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'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)

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Attualità

Fratelli d’Italia – 6.333.531 voti – 28,91% Partito democratico – 5.268.466 voti – 24,05%% Movimento 5 Stelle – 2.162.053 voti – 9,87% Forza Italia – Noi Moderati – 2.124.968 voti – 9,70% Lega Salvini Premier – 2.011.102 voti – 9,18%% Verdi e Sinistra – 1.115.694 voti – 6,70% S – Eletti Eletti sicuramente. Roberto Vannacci, Ilaria Salis, Antonio Decaro, Cecilia Strada, Stefano Bonaccini, Lucia Annunziata, Pasquale Tridico.

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Urne vuote In Italia l’affluenza si è fermata al 49,5%, meno della metà degli aventi diritto è andata a votare. Percentuali disastrose al Mezzogiorno, a malapena intorno al 35%. Affluenza in Europa: 51%, leggermente superiore a quella di cinque anni fa.

Italia I risultati alle 05:57 di questa mattina.

Fratelli d’Italia – 6.333.531 voti – 28,91%

Partito democratico – 5.268.466 voti – 24,05%%

Movimento 5 Stelle – 2.162.053 voti – 9,87%

Forza Italia – Noi Moderati – 2.124.968 voti – 9,70%

Lega Salvini Premier – 2.011.102 voti – 9,18%%

Verdi e Sinistra – 1.115.694 voti – 6,70%

Stati Uniti d’Europa – 1.446.226 voti – 3,70%%

Azione – 722.103 voti – 3,29%

Pace Terra Dignità – 481.663 voti – 2,23%

Libertà – 270.076 voti – 1,18%

Sudtiroler Volkspartei – 119.070 voti – 0,63%

Alternativa popolare – 86.207 voti – 0,39%

Democrazia Sovrana e Popolare – 26.716 voti – 0,16%

Partito Animalista Italexit – Rassemblement Valdotain – 14.218 voti – 0,06 per cento

(Affluenza: 49.68 | Sez. scrutinate: Sez scrutinate: 58247 / 61650| Dati Min. Interno)

Eletti Eletti sicuramente. Roberto Vannacci, Ilaria Salis, Antonio Decaro, Cecilia Strada, Stefano Bonaccini, Lucia Annunziata, Pasquale Tridico.

