo una delle tante storie di triste attualità che potrebbero essere raccontate, ma lascia un insegnamento indelebile che racchiude in sé lo stile di azione dei padri Somaschi: “Dobbiamo fare tutto il possibile perché il tempo che ciascun ragazzo trascorre nel Centro sia sacro. Certamente, ognuno è responsabile delle proprie azioni e noi non possiamo salvare nessuno. Solo Dio guarda e vede nel cuore di ognuno. Ma non possiamo lasciare andare nessun momento: ciò ci permette di fare sempre uno sforzo in più, con la consapevolezza di essere uno strumento nelle mani del Salvatore. Ogni giorno nella nostra opera quotidiana”.

(*) redazione “Popoli e Missione”

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(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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