POLITICA, COMPLOTTI E DISINFORMAZIONE
di Pietro Salvatori
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Newsletter del 6 giugno 2024
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Donald Trump considera l’Ucraina la compiacente base logistica di un complotto ai suoi danni. È una storia complicata, sulla quale si innesta un’incasinatissima teoria cospirativa tanto bislacca quanto pericolosa. Una teoria che ha portato Trump a ricattare Zelensky affinché producesse prove immaginarie che incastrassero i suoi avversari politici, il deep-state di cui Joe Biden è tra i demoniaci burattinai.
Vi racconteremo oggi la prima di due puntate, per poi lasciarvi con l’immancabile Soros che boicotta i centri migranti voluti da Meloni in Albania e con l’uccisione di Kate Middleton da parte della Royal Family.
Questo è l’ottavo numero di Occam, la newsletter di Huffpost che ogni giovedì vi porta nella tana del Bianconiglio. Siete pronti?
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L’UCRAINA, IL DEEP-STATE E IL COMPLOTTO CONTRO TRUMP
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“Se Donald Trump diventasse presidente, in un giorno riuscirebbe a garantire il cessate il fuoco in Ucraina per poi aprire le trattative”. Il vaticinio non è di uno qualunque, ma del primo ministro ungherese Viktor Orbàn, forse il leader europeo più vicino all’ex presidente degli Stati Uniti, ospite nel resort del tycoon a Mar-a-Lago in Florida a marzo, imprescindibile tappa nel suo ultimo viaggio negli States. “Portaci la pace”, gli chiese all’epoca. E la sua previsione non è campata per aria, anzi.
Cari lettori di Occam,
questo è il primo di due numeri speciali, nei quali ci occuperemo di una sola storia. È la storia del perché Orbàn ha probabilmente ragione, è la storia di Donald Trump e del suo rapporto con Kiev e con il governo di Volodymyr Zelensky, è la storia di come una teoria del complotto ha avvicinato il leader dei Repubblicani a Vladimir Putin, la storia di come una cospirazione si sia talmente radicata nel pensiero di Trump da portarlo a considerare l’Ucraina parte di una macchinazione che punta a distruggerlo in combutta con Joe Biden, Hillary Clinton, George Soros e il deep-state americano (con un incredibile special guest: Giuseppe Conte).
Iniziamo oggi a seguire questo aggrovigliatissimo filo rosso e finiremo di percorrerlo giovedì prossimo, sperando di offrirvi un quadro sufficientemente chiaro di cosa muove le scelte e le decisioni di colui che a novembre potrebbe tornare a essere presidente degli Stati Uniti.
E del perché lo citavamo nel primo numero di questa newsletter come uno dei motivi per i quali è urgente occuparsi dei complotti, di cosa si muove sotto le facili ironie su quelle tesi che ci sembrano bizzarre e un po’ pazzoidi. Ed è urgente farlo prima che i complotti si occupino di noi.
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Zelensky e Trump a New York nel 2019
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“PRONTO VOLODYMYR? QUI È LA CASA BIANCA, LE PASSO IL PRESIDENTE”
Quella del rapporto tra Trump e l’Ucraina è una storia intricatissima, sopra la quale si innesta una teoria del complotto cervellotica, che per questo è stata poco raccontata nel suo insieme. E però è lì, fatti e documenti la scandiscono, basta avere la pazienza di seguirne il filo. Alla fine, si scoprirà perché Trump considera Zelensky capo del governo di un paese che cospira contro di lui, nel quale poteri indicibili hanno posto le basi per abbatterlo con la compiacenza del presidente ucraino, una folle tesi uscita dai tetri forum di Qanon e arrivata direttamente alla Casa Bianca. E che a novembre potrebbe farvi ritorno, segnando, sulla scorta di una fantasia cospirazionista, il destino di Kiev.
Per raccontare questa storia partiamo in medias res, come direbbero quelli bravi. Partiamo dall’elemento che, ricostruendo a posteriori una vicenda incredibile, l’ha fatta deflagrare con tutta la sua evidenza. Partiamo dunque dal 25 luglio del 2019. Nello studio ovale c’è Trump. È alla sua scrivania, ha il telefono in vivavoce e dall’altra parte della cornetta c’è Zelensky, eletto appena due mesi prima.
Da poche settimane Kiev aveva appreso una notizia sorprendente. Un pacchetto di aiuti già concordato dell’importo di 400 milioni di dollari era stato bloccato direttamente dal presidente. Fondi che avrebbero dovuto aiutare l’Ucraina nel fronteggiare i separatisti del Donbass, ma soprattutto a attrezzare il confine orientale dal sempre più minaccioso attivismo russo al di là del confine.
“Vorrei che scoprisse che cosa è successo in questa vicenda con l’Ucraina […] dicono che parte della vicenda sia iniziata con l’Ucraina. Qualsiasi cosa lei possa fare è molto importante che lo faccia”, diceva il presidente degli Stati Uniti al telefono, in una sintesi del dialogo tra i due leader che venne resa nota qualche mese dopo.