Europa I popolari hanno vinto in Irlanda, Spagna, Germania, Lussemburgo, Austria, Croazia, Polonia, Finlandia, Estonia, Grecia, Bulgaria, Cipro. I conservatori in Italia e Malta. I sovranisti in Francia e Belgio. I socialisti in Portogallo, Svezia e Lituania. I liberali in Repubblica ceca e Slovacchia. I verdi in Olanda e Danimarca. In Romania e Ungheria hanno vinto partiti non affiliati a nessuna famiglia europea.
Seggi Dei 720 seggi del Parlamento europeo. Popolari, 184. Socialisti, 139. Liberali, 80. Conservatori 73. Identità e democrazia, 58. Verdi, 52. Sinistra, 36. Non affiliati, 98.
Seggi/2 Dei 76 seggi spettanti all’Italia. Fratelli d’Italia, 24. Partito democratico, 22. Lega, 8. Movimento Cinque Stelle, 8. Forza Italia, 7, Verdi, 3. Non affiliati, 3. Südtiroler Volkspartei, 1.
Seggi/3 Degli 81 seggi spettanti alla Francia, Marine Le Pen ne ha vinti 30, Macron soltanto 13.
Seggi/4 Dei 96 seggi spettanti alla Germania, la Cdu ne ha vinti 29, AfD 15, i socialdemocratici soltanto 14.
Toti Il governatore della Liguria Giovanni Toti, ancora ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulla tangentopoli ligure, ieri è andato a votare ad Ameglia, a poche centinaia di metri da casa, accompagnato dalla Guardia di Finanza. Il permesso di un’ora è stato accordato dalla gip Paola Faggioni, con il divieto assoluto di parlare con i presenti, se non per le normali operazioni di voto. Giacca scura, camicia a righe senza cravatta, pantaloni blu e mocassini, il governatore è apparso sorridente. Ha espletato le operazioni di voto ed è tornato nella sua casa.
Bossi «Umberto Bossi ha votato. Accompagnato dal figlio Renzo e dal suo storico assistente non ha proferito parola. Sui social è circolato il video del senatur al seggio di via Fabriano, Milano, a pochi passi dalla sede del Carroccio. Il partito che fondò lui stesso 40 anni fa. Camicia scura, sguardo sereno. Il solito Bossi, insomma, ma senza il fazzoletto verde. Senza il segno distintivo del leghista duro e puro. Quello del «prima il nord». Un particolare che non è sfuggito, e che molti hanno interpretato come segno tangibile dello strappo definitivo» [Michel Dessì, Giornale].
«Se avessi un amico che di punto in bianco cambia bandiera lo considererei un traditore. Questo è un punto di vista personale, dal punto di vista politico lascio esprimere il segretario del partito» (Roberto Vannacci)
Mattarella Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha votato nella sua Palermo, presso l’istituto Giovanni XXIII-Piazzi, in via Rutelli. Mattarella è stato accolto dagli applausi dei cittadini in coda. Ha scambiato qualche parola con gli scrutatori e ha stretto la mano al presidente di seggio.
Salis Ilaria Salis, l’unica candidata italiana a non poter votare.
Vannacci Il generale Vannacci, che ha seguito lo spoglio a casa sua a Viareggio. Una cena a base di carne alla brace e salsicce e costine grigliate sul barbecue assieme agli amici militari. «Sono camerati», dice Vannacci. Possiamo chiamarli colleghi? «No, no. Si chiamano camerati. La parola include un sentimento specifico. Abbiamo condiviso cose indimenticabili. Dal paracadutismo estremo, al combattimento sulle montagne innevate» [Elisa Sola, Sta].
Meloni Poco prima dell’una di notte, quando il risultato non è ancora ufficiale ma certo, Giorgia Meloni in canottiera rossa posta una foto da casa sua: grande sorriso, indice e medio della mano destra puntati in alto in segno di vittoria [Fabrizio Caccia, CdS].
Meloni/2 «Ci hanno visto arrivare, ma non sono stati in grado di fermarci» (Giorgia Meloni, alle due di notte, all’Hotel Parco dei Principi, ai Parioli).
Grillini I 5 Stelle, lontanissimi dal periodo d’oro, crollati attorno al 10%.
Fluidi Fabrizio Marrazzo, portavoce del Partito Gay per i diritti LGBT+, Solidale, Ambientalista, Liberale, i doppi registri maschi e femmine perché costituiscono una discriminazione.
