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Diocesi di Faenza-Modigliana. La Caritas si mette in ascolto delle persone: ansia e stress, ma anche tanta solidarietà e voglia di rinascita

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“Alluvione – Come è entrata nella vita di ognuno di noi” è il titolo dell’indagine sulla situazione del territorio e lo stato di salute dei suoi abitanti ad un anno dall’alluvione del maggio 2023, realizzata dalla Caritas di Faenza-Modigliana sulla scorta di un questionario online rivolto alla comunità diocesana nelle scorse settimane. I risultati sono stati presentati il 27 maggio presso il Seminario di Faenza. All’incontro hanno partecipato il vescovo di Faenza-Modigliana, mons. Mario Toso; il direttore di Caritas italiana, don Marco Pagniello; il direttore della Caritas diocesana, don Emanuele Casadio; l’assessore al Welfare del Comune di Faenza, Davide Agresti, e Maria Chiara Lama, curatrice del report. In mattinata sono stati inoltre inaugurati i locali della parrocchia di San Savino di Faenza, ristrutturati per rispondere alle esigenze abitative dovute all’emergenza alluvione grazie a un contributo di Banco Bpm. Dalla situazione abitativa a quella sociale, dal contesto lavorativo a quello familiare: diversi i temi affrontati dal questionario al quale hanno risposto 586 persone (donne il 72%, uomini il 28%) di ogni età; il 55% nella fascia 46-65 anni.

Emergenza abitativa e lavoro. Tra coloro che vivono in quartieri alluvionati, il 44% ha avuto la casa totalmente coinvolta, il 32% parzialmente, il 17% ha avuto garage e cantina alluvionati. Nei giorni subito successivi al disastro, tre persone su cinque erano fuori casa. Il 34% è rientrato in un secondo momento, mentre il 24% (118 persone) non è ancora rientrato. Il 33% ha perso l’automobile: 33 persone dichiarano di non poterne comprare una nuova pur avendone bisogno. L’84% degli intervistati ha dovuto attingere ai propri risparmi, ma se si fa riferimento solo a chi abita in quartieri alluvionati, la percentuale sale al 91%. Il 31% ha subito danni nell’attività lavorativa (sede alluvionata, persi macchinari, persi clienti) e 10 persone dichiarano di aver perso il lavoro a causa dell’alluvione.

Ansia e stress. Alla domanda “Come stanno vivendo i tuoi familiari il periodo successivo all’alluvione?”, gli intervistati hanno dato più risposte, indicando che in tempi diversi le reazioni erano diverse. Spesso c’è stato un periodo di energia e positività, seguito da uno di tristezza e ansia. Il 59% dichiara di avere reagito dandosi da fare, il 31% con tristezza e ansia, il 20% con energia e positività, il 14% rimanendo attoniti. Per quanto riguarda i propri figli, il 37% li ha definiti “resilienti”, il 28% spaventati dall’acqua, il 25% più nervosi e con difficoltà a studiare, il 15% “più legati alla famiglia”. Viene inoltre segnalato che hanno imparato a donare senza chiedere nulla in cambio. Per il 48% del campione, i nonni sono invece più disorientati e confusi; per il 27% la situazione sanitaria è peggiorata. Per 5 anziani si è reso necessario il ricovero in struttura.

In caso di pioggia e allerte meteo, il pensiero di tutti va all’alluvione.

Il 66% dichiara di provare ansia e stress; di questi il 41% ha sentito il bisogno di uno psicoterapeuta, 90 hanno iniziato un percorso.

Progettualità e prevenzione. Dall’amministrazione si esigono personale competente e coraggio di agire. È richiesta una progettualità di lungo respiro, non azioni per tamponare nell’immediato, mentre

la prevenzione viene indicata come il miglior investimento.

Vengono sottolineati i momenti di unione e condivisione, ma si teme che, a distanza, si crei una spaccatura tra “alluvionati” e “non alluvionati” e, più nello specifico tra “alluvionati di serie A” e “alluvionati di serie B”.

Foto Caritas Faenza/SIR

Percorsi di rinascita. “A un anno dalle alluvioni – ha detto don Marco Pagniello, visitando alcune realtà del territorio diocesano: oltre a Faenza anche Solarolo, duramente colpita , Caritas italiana sceglie di restare accanto alle comunità provate dall’emergenza”. Il 29 maggio 2023, ha raccontato, “ci siamo recati a Faenza, una delle zone più colpite”, e, “pur considerando le esigenze contingenti, abbiamo deciso di individuare i bisogni a lungo termine e gli strumenti adatti” per farvi fronte,

“scegliendo non di costruire solo risposte o interventi immediati, ma soprattutto relazioni di prossimità intense e costanti”.

Anche “grazie alla generosità di tanti – ha concluso Pagniello -, abbiamo contribuito ad avviare percorsi di rinascita, accompagnando famiglie e piccole imprese nel loro ritorno all’autonomia”.

La forza della fraternità. “Da scenari drammatici – ha osservato il vescovo Mario Toso – è emersa la forza della vera fraternità, del dono di sé stessi per gli altri. Abbiamo sperimentato che Dio è sempre all’opera e con il suo Spirito d’amore suscita prodigi di bene che rendono il cammino della ripresa e della ricostruzione meno faticoso, più ricco di speranza”. Di qui la gratitudine a “tante persone generose, tante Chiese sorelle, tante istituzioni civili e pubbliche, volontari, Protezione civile, Forze dell’ordine, Vigili del fuoco, giovani, associazioni, Ordini, compreso l’Ordine teutonico militare”.

In ascolto della comunità. “L’analisi dei dati forniti dai questionari – il commento di don Emanuele Casadio – permette alla Caritas di osservare i fenomeni in corso e programmare interventi futuri, sempre partendo dall’azione di incontro e vicinanza alle persone coinvolte. Per la Caritas, osservare prima di agire è una metodologia ormai consolidata ma che rischia di venire meno durante l’emergenza, perché l’attenzione si focalizza sui bisogni primari cui rispondere. Ad un anno dall’alluvione, invece, abbiamo voluto

metterci in ascolto della comunità e comprendere meglio il suo attuale stato di salute”.

Collaborazione e sussidiarietà. “A dodici mesi dei tragici eventi di maggio scorso tante sono le cose fatte, e tante ancora le cose da fare – ha ricordato Davide Agresti -. Sicuramente abbiamo preso coscienza che ricostruire la nostra città non significa soltanto ripulire le case dal fango, ma anche prenderci cura delle persone, accompagnare e alleviare le ferite meno visibili”. Per farlo, ha concluso, “non dobbiamo perdere lo spirito di collaborazione e sussidiarietà che ha contraddistinto l’operato di tutte le istituzioni: pubbliche, pastorali, associative”.

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