E ancora: “C’è molto da parlare sul figlio di Biden, di come Biden ha fermato il processo, e di come molte persone vogliano sapere cosa sia successo […] Non vogliamo che il nostro popolo, come fanno il vicepresidente Biden e suo figlio, [contribuisca] alla corruzione in Ucraina”.
Di che diavolo sta parlando Trump? Cosa avrebbe dovuto scoprire Zelensky. E che c’entravano Joe Biden – allora semplicemente ex vicepresidente di Obama – e suo figlio Hunter?
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La trascrizione della telefonata tra Trump e Zelensky
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TUTTO PARTE DAL RUSSIAGATE
È qui che iniziamo a scendere nella teoria del complotto che si era installata alla Casa Bianca e che vedeva nel suo inquilino il principale sostenitore.
Era persuaso a tal punto di quella che non era altro che una cospirazione i cui mille rivoli colavano lungo i post dei forum di Qanon, che aveva piegato le istituzioni americane a suo servizio. Ma per capirla, occorre brevemente ricostruire i fatti.
Russiagate. È un termine che a qualcuno di voi susciterà vaghi ricordi di uno scandalo a stelle e strisce, qualcun altro ricorderà perfettamente come uno dei grandi temi sui quali nacque il quadriennio del tycoon nello Studio ovale. E che come corollario ebbe l’effetto di innescare proprio Qanon, il movimento complottista che motivò i sostenitori del “Make America Great Again” a fare irruzione nel Congresso di Washington il 6 gennaio del 2021.
I fatti, in estrema brevità, sono questi. Una campagna di disinformazione orchestrata direttamente dal Cremlino si era prefissata di condizionare le elezioni del 2016 negli Usa, cercando di spostare l’ago della bilancia verso Trump. Il clamoroso colpaccio messo a segno dagli hacker russi fu il trafugamento di oltre 19mila mail dello staff di Hillary Clinton. Sono stati accertati oltre duecento contatti tra funzionari di Mosca e collaboratori a vario titolo della campagna di Trump, aventi come portata principale proprio quella corrispondenza rubata. È impossibile dire quanto questo abbia influito nel cambiare l’orientamento del voto negli Stati Uniti, ma di certo non aiutò la corsa della candidata Democratica. Ne scaturirono una serie di inchieste e di richieste di impeachment che caratterizzarono l’intero quadriennio. I fatti sarebbero molto più incasinati, ma a noi qui non interessa ricostruirli, basta inquadrarli a grandi linee.
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Sostenitori di Hillary Clinton durante le presidenziali del 2016
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La domanda da farsi piuttosto è un’altra.
Il popolo della destra estrema (alt-right), i complottisti, i fondamentalisti cristiani che avevano sostenuto l’ascesa di Trump quale salvatore dai grandi burattinai Democratici, da Soros, dalla finanza giudaico-massonica, come potevano tollerare il fatto che uno di loro fosse arrivato alla presidenza macchiandosi di reati di gravità inaudita?
E, soprattutto, com’era possibile che il loro idolo, una volta entrato nella stanza dei bottoni, non avesse trovato gli scottanti documenti che rivelavano la verità e lo avrebbero sollevato da qualunque responsabilità, rendendoli noti al mondo affinché tutti sapessero? Risposta: perché non c’erano.
Risposta della bolla cospirazionista: perché nonostante fosse il commander-in-chief del Paese, stava continuando a combattere una strenua battaglia contro il deep-state che deteneva davvero il potere. E che lo voleva morto perché stava per smascherarlo.
Così nasce Qanon (fantasia che trae spunto proprio da una delle mail trafugate a Clinton), una visione del mondo tetra e violenta, che parla di bambini rapiti e sfruttati, conventicole massoniche, stupratori, sfruttatori dell’immigrazione, oscuri complotti per disgregare la società, rendere deboli – anche fisicamente – le persone, plasmarle per controllarle, intorbidire menti e coscienze. Un labirinto talmente intricato che probabilmente non basterebbero dieci numeri di Occam per percorrerlo interamente. Il tutto alimentato da troll, influencer di estrema destra, servizi segreti di potenze interessate, e adottato strumentalmente o, peggio, per convinzione da parte dell’establishment Repubblicano. A partire proprio da Trump
Una ramificazione di Qanon spiega così il Russiagate. Il gotha Democratico, l’Fbi e una società informatica chiamata CrowdStrike avevano cospirato insieme al governo ucraino per incastrare la Russia quale responsabile della disinformazione e del furto delle mail di Clinton. Come tutte le teorie del complotto nomi, dettagli e situazioni sono spesso cangianti e contraddittori, ma lo schema di base è sempre rimasto lo stesso: agenti del deep-state occidentale, fingendosi russi, hanno prima sottratto e poi diffuso materiali compromettenti, accreditando falsi contatti con i trumpiani per incastrarli nello scandalo e spodestare il tycoon dalla presidenza sovvertendo il risultato del voto popolare.