Nonni Genoveffa Marinucci, nata il 26 novembre 1915, residente da oltre 60 anni a San Martino in Pensilis, provincia di Campobasso. Ha chiesto agli operatori della casa di riposo dove è ospite di essere accompagnata alle urne. Arrivata al seggio sfidando i 32 gradi di ieri. Accolta da un applauso.
Morti Nicolò Zamperin, 32 anni, impiegato nella concessionaria Ceccato Motors di Castelfranco Veneto, abitava con i genitori in località Fanzolo di Vedelago. Era da qualche giorno che non si sentiva bene e anche venerdì sera, alla riunione del seggio elettorale, era arrivato con la febbre. Non si è presentato al seggio in cui doveva essere presidente è stato percepito da tutti che c’era qualcosa che non andava. È poi arrivata la comunicazione ufficiale del cambio di presidente con un sostituto e, nel giro di poco tempo, la tragica notizia è arrivata anche agli scrutatori. L’uomo era morto nella notte nel sonno, probabilmente a causa di un aneurisma.
Paura «Dagli exit poll nei diversi Paesi dell’Unione sembra in effetti emergere l’avanzata della destra nelle sue diverse anime: cristiano-popolare, conservatrice e nazional-populista. Quando dominano paura e rabbia gli elettori si affidano politicamente a chi risulta rassicurante (i moderati) e a chi sembra farsi carico meglio di altre forze del proprio malessere (i populisti)» [Alessandro Campi, Mess].
Spagnoli Pedro Sánchez, capace di ottenere un risultato di poco inferiore rispetto a quello dei rivali diretti del Partito Popolare (primi con il 34 per cento dei voti). Per i socialisti, un risultato meno negativo di quanto si temesse. Vox ottiene due seggi in più, ma la forza d’urto della destra ultraconservatrice e populista spagnola non appare travolgente come in altri Paesi.
Belgi In Belgio assieme alle europee si votava anche per le politiche. I primi due partiti sono le destre fiamminghe di Nuova Alleanza Fiamminga e Vlaams Belang. È prassi che in Belgio il premier faccia un passo indietro dopo il voto, per facilitare la formazione di un nuovo esecutivo. Il premier Alexander De Croo ha annunciato in lacrime le sue dimissioni. Resterà in carica ad interim
Tedeschi «Olaf Scholz, annichilito sia dalla rinata della Cdu di Merz, che già gli chiede di sottoporsi a un voto di fiducia, sia dal probabile sorpasso di AfD e alle prese con alleati, anche loro perdenti, che potrebbero staccare la spina nei prossimi mesi» [Paolo Valentino, CdS].
Francesi In serata i parigini scendono in piazza, manifestazioni spontanee contro l’estrema destra alla Bastiglia e in piazza della Repubblica, molti invocano un nuovo «Fronte popolare», come nel 1936, per fermare l’avanzata dei nazionalisti. Ma anche loro gridano lo stesso slogan dei detestati sostenitori di Marine Le Pen e Bardella: «Macron démission!» [Stefano Mentefiori, CdS].
Giorgia «Macron ha già fatto la sua mossa, che Meloni non si aspettava. E Macron è – in tutti i sensi – l’antagonista da cui dipendono molte scelte della premier. Quando il capo dell’Eliseo ha annunciato che avrebbe sciolto l’Eliseo e portato subito la Francia al voto il 30 giugno, due giorni dopo il Consiglio europeo che avrebbe dovuto incoronare il nuovo presidente della Commissione europea, Meloni ha capito che ancora una volta in Europa dovrà lavorare sulla sottrazione e sulla cautela, contenendo i trionfalismi all’interno dei confini nazionali. Aspetterà, dicono i suoi strateghi. Difficile che il futuro presidente della Commissione – se sarà Ursula von der Leyen in cerca di un bis o un altro nome espressione dei popolari – possa arrivare prima delle elezioni francesi. Macron ha di fatto congelato tutto. Anche le contromosse di Meloni. Che comunque non avrà molto spazio, se non il margine che ha di diritto nel Consiglio europeo in quanto capo del governo dell’Italia» [Ilario Lombardo, Sta].
