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In Albania un negozio di bagels per il riscatto delle donne sopravvissute alla tratta

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Mirela aveva solo 18 anni quando è riuscita a fuggire dalle mani dei trafficanti che la costringevano a prostituirsi per le strade di Tirana, in Albania. È stata accolta in una casa rifugio protetta e lì ha avuto l’opportunità di manifestare la sua grande passione: la cucina. Per Mirela (è un nome di fantasia per tutelarne la privacy) il cibo è un modo per esprimere la cura e le attenzioni nei confronti degli altri. È ciò che le ha dato la forza di sopravvivere alle umiliazioni e alle violenze. Ci è voluto un po’ di tempo per superare lo stress post-traumatico dovuto alle coercizioni subite dai suoi aguzzini. È stata supportata da psicoterapeuti e dopo un anno era pronta per cominciare una nuova vita. Una organizzazione specializzata nella lotta alla tratta l’ha aiutata a pagare l’affitto ma soprattutto le ha trovato un impiego in una impresa sociale avviata nella capitale albanese: un negozio che vende bagels, i tipici panini farciti con il buco al centro, di tendenza soprattutto nei bar newyorkesi e in tutti gli Stati Uniti.



“New York – Tirana Bagels” non è un negozio come gli altri. Perché lì ci lavorano una decina di donne sopravvissute alla tratta di persone. Ora Mirela non impasta e farcisce solo bagel. Cucina per tante persone mettendo in pratica il suo talento, nell’ambito di un servizio di catering presso convegni e grandi eventi. Ed è molto orgogliosa della sua nuova vita.

(foto: “New York – Tirana Bagels”)

Il primo negozio di bagel in Albania. Il progetto ha il sostegno di un filantropo americano, in collaborazione con le organizzazioni sociali della rete albanese Urat, e fa parte delle iniziative raccontate dagli Youth ambassador della rete internazionale delle religiose che lottano contro la tratta Talitha kum, che riunisce 5.500 persone in tutto il mondo, tra cui 600 giovani. Talitha Kum non sostiene direttamente l’impresa sociale ma la rete albanese delle organizzazioni anti-tratta Urat. In Albania non esistono organizzazioni cattoliche o affiliate ad una precisa religione, anche se è ammessa una ispirazione di base.  “E’ il primo negozio di bagel in Albania – spiega al Sir Anxhela Bruci, che lavora nell’organizzazione Arise, della rete Urat -.

La formula dell’impresa sociale aiuta le sopravvissute alla violenza domestica e alla tratta ad avere un lavoro e un reddito.

Le donne fanno prima degli stage e ricevono una formazione professionale, che può essere utile per trovare lavoro anche in altri ristoranti della città”. 

Anxhela Bruci – (foto: Caiffa/SIR)

Anxela è una giovane donna albanese fuggita da bambina al seguito dei genitori in Grecia, negli anni della caduta del comunismo.

“Abbiamo sperimentato in prima persona la schiavitù moderna del lavoro forzato. I miei genitori erano costretti a lavorare 16 ore al giorno”,

racconta. Da qui nasce la sua grande motivazione nel voler aiutare le vittime e le sopravvissute alla tratta, lavorando principalmente nell’empowerment delle donne. L’obiettivo di rendere sostenibile l’impresa sociale “New York – Tirana Bagels” al momento non è stato raggiunto, a causa dello stop imposto dalla pandemia. Il negozio fatica ad avere nuovi clienti, anche perché i bagel sono un po’ più costosi di un normale panino. “Avremmo bisogno di coprire con un finanziamento il 40% delle spese, il resto potrà essere acquisito tramite le vendite dei prodotti”, precisa. 

Le caratteristiche della tratta in Albania. L’80% dei casi riguarda ragazze e donne coinvolte a fini di sfruttamento sessuale, ci sono anche bambine di 13 e 14 anni. I bambini che vivono per strada sono i più vulnerabili. Non esistono statistiche ufficiali, solo quelle delle vittime identificate ogni anno, circa 120, ma sono stime in ribasso. “Le istituzioni educative e sanitarie che devono identificare le vittime non lo fanno in modo corretto – puntualizza -, o a causa dello stigma nei loro confronti o perché gli operatori non hanno ricevuto la formazione necessaria”. 

La maggior parte delle vittime vengono trafficate all’estero, soprattutto in Italia, Germania e Regno Unito.

In Albania il 95% sono di origine albanese e una piccola percentuale proviene dall’Asia. Quest’anno è stato registrato un tragico aumento dei casi di violenza domestica contro le donne correlato ad un aumento dei suicidi. “Purtroppo accade perché non si sentono protette né dalla polizia, né dal governo”.  Ci sono leggi per combattere il fenomeno ma il grande problema è il basso numero di procedimenti giudiziari e l’impunità: “Nel 2020 non c’è stata nessuna condanna di trafficanti”. Al contrario la domanda di sesso a pagamento da parte degli uomini è in continua crescita.

Le trappole on line in cui cadono i bambini. Negli ultimi cinque anni il traffico di esseri umani si è molto spostato online. “Avviene soprattutto attraverso TikTok – dice -, ma anche piattaforme di gioco in cui i trafficanti possono nascondere facilmente la propria identità. Quindi per i bambini ci sono molte trappole online, perché hanno tutti un telefono con la connessione ad internet”.

Non sempre le sopravvissute vincono la loro grande sfida. Anche se non tornano da chi le ha sfruttate a volte non riescono a rendersi indipendenti economicamente. Quindi si rivolgono di nuovo alle organizzazioni che le hanno aiutate per usufruire di servizi come l’alloggio. “Se succede qualcosa di nuovo nella loro vita, come un problema di salute o economico si trovano in grande difficoltà perché spesso non hanno rete familiare o sociale che le sostenga. Questo le rende più vulnerabili”.

(foto: “New York – Tirana Bagels”)

L’ubicazione delle case rifugio è segreta per proteggerle dai trafficanti. Le vittime chiedono aiuto tramite help line telefoniche o social media e ci sono molte unità mobili che le avvicinano in strada. Queste ultime sono più presenti nelle grandi città, mentre nei villaggi più remoti è più difficile intercettare le vittime. Ci sono partenariati e collaborazioni con la polizia, con le istituzioni educative e sanitarie, con i comuni delle diverse regioni dell’Albania, per l’identificazione delle vittime. “Per superare la sfida del reinserimento economico abbiamo bisogno di partenariati più forti con le imprese e le organizzazioni locali – afferma Bruci -, cosa che al momento non sta accadendo perché le imprese sono orientate al profitto e vogliono dipendenti sani e senza problemi. Spesso le sopravvissute alla tratta hanno figli e bisogni complessi, per cui è difficile trovare per loro un’occupazione sostenibile nelle normali attività. Ecco perché abbiamo bisogno delle imprese sociali”. 

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