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La “Q” di QAnon è sempre più frequente nelle manifestazioni a sostegno di Trump
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LE ISTITUZIONI USA AL SERVIZIO DI UNA TEORIA DEL COMPLOTTO
Insomma: i Democratici quelle mail se le erano prima rubate da soli, e poi le avevano regalate a Trump. E lo avevano fatto grazie alla collaborazione di uno stato compiacente: l’Ucraina.
Pazzesco no? No. Non solo questa teoria del complotto del tutto priva di prove e di fondamenti era accreditata dalla fanbase trumpiana, ma lo stesso presidente ne era (è) convinto, al punto da piegare le scelte della sua intera amministrazione a cercare di dimostrarla per trarsi d’impaccio.
Ora iniziate a capire meglio i contorni della telefonata a Zelensky? Iniziate a intravedere le motivazioni che portarono allo stop della tranche di aiuti a Kiev?
Trump pretendeva da Zelensky le prove della cospirazione che non c’era. Utilizzava il bastone del blocco dei finanziamenti e la carota della lusinga al telefono, la promessa di una visita ufficiale in pompa magna nello Studio ovale. Ma prima voleva le prove che cercavano i qanonisti sul web. Mick Mulvaney, all’epoca Capo dello staff della Casa Bianca, ha affermato che il blocco degli aiuti fosse legato direttamente a quelle maledette prove. Una fonte dell’amministrazione in quegli anni ha rivelato l’esistenza di una richiesta: forniteci le evidenze, annunciate l’apertura di un processo contro il dannato Hunter Biden, il figlio di Joe, l’ufficiale di collegamento in Ucraina della teoria del complotto, e noi sbloccheremo quei soldi.
Secondo il Wall Street Journal Trump ha chiesto per otto volte a Zelensky di indagare su Hunter. Di fatto Trump ha impostato il suo rapporto con l’Ucraina su un piano ricattatorio, affinché avvalorasse e /o costruisse false prove funzionali alla sua contorta idea su quel che era realmente successo.
Le pressioni per mettere sotto torchio il figlio dell’ex vicepresidente erano dunque antecedenti a quella telefonata. Risalivano almeno a due mesi prima. È accertato che il 7 maggio del 2019 il presidente ucraino e il suo staff ebbero una riunione di più di tre ore per cercare un modo per non finire invischiati nella sorprendente piega che stavano prendendo le vicende americane.
Ma cosa c’entrava esattamente Hunter? Di fatto nulla. Uomo controverso e che nella sua storia è stato politicamente una spina nel fianco del padre per i suoi numerosi guai con la giustizia, era semplicemente l’uomo sbagliato al posto sbagliato.
Il perché lo racconteremo la prossima settimana, quando in scena entrerà anche il nostro Giuseppe Conte, la misteriosa spia Joseph Mifsud e dei pericolosissimi laboratori di armi chimiche al confine orientale dell’Ucraina.
TO BE CONTINUED….
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L’acronimo MAGA (Make America Great Again) identifica i fan dell’ex presidente
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- “Benissimo, ora torniamo pure nel mondo sano, a goderne gli sgoccioli”. Si chiude così il Buongiorno del nostro direttore, Mattia Feltri, che si è occupato da pochissimo di Matt Wallace. Per scoprire chi è, non vi resta che LEGGERLO.
- Kate Middleton è morta, e l’ha uccisa la Royal Family. Tutto nasce dal primo ritratto ufficiale di re Carlo, che capovolto raffigura chiaramente il demonio. È di Silvia Renda il racconto della teoria del complotto più assurda spuntata fuori negli ultimi giorni. Lo trovate QUI.
- Il processo Stormy Daniels che ha visto Trump essere condannato è diventato già frutto di una pericolosissima cospirazione. Chi l’ha teorizzata E perché proprio lo stesso Trump? Ne ho scritto qualche giorno fa QUI.
- C’è un governo sanitario mondiale all’orizzonte, e vuole instaurare una dittatura nel mondo. Lo progetta da tempo l’Oms, e presto si arriverà allo scontro finale. La nuova tesi cospirazionista cavalcata dalle destre (anche italiane) ve la racconta Alfonso Raimo.
- Chiudiamo con un grande classico. Chi è che ha architettato a tavolino tutte le critiche ai campi per migranti in Albania che Giorgia Meloni è andata a visitare proprio ieri? Ma George Soros, naturalmente!
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Kate e King Charles “The Devil”
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A giovedì prossimo!
Per questa settimana Occam finisce qui. Se siete tra gli eroici arrivati fino a questo punto, sappiate che è possibile recuperare le puntate precedenti – che la domenica escono sotto forma di articolo – su questa pagina.
Se avete domande, dubbi, suggerimenti, o se semplicemente volete mandare un sempre graditissimo feedback (grazie a chi ci ha scritto la scorsa settimana!), l’indirizzo è sempre lo stesso: pietro.salvatori@huffpost.it
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