Ursula «In apparenza, nonostante la forte avanzata delle destre, quella populista conservatrice di Ecr e quella estrema di Identità e Democrazia, la cosiddetta «maggioranza Ursula» — fatta di popolari, socialisti e liberali — ha retto: le proiezioni le danno 398 voti, ben sopra la soglia magica di 361 che è la maggioranza assoluta nel nuovo Europarlamento. In realtà, una quota intorno al 10-15% di franchi tiratori viene considerata inevitabile e quindi i numeri non ci sarebbero. “Ha bisogno di un altro partito e potremmo essere noi”, ha detto ieri sera Bas Eickout, uno dei leader dei Verdi, che, sconfitti nelle urne e con quasi 20 deputati in meno, potrebbero entrare stabilmente in una nuova coalizione a sostegno di von der Leyen» [Paolo Valentino, CdS].
Veneziani «Segnalo la débâcle culturale dei governi di coalizione, la riduzione della sinistra a puro elemento di dettaglio, a movimento che non trova soluzioni, non pro- muove più leadership, non pro- nuncia parole nuove. Vede Macron? Vede Scholz? Catastrofe». Esiste – forte e progressiva – la virata a destra. «La destra
bofonchia di sovranismo, riduce l’Europa a ostacolo per le nazioni ma poi
quando va a Bruxelles, quando sale al governo rimette i panni della forza
atlantista, bene educata, filoamericana. Fa quello che fanno gli altri perché
sa che altrimenti verrebbe cacciata in quattro e quattr’otto dalle stanze del
potere». L’Italia si tiene stretta Giorgia Meloni. E cosa avrebbe dovuto fare? Chiaro che se la tiene, chi ha altrimenti da proporre?» (Massimo Cacciari).
Inglesi «Per una stupidaggine del mio ex primo ministro David Cameron, che per il capriccio di eliminare la destra interna ha indetto il referendum sulla Brexit pensando di vincerlo, io sono un extracomunitario. E invece vorrei essere a votare con voi!» (Donald Sassoon, storico britannico).
Scettico «L’Unione Europea non è uno Stato: è un tavolo negoziale, regolato da accordi firmati da un consesso di nazioni entro il quale ci sono nazioni “più uguali” di altre. Tradotto: quando prendono forma le famose politiche europee, a contare sono i rapporti di forza fra le cancellerie, i pesi delle singole potenze nazionali. La sovranità è stata trasferita a un ente mediano (l’Ue), per favorire le strategie geopolitiche degli Stati più influenti» [Alessio Mannino, MowMag].
Scettico/2 «Presentare la cadenza quinquennale per Strasburgo come l’equivalente di un normale scontro elettorale è, né più né meno, un’impostura. La divisione fra destra e sinistra incide molto relativamente sulle dinamiche interne all’Ue. Tutto è regolamentato perché siano i governi (più forti) ad avere l’ultima parola. Basti pensare al reale potere che ha l’europarlamento: quasi nullo. Non ha iniziativa legislativa, che è in mano alla Commissione. Può al massimo farle gentile richiesta di prendere in esame delle proposte. Ma a governare è il Consiglio Europeo che la nomina, e che nient’altro è che la sede in cui si riuniscono, arieccoli, i governi nazionali. È il Consiglio a condizionare il bilancio continentale, mentre i parlamentari possono discutere ed emendare, certo. Ma i giochi non si fanno sui loro banchi. Possono, questo sì, sfiduciare la Commissione. Ma è il massimo loro concesso (l’unica volta fu nel 1999, quando la corruzione travolse l’allora Commissione Santer). Le elezioni che si svolgeranno in tutti gli Stati membri, se fossero davvero europee, dovrebbero prevedere, poniamo, che un lepenista francese possa votare l’italiano Roberto Vannacci. O che io italiano possa votare un socialista spagnolo. E così via. Ma la verità è che il rito di legittimazione dell’ircocervo di Bruxelles – né Stato federale, né confederazione di Stati interamente sovrani – è di fatto un’infornata di poltrone per seconde e terze file della classe politica di ciascun Paese. In pratica, un’elezione nazionale in più, per sistemare con lauto stipendio personaggi incomodi, scartine, pensionandi, pedine da parcheggiare lontano da Roma. Di democratico, nella sostanza, non hanno nulla. Di oligarchico, autoreferenziale, castale, tutto» [Alessio Mannino, MowMag].
Yankee «E lo sguardo già corre alle elezioni americane di novembre» [Stefano Zurlo, Giornale].
Equilibri
di Francesco Verderami
Corriere della Sera
Giorgia Meloni ha superato il test elettorale in Italia con un successo che appare inequivocabile. Ma siccome gli esami non finiscono mai, la premier è ora attesa alla prova più difficile in Europa. Il voto di ieri ha mostrato la solidità dell’esecutivo di centrodestra e l’affermazione del partito di maggioranza relativa, che avanza rispetto alle Politiche del 2022. Un risultato che non era affatto scontato dopo due anni di governo. E il distacco maturato rispetto a Forza Italia e Lega, pone la leader di FdI nella condizione di poter dispiegare la sua azione di governo potendo vantare una golden share ancor più solida nella sua coalizione.
Non solo. La mossa fatta in campagna elettorale, quella cioè di scegliere la segretaria democratica come avversaria, ha pagato. Perché il risultato di Elly Schlein — che ha vinto nettamente il derby con Giuseppe Conte nel campo largo — rafforza il sistema politico. Prefigura, se non uno schema bipartitico, un modello bipolare che fa perno su due forze di riferimento e le mette al riparo da manovre centriste. Per certi versi sembra di essere tornati ai tempi del dualismo tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi. E che questo sia avvenuto in una competizione dove il proporzionale avrebbe potuto esasperare la frammentazione, è un dato molto indicativo. E confortante, per le due avversarie.
Ma c’è di più. Nel panorama dei più importanti paesi Ue Meloni è l’unico capo di governo ad aver vinto, fermando le forze populiste. La sua leadership si fa largo in Europa dove declina lo storico asse franco-tedesco, tra il tracollo di Emmanuel Macron in Francia e la crisi di Olaf Scholz in Germania. A cui si aggiungono le difficoltà di Pedro Sanchez in Spagna. Questo scenario dovrebbe essere un buon viatico per la premier sulla strada verso Bruxelles, dove potrebbe affermarsi con quel «ruolo di mediazione» del quale parlano i dirigenti del suo partito: il consolidamento elettorale in Italia potrebbe dunque rafforzare il suo posizionamento in Europa.
Ma per riuscirci Meloni è attesa alla prova più difficile. Schierarsi. I risultati negli Stati dell’Unione consegnano la vittoria al Ppe, e aritmeticamente garantirebbero alla storica alleanza con Pse e Liberali la maggioranza nel Parlamento europeo. Ma i numeri sono troppo risicati perché l’intesa regga. E non a caso ieri sera, dopo aver chiamato a raccolta socialisti e liberali, il popolare Manfred Weber ha detto: «Quanto a Meloni vedremo». Che è un modo per lasciare aperta all’intesa quella porta che gli altri partiti del vecchio asse avevano detto di voler tener chiusa.
Rispetto alle altre forze di destra, Meloni è l’unica leader alla guida di un Paese. Perciò avrà un ruolo e un peso sulla scelta del prossimo presidente della Commissione. Una cosa è certa: la premier italiana non potrà sottrarsi all’accordo sul nome di Ursula von der Leyen, non fosse altro perché il suo governo esprimerà un commissario europeo a Bruxelles. Altra cosa sarà la questione degli accordi per la futura maggioranza parlamentare a Strasburgo. E quello sarebbe un passaggio complicato, perché i suoi alleati a Roma hanno posizioni opposte: Matteo Salvini è contrario ad avere rapporti con i socialisti, mentre Antonio Tajani ha già fatto sapere che si comporterà in linea con le decisioni del Ppe.
La scelta di Meloni non sarà ininfluente. In primo luogo perché sarebbe paradossale e foriero di problemi interni, se i tre partiti dello stesso governo si dividessero in due o tre posizioni differenti. In secondo luogo perché il rapporto con le istituzioni europee sarà determinante per l’esecutivo italiano, chiamato ad affrontare il difficile tornante economico del prossimo autunno. C’è da garantirsi un appoggio sulla legge di Stabilità con le nuove regole comunitarie. E c’è da proseguire l’iter dei fondi del Pnrr, che rappresentano la fonte primaria delle disponibilità italiane.
E allora, una cosa è poter contare su un sostegno a Bruxelles, come ha garantito nell’ultimo anno von der Leyen. Altra cosa sarebbe dover fronteggiare l’ostilità di quanti — specie a sinistra — potrebbero rivelarsi intransigenti con Roma. Per tutta la campagna elettorale Meloni è stata bersaglio dei leader socialisti e liberali. Perché se il «laboratorio italiano» avesse successo, sarebbe la prova che la destra — a partire dalla Francia — sarebbe «fit to lead».
Toccherà a Meloni scegliere. E il suo ruolo non sarebbe secondario: la nuova maggioranza, pur con equilibri nuovi, o nascerà con un chiaro profilo occidentale e anti-putiniano o consegnerà l’Europa a un inesorabile declino.
Piemonte
La Stampa
«Alberto Cirio si conferma governatore ma senza una vittoria a valanga secondo gli exit poll, che lo accreditano di una forchetta tra il 50 e il 54%, il Piemonte scivola più a destra con una nuova maggioranza a trazione Fratelli d’Italia ma il centrosinistra guidato da Gianna Pentenero tiene botta tra il 34 e il 38%, in linea con il risultato ottenuto da Sergio Chiamparino nel 2019. Se le previsioni fossero confermate dallo spoglio che inizierà alle 15 di oggi, prenderebbe corpo una sconfitta meno pesante delle ben più fosche previsioni della vigilia. Un risultato che potrebbe anche disinnescare la resa dei conti in un Partito Democratico locale che ha trascorso gli ultimi mesi in un litigio continuo e interrotto solo dalla pax elettorale. Terzo il Movimento 5 Stelle che mancherebbe la doppia cifra, accreditato di un consenso tra il 7 e l’8%, frutto della sua corsa solitaria con Sarah Disabato dopo che tutte le trattative per la costruzione del campo largo giallorosso erano fallite. Francesca Frediani di Piemonte Popolare sarebbe tra lo 0, 5 e il 2, 5% dopo una campagna elettorale trascorsa a parlare di pace e a stringere l’occhio alle istanze dei Pro Palestina. Alberto Costanzo di Libertà, che verrà ricordato soprattutto per la sua curiosa idea di battere una moneta regionale per pagare gli investimenti, non è stato neppure rilevato dai sondaggisti. Il partito di gran lunga maggioritario si conferma invece quello dell’astensione: a Torino ha votato il 50, 34% degli aventi diritto. Cinque anni l’affluenza era stata del 59, 16% […]».
Altri comuni
Il centrosinistra tiene nelle grandi città, da Bari a Firenze, e potrebbe, già al primo turno, confermarsi a Bergamo ed espugnare Cagliari insieme al M5s, mentre il presidente uscente di centrodestra della Regione Piemonte Alberto Cirio viaggia va verso il bis. È la fotografia scattata dagli exit poll del consorzio Opinio Italia per Rai sulle elezioni amministrative nei capoluoghi al voto mentre per i dati reali bisognerà attendere domani quando, alle ore 14, avrà inizio lo spoglio anche nelle città e per le regionali. In Piemonte, unica regione alle urne, gli exit poll danno Cirio tra il 50 e il 54% con un netto distacco sulla sfidante del centrosinistra Gianna Pentenero al 34-38%. A Cagliari gli exit poll vedono in netto vantaggio l’ex sindaco di Cagliari Massimo Zedda, candidato del campo largo, che con una forchetta tra il 59 e il 63% potrebbe affermarsi al primo turno sulla candidata di centrodestra Alessandra Zedda. A Bari, arrivata al voto tra le polemiche dopo le inchieste giudiziarie, il centrosinistra regge: gli exit danno in testa il candidato sindaco Vito Leccese, tra il 42-46%, a una certa distanza dallo sfidante di centrodestra Fabio Romito al 31-35%. A Firenze, dopo l’amministrazione uscente di centrosinistra guidata dall’ex sindaco Dario Nardella, al centrodestra sembrerebbe non riuscire il ribaltone: Sara Funaro, la candidata del centrosinistra, è data a una forchetta tra il 42 e il 46%, ben più ampia dello sfidante sostenuto dal centrodestra Eike Dieter Schmidt che si attesterebbe tra il 30 e il 34% [CdS].

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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